Mono-e digliceridi degli acidi grassi (E471)
Pubblicato: 2013/06/13 Archiviato in: Additivi, Grassi idrogenati, L'angolo chimico 8 commentiLi troviamo nei prodotti da forno, nei dolci artigianali o dell’industria, nei gelati e nei dessert, sono impiegati come addensanti ed emulsionanti. Chissà quante volte li avrete letti e vi sarete chiesti: come sono prodotti? Parlo dei mono-e digliceridi degli acidi grassi (E471). I primi composti furono sintetizzati probabilmente dal chimico francese Marcelin Berthelot nel 1853, ma solo in seguito iniziarono le applicazioni commerciali. Il loro utilizzo fu prevalentemente nella fabbricazione delle margarine poi il loro uso è stato esteso a numerose applicazioni. Un esempio? questa preparazione gastronomica.
A partire dalla seconda metà del 20 ° secolo, una vasta gamma di emulsionanti di sintesi sono stati prodotti e utilizzati su larga scala. Tra essi troviamo appunto i mono- e digliceridi degli acidi grassi, una famiglia numerosa di molecole, infatti se il glicerolo ( chiamato anche glicerina) è il loro denominatore comune, le catene degli acidi grassi che sono legate ad esso possono variare. Ma torniamo alla domanda: Come si ottengono?
Appartengono alla famiglia dei grassi quindi le materie prime di partenza sono grassi vegetali (palma, soia, cocco, canola) o animali. Le due preparazioni commerciali più diffuse di sono : (1) esterificazione diretta del glicerolo che viene messo a reagire con acidi grassi, e (2) una reazione di glicerolisi che coinvolge i trigliceridi contenuti in grassi naturali e oli.
Si usano anche oli e grassi idrogenati? Può accadere, basta curiosare tra i siti web di alcune aziende e troviamo anche oli idrogenati come materie prime. I prodotti che si ottengono dalle reazioni chimiche descritte sopra, vengono ulteriormente purificati per ottenere una miscela di gliceridi, acidi grassi liberi e glicerina libera. La procedura della glicerolisi è più economica perché i grassi (trigliceridi) sono più economici rispetto agli acidi grassi isolati ed è richiesto meno glicerolo. Poiché le reazioni vengono condotte a temperature elevate (210°C-230°C), reazioni collaterali possono produrre cambiamenti di colore e formazione di composti non graditi. Un nuovo processo produttivo messo a punto prevede l’uso della esterificazione enzimatica. L’enzima che svolge la reazione è la lipasi ottenuta da alcuni microrganismi. Si usano temperature inferiori rispetto ai processi precedenti, si riduce la formazione di composti indesiderati quindi questo processo produttivo è considerato vantaggioso.
Seguono tappe di deodorazione e purificazione. I Monogliceridi possono essere ulteriormente purificati mediante distillazione.
I prodotti che si ottengono possono essere liquidi, solidi o semi-solidi. Ogni azienda ha poi dato dei nomi di fantasia alle varie miscele in relazione ai tipi di olio impiegati. Esempi? Myverol®, Myvacet®, Myvaplex®. Si stima che il 50% degli emulsionanti usati nelle varie filiere produttive sia costitutito dai mono-e digliceridi degli acidi grassi. Da essi derivano poi altri emulsionanti ( della serie E472) che si ottengono facendo reagire acidi organici e monogliceridi distillati. Tra i derivati ci sono monogliceridi acetilati, esteri dell’acido citrico, esteri dell’acido lattico ecc. Inoltre, utilizzando poliglicerolo è possibile ottenere esteri del poliglicerolo tra cui il Poliricinoleato di Poliglicerolo (E476) di cui avevo scritto qui.
E voi Li avete mai incontrati i derivati dei mono-e digliceridi degli acidi grassi?
Fonte immagini
Che effetti hanno le carragenine (iota-carragenina, kappa-carragenina, e lambda-carragenina)?
