Il grasso di cocco raffinato e idrogenato

Oggi parliamo di grasso di cocco raffinato, uno degli ingredienti del prodotto dell’ultimo Et.chettibus.

Il grasso di cocco raffinato è un ingrediente alimentare utilizzato in preparati in polvere nel settore gelateria, pasticceria e dolciario in genere. Il preparato per l’industria dolciaria è’ composto da Olio di cocco (80%), Sciroppo di glucosio, Caseinato di sodio, Stabilizzante E 451, Antiagglomerante E 341.

Il Grasso di cocco raffinato, disponibile anche in polvere, deriva dall’olio di cocco.

Come si arriva a questo prodotto incolore e inodore chiamato RBD coconut oil? Gli addetti ai lavori lo chiamano RBD coconut oil a ricordare i termini Refined, bleached, deodorized (RBD) e le tappe che portano alla produzione dell’olio di cocco raffinato.

Si parte dai frutti. Le noci di cocco vengono raccolte manualmente, la buccia esterna viene rimossa, e la polpa viene essiccata al sole o in impianti appositi. Si ottiene così la copra che confezionata in sacchi di tela è portata negli impienti dove avviene la fase di “cash crop.”

copra

Copra è appunto il nome che nelle zone del Sud Pacifico viene riservato alle parti essiccate derivate dal rivestimento interna del frutto della palma da cocco (Cocos nucifera). E ‘il principale prodotto commerciale derivato dalla palma da cocco, ed è utilizzato principalmente come fonte di olio di cocco. Negli ultimi anni sono state avviate anche filiere per ricavare biodisel.

La copra viene polverizzata e sottoposta successivamente a pressione per estrarre l’olio. Il residuo (copra meal) viene spesso utilizzato come mangime per alimentare il bestiame. L’olio di cocco grezzo viene successivamente raffinato utilizzando processi comuni alle filiere produttive di altri oli vegetali. Un utile schema per chi non conoscesse i dettagli.

Il prodotto viene quindi raffinato con solventi organici, decolorato e deodorato. Si conoscono vari tipi di olio di cocco, organic,vergine, raffinato,idrogenato in relazione alle materie prima di partenza e al processo produttivo.

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L’olio di cocco è stato introdotto come una fonte di grassi commestibili nel nord Europa nel 1860 a causa di una carenza di grassi lattiero-caseari. All’inizio del 20° secolo divenne noto negli Stati Uniti. L’Europa occidentale importa circa mezzo milione di tonnellate l’anno, principalmente dalle Filippine, Papua, Nuova Guinea, Mozambico, Malesia e le isole del Pacifico. L’economia di molte piccole isole è fortemente dipendente dalla produzione di copra.

L’olio di cocco è un grasso costituito per circa il 90% di grassi saturi. L’olio contiene prevalentemente trigliceridi a catena media, il 6% è rappresentato da acidi grassi monoinsaturi, e il 2% da acidi grassi polinsaturi. Degli acidi grassi saturi, principalmente abbiamo acido laurico (44,6%), acido miristico (16,8%), acido palmitico (8,2% ) e l’8% di acido caprilico. Quando è sottoposto a idrogenazione possiamo avere un ulteriore aumento di grassi saturi.

Ma perchè sottoporre a idrogenazione un olio già così ricco di saturi? Infatti per l’elevato contenuto in grassi saturi, l’olio di cocco è particolarmente stabile al trattamento termico, è resistente anche all’ irrancidimento. Il punto di fumo dell’olio di cocco grezzo è di circa 177°C, l’olio di cocco raffinato ha un punto di fumo maggiore di 232°C.

L’Olio di cocco costituisce circa il 20 per cento di tutti gli olii vegetali utilizzati in tutto il mondo. Si tratta di un ingrediente comune nelle margarine, in condimenti. L’Olio di cocco viene anche utilizzato nella fabbricazione di saponi, detergenti e shampoo per gli elevati livelli di acido laurico.

Il punto di fusione dell’olio di cocco è di 24°C quindi a temperature superiori si presenta liquido, sotto questa temperatura si presenta solido. Ecco delle bottigle sottopoate a temperature decresecenti. A sinistra l’olio completamente liquido e a destra la bottigli in cui il grasso si è solidificato.

