La qualità garantita dalle Marche

Tutta da seguire la nuova iniziativa dell’Assessorato Agricoltura della regione Marche. Un nuovo marchio regionale ‘QM ‘ Qualita` garantita dalle Marche’ si aggiunge agli altri marchi DOP e IGP. Il marchio è stato presentato il mese scorso. Sono già state stipulate le prime convenzioni per la concessione e l’uso del marchio in relazione ai prodotti latte crudo e latte fresco pastorizzato di alta qualità. Si legge nei documenti che altri prodotti potranno ottenere il marchio, tra cui anche la carne suina,cereali e prodotti ittici. Da ricordare comunque che nelle Marche esiste anche il marchio BovinMarche, nelle macellerie aderenti, è operativo un sistema di certificazione elettronica della carne, in grado di affermare provenienza e caratteristiche dei tagli di carne. Non sono poche comunque le polemiche che hanno accolto il nuovo marchio poichè si legge che si sono impiegate risorse che non garantiscono il legame col territorio, potrebbero ottenerlo anche imprese di altre regioni o stati (?) e che non ha un minimo piano finanziario per la promozione. Non piu’ infatti come ci si augurava, una Qualità garantita delle Marche, ma una Qualità garantita dalle Marche.


30 commenti on “La qualità garantita dalle Marche”

  1. franco ha detto:

    W l’Italia! Si sentiva il bisogno. A quando il ripristino della dogana al passo del Furlo?Vergognamoci

  2. […] La qualità garantita dalle Marche Tutta da seguire la nuova iniziativa dell’Assessorato Agricoltura della regione Marche. Un nuovo marchio regionale ‘QM ‘ Qualita` garantita dalle Marche’</strong> si aggiunge agli altri marchi DOP e IGP . Il marchio è stato presentato il m… read more […]

  3. Grissino ha detto:

    @Franco: no, perché? L’Italia in realtá si snoda per migliaia di chilometri e dire che tutti siamo italiani é giusto fino a un certo punto. Un toscano, un siciliano e un veneto hanno poco in comune tuttavia portano con se tradizioni proprie da coltivare e apprezzare. Ben venga il marchio di una regione se tutela le specialitá regionali anziché essere solo un modo per vendere di piú della concorrenza. In questo caso non saprei se é cosé oppure no… Gianna?

    Qui non esitano a mettere fuori la bandierina dei Länder accanto ai prodotti sui volantini pubblicitari. E poi c’é il marchio Austria che peró é piú di provenienza che di qualitá visto che da quel che ho capito basta produrre la cosa qui anche se viene prodotta una schifezza e il marchio dice “Qualitá dall’Austria”.

  4. franco ha detto:

    Caro Grissino

    la Storia e le tradizioni non si possono fare in un condominio.Un toscano con un siciliano hanno una cosa in comune :sono italiani!Se questo Paese non torna a ragionare con lo stesso spirito e la stessa cultura del dopoguerra fino agli anni ’60 e con il vantaggio dei nuovi mezzi di comunicazione, affonderà miseramente!Le Regioni devono essere solo entità amministrative e non assumere atteggiamenti da Nazione, si rende conto che abbiamo fatto la spassosa figura del “Governatore” cioè il Molise o le stesse Marche ( in 2 faranno gli abitanti di un quartiere di Roma)con tutti gli sprechi e i costi di una burocrazia di condominio che leggifera perchè non sanno come fare passare il tempo. Faccio ( a mie spese) le Fiere all’Estero venga a vedere lo spreco e la vergogna di Regioni, Provincie, Enti etc.Un marchio Marche non serve altro che ha preparare la poltrona per qualche “politicucchio” trombato. Ma l’aria sta cambiando la vicenda Alitalia- Air France non le dice qualcosa?

  5. Grissino ha detto:

    Ahimé purtroppo puó darsi che la faccenda del marchio in questo caso sia come dici tu (nel web non esiste il lei 😉 ). Peró io non ho questo senso di italianitá ne gli dó gran peso visto che secondo me non ha molto senso. Un comasco é piú simile a un ticinese che a un siciliano. Eppure stiamo parlando di due italiani. Ma é la realtá. L’Italia é una entitá molto artificiale e farebbe bene a dare maggiore autonomia alle singole regioni come hanno fatto tanti stati nel mondo (compresi Svizzera, Germania, Austria…). La diversitá é un valore, non un difetto.