Pubblicato: 2013/04/27 Archiviato in: Acquacoltura, Additivi, Filiere 7 commentiNuovo post dedicato alla famiglia degli addensanti. Nelle ultime settimane i lettori piu’ attenti alle news su temi di attualità nutrizionale e sugli additivi avranno di certo intercettato la notizia sulla carragenina e le nuove evidenze scientifiche che sollevano dubbi come additivo alimentare sicuro per il consumo umano. Sul sito Cornucopia.org aperta anche una petizione alla FDA per rimuovere la carragenina dai prodotti biologici. Che cosa ha di nuovo riaperto il dibattito sulla sua sicurezza come gelificante e addensante? Protagonista è ancora lei, la Dr. Joanne Tobacman, professore associato presso l’Università dell’Illinois a Chicago. La ricercatrice insieme ad un gruppo di biologi molecolari ha portato all’attenzione i risultati condotti in cellule intestinali in coltura dopo incubazione in presenza di carragenina. Il composto eserciterebbe un ruolo infiammatorio.
La risposta della Ingredients Solutions Inc. una delle aziende produttrici di carragenina non si è fatta attendere. Su Food Processing afferma: “Da piu’ di 70 anni la carragenina è utilizzata in alimenti trasformati, e non una sola richiesta documentata di una malattia acuta o cronica è stata riportata come derivanti dal consumo di carragenina”.
Sotto accusa dei frammenti a basso peso molecolare che potrebbero essere ottenuti dalla carragenina durante le filiere produttive, durante la digestione o in seguito al metabolismo della flora batterica. In passato è stato attribuito un effetto dannoso al poligeenan “un prodotto di degradazione della carragenina”. L’unica relazione tra carragenina e poligeenan è che la prima è il materiale di partenza per arrivare a quest’ultima. La Ingredients Solutions difende il proprio prodotto affermando che “Poligeenan non è un componente della carragenina e non può essere prodotta nel tratto digestivo se si assumono alimenti contenenti carragenina. Ci sono differenze rilevanti tra poligeenan e carragenina. Il processo di produzione per ottenere la poligeenan richiede il trattamento della carragenina con un acido forte e alta temperatura (circa quella dell’acqua bollente) per sei ore o più. Queste condizioni di lavorazione convertono le lunghe catene di carragenina in frammenti a basso peso molecolare. Per la precisione il peso molecolare del poligeenan è 10.000-20.000 dalton, mentre quello della carragenina va da 200.000 a 800.000 dalton. Le differenze di peso molecolare sono rilevanti e possono quindi spiegare i diversi effetti fisiologici. Le molecole di poligeenan a basso peso molecolare potrebbero penetrare attraverso la mucosa del tubo digerente e esercitare il loro ruolo infiammatorio. Il peso molecolare della carragenina è abbastanza alto al punto che che questo effetto è considerato improbabile.”
La Ingredients Solutions Inc oltre a sostenere la sicurezza della carragenina ha infine accusato la Tobacman sui suoi studi ritenuti non attendibili e fuorvianti.
E allora cosa ho fatto? Ho aggiornato le mie conoscenze sulla carragenina e mi sono cercata i lavori scientifici piu’ o meno recenti sulla molecola fino alle ricerche della Tobacman e di altri autori sull’archivio di Pubmed.
Che cosa è la carragenina? Breve ripasso. Avevo scritto un post nel lontano 2006. Si fa presto a dire carragenina. Infatti esistono diversi polisaccaridi che sno descritti con questo nome. Materiale di partenza alghe rosse.
La carragenina è stata a lungo utilizzata per migliorare la consistenza del cibo. Cominciò ad essere utilizzata commercialmente in Occidente a partire dal 1930. Sapevate che ci sono tre tipi principali di carragenina? sono denominate iota-carragenina, kappa-carragenina, e lambda-carragenina e presentano diverse proprietà gelificanti. La Kappa carragenina deriva dall’alga Kappaphycus Alvarezii, la carragenina iota deriva da Eucheuma denticulatum. La Lambda carragenina deriva prevalentemente dalle alghe Gigartina pistillata o Chrondrus Crispo. Un utile ripasso sugli aspetti molecolari lo trovate qui.
Le alghe sono coltivate in circa 35 paesi tropicali.