E nell’immagine una confezione di grasso di cocco solido. Lo avete mai impiegato? Esperienze da raccontare?

grasso di cocco solido

Fonti e immagini

coconutoil-online.com

foodrenegade.com

rabauldailyphoto-jules.blogspot.it

madehow.com


Coccodabere

Si chiama proprio così. E’ un Cocco importato dalla Mc-Garlet, già tagliato a metà, confezionato con cannuccia, ready to drink. In vendita (non in tutti) i supermercati Conad.
Qualcuno l’ha trovato? Grazie a Roberto per l’assist!


Mono-e digliceridi degli acidi grassi (E471)

monoglyceride

Li troviamo nei prodotti da forno, nei dolci artigianali o dell’industria, nei gelati e nei dessert, sono impiegati come addensanti ed emulsionanti. Chissà quante volte li avrete letti e vi sarete chiesti: come sono prodotti? Parlo dei mono-e digliceridi degli acidi grassi (E471). I primi composti furono sintetizzati probabilmente dal chimico francese Marcelin Berthelot nel 1853, ma solo in seguito iniziarono le applicazioni commerciali. Il loro utilizzo fu prevalentemente nella fabbricazione delle margarine poi il loro uso è stato esteso a numerose applicazioni. Un esempio? questa preparazione gastronomica.

lasagne

A partire dalla seconda metà del 20 ° secolo, una vasta gamma di emulsionanti di sintesi sono stati prodotti e utilizzati su larga scala. Tra essi troviamo appunto i mono- e digliceridi degli acidi grassi, una famiglia numerosa di molecole, infatti se il glicerolo ( chiamato anche glicerina) è il loro denominatore comune, le catene degli acidi grassi che sono legate ad esso possono variare. Ma torniamo alla domanda: Come si ottengono?

Appartengono alla famiglia dei grassi quindi le materie prime di partenza sono grassi vegetali (palma, soia, cocco, canola) o animali. Le due preparazioni commerciali più diffuse di sono : (1) esterificazione diretta del glicerolo che viene messo a reagire con acidi grassi, e (2) una reazione di glicerolisi che coinvolge i trigliceridi contenuti in grassi naturali e oli.

produzione monogliceridi

Si usano anche oli e grassi idrogenati? Può accadere, basta curiosare tra i siti web di alcune aziende e troviamo anche oli idrogenati come materie prime. I prodotti che si ottengono dalle reazioni chimiche descritte sopra, vengono ulteriormente purificati per ottenere una miscela di gliceridi, acidi grassi liberi e glicerina libera. La procedura della glicerolisi è più economica perché i grassi (trigliceridi) sono più economici rispetto agli acidi grassi isolati ed è richiesto meno glicerolo. Poiché le reazioni vengono condotte a temperature elevate (210°C-230°C), reazioni collaterali possono produrre cambiamenti di colore e formazione di composti non graditi. Un nuovo processo produttivo messo a punto prevede l’uso della esterificazione enzimatica. L’enzima che svolge la reazione è la lipasi ottenuta da alcuni microrganismi. Si usano temperature inferiori rispetto ai processi precedenti, si riduce la formazione di composti indesiderati quindi questo processo produttivo è considerato vantaggioso.

gliceridi

Seguono tappe di deodorazione e purificazione. I Monogliceridi possono essere ulteriormente purificati mediante distillazione.
I prodotti che si ottengono possono essere liquidi, solidi o semi-solidi. Ogni azienda ha poi dato dei nomi di fantasia alle varie miscele in relazione ai tipi di olio impiegati. Esempi? Myverol®, Myvacet®, Myvaplex®. Si stima che il 50% degli emulsionanti usati nelle varie filiere produttive sia costitutito dai mono-e digliceridi degli acidi grassi. Da essi derivano poi altri emulsionanti ( della serie E472) che si ottengono facendo reagire acidi organici e monogliceridi distillati. Tra i derivati ci sono monogliceridi acetilati, esteri dell’acido citrico, esteri dell’acido lattico ecc. Inoltre, utilizzando poliglicerolo è possibile ottenere esteri del poliglicerolo tra cui il Poliricinoleato di Poliglicerolo (E476) di cui avevo scritto qui.