  6. franco ha detto:

    In Germania come in Austria ( la Svizzera è un’altra Storia)esiste prima di tutto una Nazione e un Paese. Io mi sento Italiano dalla testa ai piedi ma sembre ed in ogni momento, non secondo il momento. Ma se per senso di italianità vuol dire non dare l’Alitalia all’ Air France allora di fronte alla logica mi incazzo. Mi pare ( non so di dove sia lei)che qualcuno in questa Italia, che fino a 40 anni fa portava le pezze al culo e i pidocchi in testa si sia presentato all’Estero con il Made in…. e qualcun’altro dall’altra parte abbia ricordato all’analfabeta che esiste solo un Made in Italy che è un marchio che esprime tutta la creatività di questa “entità artificiale”.Il web, per me, è un meraviglioso strumento di comunicazione, dico strumento o se vuole accessorio, le mode del web sul dare del tu non appartengono alla mia educazione

  7. Gianna Ferretti ha detto:

    Per ora sto leggendo i vari documenti e delibere. Le finalità del marchio sono -sulla carta- condivisibili:
    • la necessità di incentivare il dialogo fra tutti gli operatori della filiera al fine di perseguire un’effettiva integrazione ed una maggiore aggregazione dell’offerta;
    • la possibilità di aumentare la competitività delle imprese regionali;
    • la necessità di frenare, attraverso la creazione di un unico emblema regionale, l’eccessiva proliferazione di marchi pubblici e privati che rischia di creare confusione nel consumatore.

    E’ stato realizzato anche il sistema informativo regionale per la tracciabilità agroalimentare Si.Tra.

    Da quanto leggo non solo prodotti agroalimentari, anche ristoranti e agriturismi potranno in futuro richiedere il marchio QM.Non so come sarà accolta la cosa dagli imprenditori. Spero che non sia solo una operazione per foraggiare focus group ecc…ecc….

  8. franco ha detto:

    Ferretti

    capisco che anche Tu vivi nel brodo ma non facciamo gli ingenui per favore.
    ..”la necessità di incentivare il dialogo fra tutti gli operatori della filiera al fine di perseguire un’effettiva integrazione ed una maggiore aggregazione dell’offerta;
    • la possibilità di aumentare la competitività delle imprese regionali;
    • la necessità di frenare, attraverso la creazione di un unico emblema regionale, l’eccessiva proliferazione di marchi pubblici e privati che rischia di creare confusione nel consumatore. ”

    Linguaggio Politichese di basso livello, localistico e provinciale

  9. Grissino ha detto:

    le mode del web sul dare del tu non appartengono alla mia educazione
    ******
    Non é una moda, deriva dal fatto che sul web a causa dell’anonimato non é possibile sapere se una persona (nella realtá) é maschio o femmina, dove abita e l’etá. Quindi tu rischi di dare del “lei” a un ragazzino di 12 anni. Non ti sentiresti ridicolo se lo facessi nella vita vera? Inoltre nasce anche dal fatto che una volta il web era un ambiente ristretto per pochi appassionati che badavano piú al sodo e ad aiutarsi a vicenda come amici. Dare del “lei” sul web, specialmente in Blog, forum e community serve solo a distanziarti dagli altri e a farti sembrare uno strano. Fidati, l’educazione non c’entra proprio nulla in questo caso. 😉

  10. Gianna Ferretti ha detto:

    @Grissino. “……E poi c’é il marchio Austria che peró é piú di provenienza che di qualitá visto che da quel che ho capito basta produrre la cosa qui anche se viene prodotta una schifezza e il marchio dice “Qualitá dall’Austria”. Sai farci degli esempi? Gastro-photoreporter, vai!

    @franco. Sono una inguaribile ottimista.
    Ho esordito con “Tutta da seguire la nuova iniziativa dell’Assessorato Agricoltura della regione Marche…” perchè prima di esprimere giudizi, mi informo. Se si tratta di linguaggio politichese di basso livello, localistico e provinciale non tarderemo ad accorgercene.
    Franco, cosa vuole che Le dica? quando passa in Ancona, mi scriva se vuole e venga pure a trovarmi in ufficio e ci facciamo una chiacchierata davanti a un brodino caldo in un posto carino che conosco.