Ecco schematizzato il processo produttivo.
Nelle pubblicazioni scientifiche cosa troviamo sulla carragenina? La carragenina (a basso peso molecolare) da numerosi anni è impiegata per provocare una reazione infiammatoria riproducibile in modelli animali. Anche la letteratura piu’ recente include questi modelli che sono usati nello studio di farmaci anti-infiammatori e per indagare l’effetto anti-infiammatorio di estratti vegetali.
Ecco come si presenta il confronto tra un arto normale e un arto (a sinistra) in cui è stata inietattata la soluzione di carragenina.
Va precisato comunque che l’effetto infiammatorio e la formazione di edema si osservano in condizioni diverse dalla assunzione con il cibo, infatti per indurre edemi una soluzione di carragenina viene iniettata negli arti dei ratti. La carragenina è utilizzata anche in modelli di infiammazione intestinale dopo iniezione della soluzione tra lo spazio pleurico e il peritoneo. A tranquillizzarci inoltre il ricordare che in questi modelli animali sono usate quantità più elevate di carragenina rispetto ai livelli normalmente consumati nella dieta occidentale.
Tra le centinaia di lavori su questi modelli animali, appaiono pubblicazioni da cui si intravede un possibile ruolo delle carragenine nel campo delle biotecnologie. E veniamo alle pubblicazioni sugli effetti su cellule intestinali in coltura. Quali sono le evidenze scientifiche emerse negli studi di Joanne Tobacman? Gli studi recenti della Tobacman descrivono gli effetti della carragenina a livello intestinale in modelli animali e cellule in coltura. Tra gli effetti osservati alterazioni del ciclo cellulare e della vitalità di cellule intestinali in coltura. Si è ipotizzato che l’aumento della morte delle cellule in coltura e la riduzione nella proliferazione cellulare dopo esposizione alla carragenina possa contribuire alla formazione di ulcerazioni intestinali in vivo, come quelle che contraddistinguono le patologie infiammatorie intestinali.
Quali meccanismi molecolari potrebbero spiegare l’effetto infiammatorio? Gli effetti possono essere parzialmente attribuibili alla somiglianza tra la carragenina e i glicosaminoglicani, molecole che singolarmente o associate a proteine (proteoglicani) sono presenti in vari tessuti umani. Grazie alla presenza di galattosio- solfato, la carragenina somiglia in qualche modo al cheratan solfato, dermatan solfato e condroitina solfato, glicosaminogliani ampiamente presenti nella matrice extracellulare. I proteoglicani della superficie cellulare e della matrice sono coinvolti nella regolazione di diverse funzioni cellulari e nelle interazioni cellula-cellula. Si è ipotizzato quindi che alcuni degli effetti osservati su cellule in coltura potrebbero essere dovuti ad interazioni tra prodotti di degradazione della carragenina e membrane cellulari.
Cosa sappiamo dei consumi? La Tobacman nei suoi studi riporta che il consumo di carragenina negli Stati Uniti è aumentato negli ultimi decenni. Su base pro capite il livello è passato da ~ 24 mg/persona al giorno a ~ 82 mg/persona al giorno. Si è stimato che a livello del colon la concentrazione di carragenina sarebbe ~ 56 mg/L, superiore alla concentrazione utilizzata negli esperimenti presentati dalla Tobacman (1 mg/L). In vivo, fattori che potrebbero ridurre l’esposizione diretta del colon alla carragenina comprendono la motilità intestinale, e la co-presenza di altri alimenti non contenenti carragenina.
Cosa pensa l’Unione europea? La commissione europea nel 2003 ribadisce la sicurezza d’uso ma ha modificato le raccomandazioni per quanto riguarda la presenza della carragenina a basso peso molecolare in alimenti trasformati approvando un limite di non più del 5% di carragenina inferiore a 50 kDa nelle carragenine usate come additivi al fine di ridurre l’esposizione a carragenina degradata a molecole a basso peso molecolare.
In un prossimo post carrellata aggiornata di prodotti contenenti l’addensante e relazione struttura-funzioni delle carragenine. Perchè anche voi siete curiosi di sapere le differenze tra iota-carragenina, lambda- carragenina e kappa-carragenina vero? Tutte sono comprese nella sigla E 407.