E voi Li avete mai incontrati i derivati dei mono-e digliceridi degli acidi grassi?

Fonte immagini


L’anno scorso su TRASHFOOD

Il 2012 è stato un anno meno prolifico degli anni precedenti, la vita off line non lascia troppo tempo per riflettere e scrivere. Sono comunque numerosi i temi affrontati. Una selezione scelta per voi. Enjoy!

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Cartoline da TriesteNext-4. OGM, filiere e gastronomia molecolare

Si è fatto attendere, ne valeva la pena. A voi il quarto report di Paolo Cocco da Triestenext Le precedenti puntate:

Cartoline da Triestenext. Dagli sprechi alimentari alle tagliatelle con farina-dinsetti/

cartoline da TriesteNext.Venerdi, digestione e accoglienza: primi incontri/

Save-the-food-cartoline-da-triestenext/

“Cara Gianna,

La città di Trieste si è svegliata un po’ più grigia e piovosa degli ultimi giorni, così appena alzato sono corso ad avvertire Italo Svevo di portarsi dietro il cappello.

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Un obiettivo di oggi, conferenze a parte, è stato – come vedrai – passare a dare un arrivederci al signor Svevo e ad altri due bronzei passeggiatori triestini.

La giornata è iniziata con una delle conferenze più “calde” del ciclo:

“OGM: Un mito da smantellare?”

Il principale relatore dell’incontro era Roger Beachy, virologo molecolare statunitense, creatore della prima verdura transgenica, e soprattutto l’esperto voluto dal presidente Barack Obama alla direzione del National Institute of Food and Agricolture, l’organismo del dipartimento di agricoltura degli Stati Uniti che si occupa di finanziare la ricerca nell’agronomia. Quel che si dice un pezzo grosso, insomma… E gli altri ospiti non erano da meno: Michele Morgante, Gilberto Corbellini, Mauro Giacca, tutti medici o biologi molecolari.

Gilberto Corbellini & the rest of them

L’obiettivo principale dell’incontro è stato mostrare dati in supporto dei vantaggi dell’ingegneria genetica in agricoltura. I relatori hanno contribuito a spiegare in che modo il passaggio a prodotti modificati geneticamente possa migliorare la resa dei raccolti, un fattore cruciale in un pianeta in continua espansione demografica, e ridurre l’utilizzo di pesticidi, antibiotici e fertilizzanti nocivi per l’uomo e per l’ambiente. Gli ospiti hanno inoltre spiegato che tutti gli studi sull’effetto degli OGM sulla salute, e gli oltre duemila miliardi di pasti contenenti OGM consumati dal 1996 a oggi, hanno mostrato che non ci sono motivi di pensare che possano avere effetti dannosi per la salute.

Molti giornalisti hanno accusato l’incontro di essere sbilanciato a favore degli OGM e di non avere contraddittorio. Personalmente, non credo che tutte le discussioni abbiano bisogno di un contraddittorio – dopotutto, se l’argomento fosse stato l’evoluzione, non avrei sentito la necessità di un creazionista sul palco. Tuttavia, la discussione sugli OGM non riguarda esclusivamente la salute umana e l’ambiente, ma anche l’impatto economico della diffusione di colture brevettate, il divario tra i paesi produttori, e così via. L’argomento trattato era solamente una faccia del tema “ingegneria genetica”, e forse sarebbe stato interessante avere almeno una seconda sessione da dedicare specificamente ad altri aspetti ugualmente interessanti per una conferenza come questa.

Dopo pranzo (e dopo un gelato), sono passato a salutare il secondo amico immobile, Umberto Saba, dall’aria profondamente malinconica da quando ha scoperto di essere nel mezzo di una via commerciale.

Umberto

Alle tre del pomeriggio, è iniziato il secondo dibattito:

Filiera ecosostenibile o km 0?”

(Lo scontro!)