  11. gunther ha detto:

    Vorrei permettermi di esprimere un opinione “semi professionale” non ritengo sia del tutto sbagliata l’idea di avere un marchio che abbia la capacità di individuare i prodotti che provengono da una dato territorio. Sono convinto che chi lo ha creato abbia tutte buone intenzioni, ma un marchio è riconoscibile solo quando ha un “valore” e questo valore va al momento va costruito. Non è solo un problema di disciplinare, di filiera, possiamo avere rispettato tutte le norme possibile immaginabili ma se nessuno lo sa, ha lo stesso valore di zero. Purtroppo come Franco dice negli anni c’è stato un abuso, di marchi e di contributi e si perchè la costituzione di questi marchi territoriali prevede le possibilità di finanziamento a cui attingere con programmi di promozione, di comunicazione e di marketing e purtroppo la discrezionalità con cui vengono adoperati questi fondi non forniscono garanzia di effettiva valorizzazione del territorio, dei prodotti e delle aziende . Non possiamo però stroncare sul nascere tale iniziative se altri sono stai poco corretti.
    E’ anche una modalità per dare alle aziende nuova competitività se uniti sia per il mercato italiano che estero. Se sapranno approffitarne bene altrimenti peggio per loro.
    Tuttavia sarei molto contento che la regione “Marche” possa costruire attorno al proprio nome un valore che possa poi essere trasferito sui prodotti. E’ un valoro che se fatto sul serio, può dare risultati incredibili è un lavoro duro lo dice uno che per dieci anni ha lavorato per dare alle parole Trentino e Alto Adige un valore riconoscibile
    PS se sta roba fa sbadigliare cancellala

  12. Giovanni ha detto:

    Per quanto mi riguarda c’è una iniziativa simile anche in Sicilia .

    Sono molto vicino all’opinione di gunther quando dice che
    “possiamo avere rispettato tutte le norme possibile immaginabili ma se nessuno lo sa, ha lo stesso valore di zero”. La presenza di un marchio sulla tua confezione serve qualora orienti la scelta del tuo consumatore/cliente. Se fallisce nel farlo non serve a niente ed è solo un costo.

    Per creare un valore per il marchio allora non dobbiamo investire anche in comunicazioone altrimenti nessuno saprà che per ottenerlo serve questo questo e questo.

    Ad oggi mi sembra che molte regioni si siano buttate nel creare marchi che non si sa bene chi le deve promuovere. Ma soprattutto con quali soldi. L’affollamento inoltre non aiuta. Più il mercato è affollato di marchi e più la promozione deve essere efficace ed efficiente.

    Ho paura che molti regioni non abbiano ler isorse manageriali e finanziare per valorizzare da sole i propri prodotti. In questo caso non sarebbe meglio destinare le risorse verso la promozione di un sistema già esistente e funzionante come i marchi di qualità europei (Bio, DOP e IGP)? Credo che i risultati voluti siano incredibilmente più facili da raggiungere.

    GIovanni

  13. franco ha detto:

    Beata Lei Signora che può permettersi di essere una “inguaribile ottimista”. In questo Paese tutti i pubblici dipendenti(Regioni, Provincie, Comuni, Enti, Comunità montane e non,Circoscrizioni, Organi di verifica, Commissioni,Sottocommissioni,Magisteri, ASL, Ministeri,Assessorati e tanta altre amenità)sono “inguaribili ottimisti”. Ma l’aria sta cambiando e per tanti con il culo al caldo sarà molto fredda.

  14. gianna ha detto:

    Andando indietro nel tempo, si trova traccia di documenti di tre-quattro anni e così si può ricostruire la storia del marchio che in origine avrebbe dovuto chiamarsi “Qualimarche”

    ” …….QM sostituisce ‘Qualimarche’, il precedente logo proposto. Sulla base della normativa europea, che tutela la libera circolazione delle merci in ambito comunitario, l’informazione trasmessa al consumatore dalla presenza del nome geografico poteva, infatti, presupporre un’origine marchigiana dei prodotti, mentre la Regione puo` svolgere solo una funzione di garanzia.”

  15. gunther ha detto:

    grazie giovanni per avere risposto, credo che tu abbia ragione, credo che vi sia una sorta di “overbook” di marchi delle regioni italiane, non trovo parola in italiano aiuto!! Questo perchè non hanno continuità d’azione, non si danno i tempi giusti (5-10 anni), finchè ci sono i finanziamenti sono presenti, se questi finiscono o si fermano e scompaiono e non è una cosa positiva. Programmi di uno o due anni, sono pochi non servono a niente. Valorizzare solo i prodotti bio, dop e igp esclude tutte le altre aziende che non seguono questi prodotti. Promuovere il territorio per rendere il sistema più competitivo è importate portare il maggior numero di aziende verso canali di mercato e di distribuzione. Io ho conosciuto i prodotti della tua zona a Salone Del Gusto a Torino nel 2000, però poi non vi ho più visto, i miei migliori auguri.

  16. gianna ha detto:

    Grazie Gunther, grazie Giovanni! per il vostro contributo da addetti ai lavori anche se in settori diversi.