Fonti:
-European Commission Scientific Committee on Food. Opinion of the Scientific Committee on food on carrageenan: report of the European Commission health and consumer protection directorate-general, March 5, 2003
–Refuting Myths About Carrageenan
–Cornucopia Dossier sulla carragenina
-Pubblicazioni scientifiche sulla carragenina e effetti sulla mucosa intestinale.
–PRODUCTION, PROPERTIES AND USES OF CARRAGEENAN
Specialità alimentari ittiche al rosso carminio
Pubblicato: 2012/09/29 Archiviato in: Additivi, Aromi, Coloranti, Educazione e informazione alimentare, La borsa della spesa 5 commenti
Cosa fanno il 43 % di polpa di pesce (quale? ) di cui solo l’8% salmone affumicato dell’Atlantico insieme ad addensanti, stabilizzanti, esaltatore di sapidità e coloranti? fanno questo preparato avvistato ieri nel banco frigo. Leggo che il prodotto di cui ho immortalato l’etichetta è tra gli eletti come Sapore del’Anno 2012, iniziativa che ha l’obiettivo di “certificare la qualità gustativa dei prodotti alimentari mediante un test”.
Qualcuno dei partecipanti al test si sarà chiesto a cosa era dovuto il colore del preparato? avrebbero scoperto che oltre alla paprika c’è il rosso carminio, forse piu’ conosciuto come rosso cocciniglia e di cui ho scritto abbondantemente in passato.
Professione gastro-photoreporter. La tartrazina sotto zero.
Pubblicato: 2012/06/21 Archiviato in: Additivi, Aromi, Coloranti 3 commentiAntonella in veste di gastro-photoreporter ha trovato un esempio di gelato al gusto banana in cui è impiegato l’olio di cocco raffinato di cui ho scritto di recente. Gli fanno compagnia il latte scremato in polvere, zuccheri e addensanti vari, aromi e il colorante tartrazina. E la frutta? non pervenuta.
La cartella di Flickr in cui ho archiviato le etichette di prodotti contenenti la tartrazina tra gli ingredienti si arrichisce quindi di un nuovo esemplare in attesa di capire come mai il discusso colorante sia scomparso dalla nuova etichetta adesiva aggiunta all’imballo.
Grazie Antonella!
Quali additivi sono ammessi nella produzione degli alimenti biologici?
Pubblicato: 2012/04/22 Archiviato in: Additivi, Educazione alimentare, Educazione e informazione alimentare, Filiere, La borsa della spesa | Tags: additivi, alimenti biologici, conservanti, filiere 1 CommentoMartedì 24 aprile sarò a Sirolo nella sede del Parco del Conero. Ho accettato infatti di supportare da un punto di vista scientifico le attività didattiche e divulgative nell’ambito del Corso di Formazione: “Le produzioni del Conero – la qualità che tutela l’ambiente”. Il tema che mi è stato affidato nel modulo formativo sulle produzioni Biologiche è: Alimentazione biologica: quali vantaggi per la salute? Indispensabile documentarsi sulla legislazione attinente. Quali additivi tecnologici e conservanti sono ammessi nei mangimi e prodotti impiegati nell’alimentazione degli animali? Quali antiossidanti? Quali sostanze sono impiegate nella produzione di alimenti biologici trasformati? I solfiti sono ammessi come conservanti? e i nitriti? E gli addensanti carragenina e gomma di guar?
Sapete tutte le risposte? Vi va di informarvi? ecco il REGOLAMENTO (CE) N. 889/2008 DELLA COMMISSIONE del 5 settembre 2008 recante le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, per quanto riguarda la produzione biologica, l’etichettatura e i controlli.
Professione gastro-photoreporter. Degli Aromi naturali, artificiali e natural identici
Pubblicato: 2012/01/22 Archiviato in: Additivi, Aromi, Coloranti, Food design 6 commentiRiuscireste ad identificare il prodotto con i seguenti ingredienti? Avvistato in un supermercato viennese. Grazie a Grissino di nuovo in veste di gastro-photoreporter.