Questa è stata una conversazione davvero istruttiva. Ti confesso che non avevo mai pensato al “km zero” come a una politica che non necessariamente aiuta l’ambiente, né ai limiti della filiera ecosostenibile. Gli ospiti erano tanti, ma come succede nei film e in politica, due di loro hanno dominato la scena: Roberto Brazzale, della famiglia di produttori caseari che produce tra gli altri il noto formaggio “Gran Moravia”; e Andrea Rigoni, uno dei fratelli dietro il marchio Rigoni di Asiago.

"Filiera ecosostenibile o km0?"

Brazzale sembra avere un approccio molto moderno all’ambiente: il loro stabilimento in Moravia (Repubblica Ceca) è certificato ecosostenibile, e oltre a questo, l’azienda ha anche introdotto sui propri prodotti una “Etichetta multimediale di origine” che, se fotografata con uno smartphone, collega a una pagina web contenente tutti i dettagli sulla produzione di quello specifico prodotto inclusa l’immagine satellitare del sito di produzione (!) e soprattutto la water footprint o impronta idrica, che indica quanta acqua quel prodotto è costato all’ambiente.

"Filiera ecosostenibile o km0?"

Dall’altra parte, lo stabilimento del Gran Moravia è in Repubblica Ceca… il che aggiunge costi ambientali di trasporto rispetto a un prodotto interamente italiano. È qui che invece si distingue la Rigoni di Asiago, azienda impegnata nella produzione a filiera corta (cortissima, si potrebbe dire, specialmente per un’azienda tanto grande!) quando possibile, e meno corta, ma certificata biologica, quando motivi ambientali renderebbero impossibile o più impattante la produzione di un particolare ingrediente in Italia.

Non credo che ci sia un “vincitore”; ma ho ammirato l’impegno che entrambe le marche sembrano avere per la trasparenza e la tracciabilità del prodotto. Siamo un popolo di scettici e scoraggiati, e qualunque iniziativa che non si limiti a sfoggiare un certificato, ma inviti il cliente a vedere con i propri occhi, merita rispetto.

È arrivato il momento di una confessione, cara Gianna. Ho passato tre giorni a seguire professori, partecipare a conferenze, prendere appunti; ma la parte migliore del fine-settimana è stata quando sono riuscito a imbucarmi a un evento tutto esaurito di gastronomia molecolare domenica pomeriggio.

Sono sicuro che tu e i tuoi lettori conosciate meglio di me la gastronomia molecolare, la branca culinaria che usa la conoscenza dei processi di trasformazione chimica e fisica delle sostanze per inventare nuovi modi di preparare gli alimenti.

Era la prima volta che effettivamente assistevo alla preparazione di piatti molecolari, e mi sono sentito come un bambino di sei anni davanti a un illusionista. Sardone “cotto” a freddo nel sale; uova in camicia cucinate a sessanta gradi; lingua bovina tenera come filetto; un finto uovo che era in realtà una gelatina di frutta; e l’immancabile gelato estemporaneo preparato con l’azoto liquido. Che meraviglia!

La gastronomia molecolare ci costringe a pensare al vero significato di termini quasi banali come cucinare, friggere, crosta, caramello…

Ma ecco cosa ha reso l’evento realmente memorabile: poiché ho passato l’intero incontro pubblicando su Twitter, prendendo appunti e scattando fotografie con la mia macchina reflex, sono stato scambiato per l’inviato di una redazione giornalistica, e ho ricevuto – unico tra il pubblico – un assaggio di ogni piatto. Esilarante, gratuito, e delizioso.

Qui di seguito, una selezione di fotografie del laboratorio.

Penso che sia giunto il momento di chiudere il mio reportage, Gianna. È stato un weekend intenso e interessante, ricco di incontri ed esperienze tanto per persone di scienza quanto per il pubblico generale. Sarebbe potuto forse essere più organizzato sotto alcuni aspetti, ma il giudizio finale è molto positivo. E spero di essere riuscito a trasmettere parte dell’atmosfera anche a te e ai tuoi lettori.

Alla prossima missione, e un saluto da James Joyce e da me!

James & Pa

Paolo

Paolo Cocco è un trentaqualcosenne sardo, naturalista ed etologo per formazione. Ha vissuto e lavorato a Sassari, Torino e New York, ma preferisce definirsi “apolide d’adozione”. Si occupa di divulgazione ed educazione scientifica e sogna di lavorare per riviste e musei di storia naturale.