    Ecco il sito da cui- se non capito male- il consumatore potrà avere informazioni. Basterà digitare il codice del prodotto acquistato sulla stringa in alto.

    http://213.26.167.190/SITRA/Sitra/LoginSitra.aspx

    Speriamo che la cosa funzioni e che soprattutto ci sia continuità- come dice giustamente Gunther. E questo vale non solo per questi progetti.

    Per altri siti voluti dall’Assessorato Agricoltura della Regione Marche, è mancata purtroppo la continuità, questo per esempio sui vini.

    http://www.vini.marche.it/default.asp?dipartimento=900&lin=IT&pag=1

    Le news ferme al 2004. Come mai?

  17. Giovanni ha detto:

    @ gunther
    bhe, al salone del gusto noi ci siamo sempre (magari io sono mancato qualche volta). Poi, anche se dopo 8 anni, eccoci qua 🙂 più belli di prima.

    @ gianna
    e’ proprio quello il problema. Cambia l’assessore o finiscono i soldi, nei programmi locali di promozione non si riesce a garantire la continuità. Per questo dico che forse, fatto un esame di coscienza, è meglio puntare a qualche progetto di più largo respiro, nazionale o comunitario, magari già consolidato.
    Puntare al BIO, IGP e DOP era solo un esempio. Purtroppo in Italia manca un sistema di qualità a livello nazionale perciò mi sono venuti spontaneamente quelli.

  18. paolo ha detto:

    Io non mi scandalizzerei tanto per la nascita di un nuovo marchio, ma punterei più a far sapere al consumatore cosa quel marchio certifica. Mi dispiace che non si siano appoggiati al Consorzio del vitellone bianco dell’appennino centrale (IGP), é un’occasione persa per diffondere il consumo di chianina. Noi, a Torino, abbiamo il marchio COALVI, che certifica la filiera nell’allevamento del vitello piemontese, anche se poi le bestie nate in Francia, ma allevate in Piemonte vengono vendute tramite quei canali. Come vedete l’assenza di una regia centrale e le troppe deleghe alle regioni hanno scatenato sempre più spesso solo una gran confusione nei consumatori.
    D’altronde noi abbiamo lo Slowfood che crea i presidi per l’aglio….

  19. Stefania ha detto:

    intervento spero chiaro da seguire (data l’ora). Intanto buon anno a tutti e ben ritrovati.

    sui marchi e standard – mi pare di capire che in Italia si sta seguendo lo stesso strano percorso di altri paesi. Marchi e standard di per se sono una buona idea, utili sopratutto a chi deve fare delle decisioni molto rapide (ad esempio durante le odiose, almeno per me, visite al supermercato per fare la spesa). Il fatto che un prodotto abbia certi standard di lavorazione etc NON vuol dire che ci garantisca al cento per cento la sua genuinita’ o buona qualita’. Ad es. il settore biologico oramai comprende anche prodotti industriali (abbiamo visto su questo blog lo spray bio, ricordate?), ebbene lo standard bio viene dato perche’ prodotto con una certa percentuale (ora non ricordo quale sia di preciso, mi pare 80%) di ingredienti bio. Allora si hanno robe assurde (come succede qui in UK), tipo i succhi di frutta bio che contengono additivi. Oppure penso alle…. margarine bio!!! un paradosso assurdo, da far ridere.

    Ecco quindi che l’uso della certificazione diventa utile strumento sopratutto per il produttore, ma non tutela il consumatore. Buono l’esempio che fa Paolo. Gli standards e i marchi (beh, magari diciamo alcuni piu’ di altri) sono quindi diventati uno strumento abilissimo che l’industria usa proprio per distinguere i propri prodotti, commercializzarsi meglio e raggiungere il proprio mercato – bisogna aggiungere che e’ proprio interesse sia dell’industria quello di autoregolarsi – per industria intendo piccoli e grandi produttori, non solo le grandi industrie di merendine e cioccolati – che della pubblica amministrazione lasciare che questo succeda ed eventualmente fermare o correggere il tiro. Non mi stupisce che ci sia da parte di Regioni amministrative la voglia di riunire tutto in un unico marchio che includa i produttori che seguono certi standards di produzione o allevamento, perche’ e’ poi piu’ facile per la Regione commercializzarli (soprattutto all’estero) e sostenere cosi’ l’intero settore. Dovete capire che quando ci sono le fiere alimentari (parlo per quelle che ho visto qui a Londra), il produttore da solo non va praticamente MAI, e non solo per una questione di costi… pensate al piccolo-medio produttore che va alle fiere senza spiccicare una parola e senza neppure realizzare che puo’ essere utile avere un blocco di depliants, alcuni dei quali tradotti da un madrelingua in inglese e non da un traduttore automatico. Dunque e’ piu’ facile e piu’ pratico che le singole regioni scelgano di esporre rappresentando tutti i propri produttori consociati. Franco dice giusto quando afferma che questi eventi possono diventare occasione di spreco e viaggi gratis per dipendenti e mogli al seguito e che di rado riescono nei reali obiettivi (visto anche questo purtroppo). Quindi entrambe le intenzioni (marchio, fiera) sono buone, ma rese inefficaci da personale che molto spesso non e’ all’altezza dei compiti richiesti, per cui si ha da una parte il produttore che ‘pende’ dalle decisioni politiche del momento, e dall’altra i consumatori che alla fine – confusi ed esausti dall’ennesimo marchio – non capiscono poi mica tanto del prodotto che hanno davanti.