Latte scremato, derivati del latte, panna (20%), zucchero, amido modificato (amido di mais, amido di frumento senza glutine), addensanti: carragenine, gelatina alimentare, emulsionanti: esteri dell’acido lattico e mono e digliceridi degli acidi grassi, aroma naturale, colorante: complesso della clorofilla con rame, betacarotene, azoto, sale.
La presenza di latte e derivati oltre agli addensanti ci indirizza verso un possibile dessert, i coloranti clorofilla e betacarotene ci fanno pensare a un prodotto con sfumature di verde.
Potrebbe essere un dessert al pistacchio? Potrebbe. Cerchiamo invano la presenza di pasta o granella di pistacchio nella lista. Dunque?
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La cellulosa nel piatto
Pubblicato: 2012/01/18 Archiviato in: Additivi, Fibre alimentari 5 commentiLa cellulosa è un polimero che svolge un ruolo importante nella biochimica vegetale poichè contribuisce alla organizzazione strutturale di piante e alghe. Poiché il legame beta 1-4 tra le unità di glucosio, non viene scisso dagli enzimi che partecipano alla digestione, la cellulosa da un punto di vista nutrizionale è inserita tra i carboidrati non digeribili e appartiene alla famiglia delle fibre insolubili che esercitano diversi ruoli fisiologici a livello intestinale.
Sebbene non sia digeribile, la cellulosa ha trovato numerosi impieghi nell’industria alimentare e altrettanto è accaduto ai suoi derivati che troviamo nell’elenco degli additivi addensanti.
A chi dobbiamo l’ingresso della cellulosa in campo alimentare? Il primo ricercatore a ipotizzare un ruolo per una farina di cellulosa fu Frederick Hoelzel nel 1919. Ma solo alcuni decenni dopo si affermò l’utilizzo della cellulosa nell’industria alimentare. Come per altre scoperte fu una intuizione inaspettata. Il Prof. O A Battista – siamo negli anni 50- stava lavorando a delle fibre tessili ricavate dalla cellulosa. Nel corso di alcuni test, mentre provava diverse miscelazioni tra acqua e cellulosa, notò la formazione di una crema bianca nel frullatore che stava usando.
Il Dott. Battista nel suo laboratorio
Fu incuriosito dal risultato e continuò con altri test fino ad arrivare a brevettare il prodotto, una cellulosa in polvere che iniziò a testare come possibile ingrediente alimentare. Si dimostrò che l’ingrediente permetteva di ottenere prodotti che si masticavano senza problemi e conferivano sazietà. Nacquero i primi “cellulose cookies” impastati e cotti nella stufa del laboratorio. In seguito si arrivò al prodotto che fu chiamato Avicel
Nel 1961 nella rivista Life Magazine fu pubblicato un articolo “Food that is not food” in cui si annunciava appunto la nascita di Avicel, un ingrediente presentato come innovativo per l’industria alimentare e dei prodotti dietetici. Si intuì infatti che la cellulosa poteva essere impiegata con successo come fat-replacer permettendo di ridurre l’apporto calorico di gelati, dessert e salse. In quegli anni arrivò l’autorizzazione della Food and Drug Administration, e le vendite decollarono. Per far conoscere meglio le potenzialità del muovo ingrediente, fu coinvolta la scrittrice Myra Valdo. Myra, autrice di libri di ricette fu incaricata di pensare a nuove combinazioni in cui la cellulosa era tra gli ingredienti. Ecco Myra mentre assaggia una delle sue creazioni.
Negli anni successivi, diversi derivati della cellulosa sono stati immessi sul mercato. Nota la scarsa solubilità della cellulosa in acqua, per poter essere sfruttata industrialmente in alcune applicazioni, sono stati sintetizzati diversi derivati come la metilcellulosa (MC) e la carbossiMetilCellulosa (CMC). Altri derivati della cellulosa sono l’idrossi-propil-cellulosa e l’idrossi-propil-metil cellulosa (HPMC). L’introduzione dei sostituenti ha permesso di ottenere molecole con caratteristiche di reattività e solubilità molto diverse. Un esempio di come cambiano le proprietà di solubilità nei derivati della cellulosa rispetto alla molecola madre, è raffigurato nella immagine: cellulosa e carbossimetilcellulosa a confronto.