Cartoline da TriesteNEXT -3. Dagli sprechi alimentari all’entomofagia

Non perdetevi il terzo report di Paolo Cocco da TriesteNEXT

29 settembre 2012

Cara Gianna,

Spero di cuore che i baristi triestini siano pagati molto, molto bene, perché rischiano la follia.
In questa città esistono decine di tipi diversi di caffè.

caffè a Trieste

Superato un lungo momento di smarrimento, ho ceduto alla tentazione di provare qualcosa di tipicamente triestino, così invece che un “nero” (il nome locale per l’espresso in tazzina senza aggiunte), ho ordinato un “gocciato”: un espresso con una spruzzatina quasi simbolica di schiuma di latte. Talmente piccola che l’ho potuto bere nonostante la mia (parziale) intolleranza al lattosio.

Il primo incontro per così dire non calorico della giornata s’intitolava “Benvenuti nell’era della scarsità e dello spreco alimentare” e vedeva protagonisti Andrea Segrè e Massimo Cirri.

Dibattito Segrè e Cirri

Andrea Segrè è un professore di politica agraria a Bologna, ma anche tante altre belle cose. Il tema principale di questo incontro era il suo progetto Last Minute Market, una campagna di sensibilizzazione che si accompagna a un’iniziativa molto concreta per ridurre gli sprechi dal supermercato al frigorifero di casa. Da una parte, i supermercati coinvolti s’impegnano a ridurre al minimo la quantità di prodotto che va al macero, attraverso offerte speciali specifiche per prodotti in via di scadenza e attraverso la donazione dei beni invenduti ma non ancora scaduti a organizzazioni caritative; dall’altra, i cittadini imparano attraverso il portale internet e le campagne informative ad acquistare meno, usare fino in fondo, sprecare il minimo possibile. Ho imparato con sconcerto che solo il 12-16% del budget domestico degli italiani è destinato al cibo, ed è persino in calo, nonostante la crisi economica possa portare ad aspettarsi una riduzione dei beni di lusso e non della spesa in alimenti. Per di più, dal momento che i carrelli restano pieni e lo spreco non accenna a ridursi, questo si accompagna (necessariamente?) a un crollo della qualità dei prodotti acquistati.

Si possono seguire gli aggiornamenti di Last Minute Market sul sito ufficiale e sul loro blog; io lo farò senz’altro.

E visto che si parla di spreco… La tappa successiva è stata una piccola mostra dal titolo Insostenibili! Sedici cose di cui il mondo potrebbe fare a meno. Attraverso immagini, dati, e campioni o riproduzioni, gli organizzatori ci hanno invitato a riflettere sull’impatto ambientale di alcuni beni di lusso (diamanti, campi da golf, persino cocaina!), abitudini (gomma da masticare, computer perennemente collegati a internet), alimenti (come la carne bovina), tutte risorse che potremmo amministrare più attentamente o eliminare del tutto.

diamante, esempio degli insostenibili

L’ultimo appuntamento di questo sabato che vorrei raccontarti è il curioso laboratorio. A tavola con gli insetti, organizzato in collaborazione col ristorante EXPO Mittelschool di Trieste. Un incontro davvero interessante… a parte forse per la signora che è fuggita disgustata a metà incontro. Ahem.

L’entomologo padovano Maurizio Guido Paoletti ha aperto il laboratorio affrontando il tema dell’alimentazione con insetti, o entomofagia, da un punto di vista scientifico. Abbiamo scoperto che oltre 1400 specie di invertebrati sono commestibili e usate come cibo in qualche parte del mondo – incluso le larve di mosca che noi sardi mangiamo nel delizioso ‘formaggio coi vermi’ o casu marzu. Ho scoperto così che in alcune culture nativo-americane gli invertebrati arrivano a rappresentare il 70% della dieta. In particolare, le donne della comunità Ye’Kuana mangiano nelle settimane dopo il parto solo lombrichi; gli studi hanno rivelato che sono ricchi in acido arachidonico e altre sostanze fondamentali per la madre e il neonato.

Meeting on edible insects

Gli esperti presenti in sala hanno evidenziato il grande potenziale dell’entomofagia per un’alimentazione più sostenibile: molti invertebrati sono più proteici, più ecologici, più efficienti nella conversione di mangime in massa corporea.

A seguire, una “strana coppia” costituita da una fisica teorica e un ingegnere elettronico ha presentato il proprio brevetto per GoingBugs, la prima pasta (proprio nel senso di tagliatelle!) a base di farina di insetti. Purtroppo non ci sono stati concessi assaggi, ma il progetto è appena all’inizio e i ricercatori ci hanno invitato a seguirli su Facebook e assicurato che è veramente gustosa. (Ed è qui che la povera signora dallo stomaco delicato è corsa via dalla sala…)

tagliatelle con farina d'insetti
Infine, il momento tanto atteso: degustazione di larve di tarme della farina e grilli.

larve di tarme

Li ho provati entrambi; non li ho trovati particolarmente “strani” nel sapore, simili (nelle ricette proposte) a salatini ripieni con un misto di spezie e un retrogusto di noce moscata. Proverei volentieri le tagliatelle, ma ancora una volta, difficilmente dico no a un cibo che non ho mai assaggiato prima.

Sono arrivato alla fine della serata; a domani con gli aggiornamenti sull’ultima, intensa, molecolare giornata di TriesteNEXT!

Paolo

Paolo Cocco è un trentaqualcosenne sardo, naturalista ed etologo per formazione. Ha vissuto e lavorato a Sassari, Torino e New York, ma preferisce definirsi “apolide d’adozione”. Si occupa di divulgazione ed educazione scientifica e sogna di lavorare per riviste e musei di storia naturale.

Fonte immagini


Cartoline da TriesteNEXT -2. Venerdì: digestione, accoglienza, primi incontri

Seconda puntata di Cartoline da TriesteNext. Paolo Cocco a te!

28 settembre 2012

Cara Gianna,

Conosci il frico morbido? Che meraviglia! È una specie di pancake, per così dire, a base di formaggio, patate, altro formaggio, burro, e ancora formaggio. L’ho mangiato ieri sera a Udine a casa di una cara amica che conosce la mia golosità e curiosità di provare ogni prodotto tipico. La fame ha vinto sullo spirito di cronista per cui non ho una fotografia, ma eccoti un’infografica:

Frico infografica

Arrivato a Trieste a metà mattina, ho depositato il mio bagaglio e firmato il registro insieme a cento, centocinquanta altri studenti. Tutti abbiamo ricevuto una bella maglietta bianca dell’evento, un badge sponsorizzato da Radio 24, e ahimè!, un elenco di eventi obbligatori a cui partecipare… il che ha significato nessun evento alimentare e troppi eventi politico-universitari. Ho iniziato a pianificare la mia via di fuga.

Nel pomeriggio TriesteNEXT è iniziato ufficialmente. Dopo la necessaria presentazione da parte degli organizzatori e principali sponsor, si è entrati nel vivo della discussione con un incontro sulla ricerca in Europa, in particolare a proposito della relazione tra ricerca di base e applicata. Ho scoperto tra le altre cose l’esistenza di un fondo di ricerca europeo destinato specificamente a collaborazioni tra ricercatori di diverse università.

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Scappato nel breve intervallo tra l’incontro sulla ricerca e il successivo su Open Access, ho partecipato a una lezione chiamata “Dal chicco alla tazzina”, parte degli incontri organizzati dalla Università del Caffè Illy. L’insegnante, nonostante una chiara tendenza a parlare di ciò che rende unica la miscela dei suoi datori di lavoro, è riuscito a raccontare in modo interessante la sfida di riuscire a mantenere una miscela costante nel sapore nonostante la variabilità della produzione anno dopo anno, e ha mostrato immagini di un apparecchio chiamato Sortex, che preseleziona i chicchi di caffè “buoni” da quelli “cattivi” prima ancora della tostatura. Il suo aspetto ricorda una grossa stampante di vent’anni fa, ma non lasciarti ingannare – un singolo Sortex è in grado di esaminare 5 tonnellate di caffè ogni ora!