Ecco le sigle con cui possiamo riconoscere la presenza di cellulosa e derivati tra gli ingredienti dei prodotti alimentari:
cellulosa E460i, metil-cellulosa (E461),
Etilcellulosa (E 462),
Idrossi-propil-cellulosa (E 463),
Idrossi-propil-metilcellulosa (E 464),
Etilmetilcellulosa (E 465),
Carbossimetilcellulosa (CMC, E 466 ).
Essi trovano impieghi come additivi idrocolloidi in dessert, budini, salse, gelati, piatti pronti, insaccati,yogurth, low-fat products, prodotti gluten-free.
L’etilcellulosa è impiegata anche come stabilizzante di emulsione nei sistemi misti acqua/olio e come strato barriera per controllare la diffusione degli ingredienti, come nei preparati per la pizza.
L’idrossipropilmetilcellulosa (E464) la troviamo in alcune farine e prodotti gluten-free dove viene impiegata per migliorare ile caratteristiche organolettiche dei prodotti per celiaci.
Nel Codex Alimentarius troviamo le informazioni su tutti i tipi di prodotti in cui possono essere impiegati.
Tra i derivati della cellulosa, la metilcellulosa si è guadagnata un po’ di notorietà perché è tra gli ingredienti impiegati nella cucina molecolare. La proprietà piu’ interessante della metilcellulosa è quella di dissolversi in acqua fredda e solidificare quando viene riscaldata. Qualche ricetta da sperimentare? hot vanilla ice cream, hot mozarella sheets,caramellized yoghurt gnocchi.
Cosa si può dire sulla sicurezza d’uso dei derivati della cellulosa? Il comitato scientifico dell’alimentazione umana (SCF) ha valutato positivamente in passato una serie di cellulose modificate. Nel 1994 l’SCF ha assegnato una dose accettabile giornaliera (ADI) “non specificata” a cinque derivati della cellulosa strettamente collegati fra loro, ovvero a metilcellulosa (E461), etilcellulosa (E462), idrossipropilcellulosa (E463), idrossipropilmetilcellulosa (E464), etilmetilcellulosa (E465) e carbossimetilcellulosa (E466). Anche il Comitato congiunto di esperti FAO/OMS sugli additivi alimentari (JECFA) ha valutato le cellulose modificate assegnando un’ADI di gruppo “non specificata” ai sette derivati modificati della cellulosa tra cui l’etilcellulosa.
A proposito di idrossi propil metil cellulosa (HPMC), il composto ha ottenuto il riconoscimento di due claims dall’EFSA. Il primo riguarda un rapporto di causa ed effetto fra il consumo di HPMC e la riduzione della risposta glicemica post-prandiale. Il Gruppo di esperti scientifici ha ritenuto che, al fine di ottenere l’effetto dichiarato, dovrebbero essere consumati almeno 4 g di HPMC per pasto. La popolazione target è costituita da adulti che vogliono ridurre le proprie risposte glicemiche post-prandiali.
L’altro claim autorizzato riguarda il rapporto di causa ed effetto fra il consumo di HPMC e il mantenimento di normali concentrazioni di colesterolo nel sangue. Per ottenere l’effetto dichiarato, dovrebbero essere consumati almeno 5 g al giorno di HPMC in due o più somministrazioni.
Avete già visto prodotti con questi claims tra gli scaffali?
Qualche considerazione da un punto di vista nutrizionale.