Ti risparmio i dettagli dell’incontro successivo su Open Access, per quanto fosse molto interessante. Il professor Robert Darnton, vero protagonista dell’incontro, ha manifestato un grande talento per la comunicazione, ma soprattutto un’affascinante mimica per un professorone universitario.

Robert Darnton

La serata è terminata con la partecipazione in diretta alla Notte dei Ricercatori su Radio 24… Ho imparato una lezione importante: condurre un programma radiofonico significa avere ben poche possibilità di sentire gli interventi degli ospiti e del pubblico da casa. Il bravo Federico Taddia è riuscito a districarsi con maestria tra le mille cose da gestire allo stesso tempo, ma più di una volta ho sudato freddo per lui.

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Arrivata l’ora di andare a dormire ho desiderato di svegliarmi il mattino successivo per provare di persona l’avventura di ordinare “un nero” a Trieste.

Paolo

Continua…

Paolo Cocco è un trentaqualcosenne sardo, naturalista ed etologo per formazione. Ha vissuto e lavorato a Sassari, Torino e New York, ma preferisce definirsi “apolide d’adozione”. Si occupa di divulgazione ed educazione scientifica e sogna di lavorare per riviste e musei di storia naturale.


SAVE the Food: cartoline da TriesteNEXT

Nei giorni scorsi si è svolta a Trieste la manifestazione TriesteNEXT, una serie di incontri sull’innovazione, la ricerca, e lo sviluppo. Il salone, alla sua prima edizione, si propone di raccontare ogni anno una diversa sfida per la scienza e la società da molteplici punti di vista, con particolare
attenzione al rapporto tra le due. Ho il piacere di ospitare dei report di Paolo Cocco che ha partecipato all’evento. A lui la parola e GRAZIE!

“Il tema del 2012 è stato “SAVE the food”, ovvero “Salviamo il cibo” ma a quanto mi hanno detto al banco informazioni in piazza della Borsa, anche l’abbreviazione di Sostenibilità, Autenticità, Varietà, Esperienza. Insomma, è chiaro che gli organizzatori hanno intenzione di parlare tanto di nuovi e vecchi prodotti, quanto di politiche alimentari, salute, impatto sull’ambiente.

Alcuni incontri hanno avuto l’obiettivo di informare su pratiche più o meno salutari nella produzione degli alimenti; altri hanno voluto aprire i nostri occhi su dilemmi difficili da risolvere; per altri ancora si prevedono appetitose scoperte. Nel corso delle prossime “cartoline” cercherò, con una serie di brevi articoli e per immagini, di raccontarvi tutto questo.

Paolo

Chi è Paolo Cocco? è un trentaqualcosenne sardo, naturalista ed etologo per formazione. Ha vissuto e lavorato a Sassari, Torino e New York, ma preferisce definirsi “apolide d’adozione”. Si occupa di divulgazione ed educazione scientifica e sogna di lavorare per riviste e musei di storia
naturale.


Professione gastro-photoreporter. La tartrazina sotto zero.

Antonella in veste di gastro-photoreporter ha trovato un esempio di gelato al gusto banana in cui è impiegato l’olio di cocco raffinato di cui ho scritto di recente. Gli fanno compagnia il latte scremato in polvere, zuccheri e addensanti vari, aromi e il colorante tartrazina. E la frutta? non pervenuta.

La cartella di Flickr in cui ho archiviato le etichette di prodotti contenenti la tartrazina tra gli ingredienti si arrichisce quindi di un nuovo esemplare in attesa di capire come mai il discusso colorante sia scomparso dalla nuova etichetta adesiva aggiunta all’imballo.

Grazie Antonella!


ET.chettibus® 24

Un nuovo prodotto da cercare. Come nelle ultime puntate, al vincitore un omaggio offerto da Surbir la bottega di golosità Made in Emilia.

Cioccolato fondente [77%] con cacao min.60,1% (pasta di cacao, zucchero,burro di cacao, emulsionante:lecitina di soia; aromi), farina di grano tipo 0, zucchero, grasso di cocco raffinato,olio di mais, amido di mais, emulsionante:lecitina di soia; destrosio, latte scremato in polvere, tuorlo d’uovo in polvere, sale, farina di soia, caramello naturale,aromi.