La metilcellulosa (MC) e gli altri derivati della cellulosa non vengono digeriti, come la cellulosa. Queste caratteristiche insieme alla capacità di essere fermentate dalla flora batterica intestinale, ha permesso l’inclusione dei derivati della cellulosa nell’elenco delle fibre alimentari. Infatti in accordo con il documento “Statement of the Scientific Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies on a request from the Commission related to dietary fibre” rientrano tra le fibre le seguenti molecole:
• Carboidrati e composti analoghi, lignina e sostanze che non sono digerite dall’intestino. Tra queste: Polisaccaridi diversi dall’amido, oligosaccaridi non digeribili, cellulosa, emicellulose come arabinoxilani, arabinogalattani, xiloglucani, pectine, fruttani (inulina), gomme e mucillagini
• Composti analoghi ai carboidrati, destrine non digeribili, carboidrati di sintesi e derivati (es.polidestrosio, metilcellulosa e idrossipropilcellulosa )
Conclusione? un prodotto contenente gli addensanti come la metilcellulosa o la idrossi-propilmetilcellulosa, potrebbe sulla base della nuova definizione, essere etichettato con la dicitura “Con fibre” perchè c’è il derivato della cellulosa come ingrediente.
Che cosa penso di questa nuova definizione delle fibre l’ho già detto, per me è fuorviante.
Una alimentazione ricca di fibre significa privilegiare piatti con cereali non raffinati, legumi, ortaggi, frutta. L’uso di questi ingredienti nei prodotti può contribuire ad un falso senso di sicurezza nutrizionale. Cosa ne pensate voi?
E con questo articolo partecipo al Carnevale della Chimica: Quali molecole hanno cambiato il mondo? ospitato su Gravità zero.
Fonti:
Agenda di ottobre
Pubblicato: 2011/10/02 Archiviato in: Educazione e informazione alimentare Lascia un commentoDove sono finita? sono qui, con la valigia semi disfatta e già penso nuovamente a cosa metterci dentro per la prossima partenza. Infatti la settimana scorsa sono stata a Modena dove ho partecato a Sicura Convention, l’evento dedicato alla sicurezza nel settore alimentare.
Ottobre si presenta denso di impegni, riprendono le lezioni e si preannunciano vari appuntamenti. Giovedì 6 ottobre 2011 sarò ad Ascoli Piceno in occasione del 15° Convegno Scientifico di Nutrizione del Piceno organizzato dalla Dr.Paola Nanni. Parlerò di Alimenti funzionali con attenzione rivolta in particolare agli effetti sull’apparato intestinale. Buona occasione per fare il punto della situazione sui probiotici. Durante la manifestazione è prevista anche una degustazione che mi incuriosisce: il Gelato Tricolore preparato in occasione de “I 150 anni dell’Unità d’Italia”.
Domenica 9 0ttobre invece sarò a Pesaro, ho accolto l’invito della Dr.ssa Elsa Ravaglia, Dirigente SIAN e animatrice dell’Obesity day locale. Le attività si svolgeranno in centro tra Palazzo Ricci e la Piazza del Mercato delle Erbe. Dalle 9,30 alle 11,00 ci sarà una passeggiata culturale in collaborazione con UISP, obbligatorio quindi portare scarpe comode. Alle ore 11,00 presso Palazzo Ricci è previsto il rientro, uno spuntino e a seguire in Sala Rossa un incontro rivolto alla cittadinanza dove interverrò su “I nuovi ingredienti alimentari: conoscere per scegliere.” Di materiale in archivio ne ho, dai grassi vegetali prodotti per interesterificazione agli addensanti, emulsionanti ecc…si tratta di riordinare le idee e preparare un intervento che sia interessante e che catturi l’attenzione.
Dal 23 al 26 ottobre sarò in Sicilia, a Erice per un impegno accademico. A Erice si terrà il convegno internazionale The Obese species presso il prestigioso Ettore Majorana Foundation and Centre for Scientific Culture International School of Ethology. Un programma ricco di interventi che spaziano dagli aspetti psico-biologici alla clinica. Il mio intervento “Is Prader-Willi syndrome associated with oxidative damage?” è previsto per martedì 25 ottobre 2011.
Mi metto al lavoro per il primo impegno :).
Lo sciroppo di tapioca
Pubblicato: 2010/11/22 Archiviato in: C' è posta per TRASHFOOD, Filiere 5 commentiRispondo ad una richiesta di un lettore che si interroga sullo “sciroppo di tapioca” trovato come ingrediente in uno yogurth ottenuto con latte di soia.
Dovremmo parlare al plurale, sono diversi infatti gli sciroppi che si ottengono dai tuberi della tapioca anche chiamata cassava o yuca root. Gli sciroppi differiscono tra loro per la percentuale degli zuccheri semplici e si ottengono dopo aver estratto l’amido, il principale carboidrato di riserva contenuto nei cereali, nelle patate e altri tuberi. L’amido è costituito da una miscela di due polimeri di glucosio: amilosio ( circa 20-30%) e amilopectina (70-80%). Nell’amilosio i legami tra le molecole di glucosio sono di tipo alfa 1-4 mentre nell’amilopectina ci sono sia legami alfa 1-4 sia alfa 1-6. Il rapporto tra le due molecole (amilosio e amilopectina) determina le proprietà sensoriali, organolettiche e funzionali dell’amido.
Grazie all’impiego di vari enzimi, l’amido può essere impiegato per ottenere gli sciroppi.
L’amido viene prima riscaldato e sottoposto all’azione dell’enzima amilasi. Le catene di amido parzialmente degradato si chiamano maltodestrine e sono il materiale di partenza per le tappe successive in cui si impiegano enzimi come l’alfa-amilasi a temperature fino a 100 °C. Successivamente l’intervento dell’enzima glucoamilase rilascerà le molecole di glucosio. I prodotti contengono prevalentemente glucosio o maltosio. Alcune aziende ottengono dalla tapioca uno sciroppo in cui sono presenti sia glucosio che fruttosio (55%-42%). Gli sciroppi trovano impiego come dolcificanti o per altri scopi, come addensanti per esempio in dessert e piatti surgelati.
Di certo lo sciroppo di tapioca si propone come un dolcificante alternativo allo sciroppo di glucosio-fruttosio ricavato dal mais. E’ così che vengono presentati i prodotti nel sito web di una azienda produttrice. Prodotti quindi destinati a consumatori attenti alle materie prime e ad escludere mais o prodotti transgenici. A questo aggiungerei -come ho già scritto in passato – che i dolcificanti derivati dal mais, sono stati accusati di essere una delle cause dell’obesità e di non essere un prodotto naturale.
Hello Kitty sotto zero
Pubblicato: 2010/08/19 Archiviato in: Additivi, Coloranti, Food blogs 9 commentiAvvistata la vaschetta del gelato della linea Hello Kitty. Non è la prima volta che la Motta-Nestlè dedica alla micetta Kitty alcuni gelati, sono già arrivati la coppetta e lo stecco dedicati a quella che viene chiamata “kidult generation.”
Cosa c’è dentro la new entry? il gelato al gusto di vaniglia e gelato alla fragola con cereali ricoperti al cioccolato?
Ingredienti: latte scremato reidratato, olio vegetale, zucchero, sciroppo di glucosio, acqua, purea di fragole (7,2%), siero di latte in polvere, cereali ricoperti al cioccolato bianco [zucchero, burro di cacao, latte intero in polvere, emulsionanti lecitine (di soia), aromi) (45,25 corrispondente a 1,2% sul totale del prodotto), zucchero, farina di mais e di malto d’orzo (18,2% corrispondente a 0,5% sul totale del prodotto), emulsionanti mono- e digliceridi degli acidi grassi, agenti di rivestimento gommalacca e gomma arabica, colorante cocciniglia, aromi, sale, grasso vegetale, alcool, sciroppo di glucosio, correttore di acidita’ acido citrico] (2,8%), succo di limone, aromi, addensanti gomma di guar, farina di semi di carrube e alghe euchema trasformate, emulsionanti mono- e digliceridi degli acidi grassi, colorante rosso di barbatietola, acidificante acido citrico. Può contenere tracce di frutta a guscio e uova.
Tabella nutrizionale Per 100g di prodotto
Valore energetico Kcal 218
Proteine 2,5 g
Carboidrati 25,1 g
Di cui Zuccheri 22,3 g
Grassi 11,7 g
Di cui Saturi 7,5 g
Fibre Alimentari 0,2 g
Sodio 0.05 g
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