  20. franco ha detto:

    Paolo

    il consorzio COALVI come la 5R sono progetti “burocraticamente finiti”. Le Regioni , se vogliamo salvarci(anche dal ridicolo) devono tornare ad essere solo entità amministrative.

    Stefania
    ho fatto molte Fiere a Londra (a spese mie e dell’importatore)è vergognoso vedere enormi Stand di Provincie e Regioni con allegre comitive di analfabeti il cui unico scopo è quello di arrivare a sera per andare a cena o in qualche locale di Londra.La Qualità deve essere certificata da un solo soggetto: il cliente consumatore!Come fare? Dichiarando sull’etichetta come è fatto il prodotto (ingredienti, provenienza, lavorazione etc).Da un semplice controllo analitico si ha la carta d’identità del prodotto, se si è dichiarato il falso chiudi con la possibilità di un azione colletiva da chi ha consumato la Tua lavorazione. Tale regola salvaguarderebbe anche le produzioni italiane ,come il Parmigiano, da continue falsificazioni.

  21. Stefania ha detto:

    indubbiamente, Franco, siamo d’accordo! Considera che io con il termine ‘industria’ (industry) metto dentro sial il piccolo produttore che il medio e la grande industria, quindi c’e’ sia quello che fa le cose per bene che quello che va fuori carreggiata (e li’ e’ il consumatore che deve capirlo, e talvolta non e’ facile). Mi togli una curiosita’: ci sarai alla fiera la Dolce Vita? e cosa esporrai? eventualmente, mi fai sapere anche per email privata (e’ riportata sul thread ‘pane’)? grazie!

  22. paolo ha detto:

    @Franco
    Sono pienamente d’accordo con te, il mio era solo un esempio. Tanto é vero che io non ho mai mangiato una fetta di carne COALVI perché compro in azienda direttamente.
    L’unica cosa che ancora ci salva, in Piemonte, é un efficientissimo servizio veterinario.
    Sono d’accordo anche con Stefania: la UE non deve garantire i consorzi, ma difendere i consumatori. Che si scriva e si controlli, una volta per tutte, cosa c’é negli alimenti in una esaurientte etichetta, poi sarà il consumatore a decidere se “intossicarsi” o meno.

  23. Stefania ha detto:

    esatto, Paolo – solo che ora ci si e’ reso conto che i consumatori sono completamente inconsapevoli riguardo le etichette. Molti pensano che poiche’ c’e’ l’etichetta un prodotto X (ad es. uno di quei pate’ da supermercato in scatola), allora ‘va bene’ perche’ altrimenti non starebbe sullo scaffale! ovvero, il meccanismo mentale e’ proprio questo, che pensa alla ‘sicurezza’ ma non al fatto che quella data composizione sia poi salutare, sopratutto se entra fra le abitudini alimentari di una famiglia. Prendi la maionese in tubetto o le sottilette o i formaggini, ‘cardini’ delle abitudini alimentari di molte famiglie in Italia… qui in UK alla fine si e’ capito che i consumatori vanno letteralmente guidati perche’ nel frattempo, dopo circa 20 anni di pasti pronti/industriali, i 20-30enni non sanno cucinare (ovvero c’e’ gia’ stato il ‘salto’ nella perdita di quelle che era la dimensione culturale che veniva insegnata a scuola e in casa). In Italia questo ancora non ha raggiunto questo punto, ma succede in modo piu’ ‘subdolo’, pensa a quanti comprano i biscotti della ditta bucolica per i figli (ma davvero i bambini hanno bisogno di mangiare biscotti o merendine per crescere meglio? uhm dubito…) o la crema di cioccolato N. che e’ oramai fatta con l’olio di palma, o il formaggio spalmabile con Campanellino che vola di qua e di la’…

  24. paolo ha detto:

    Tutto vero Stefania. Io ho amici che riempono il frigo di prodotti industriali per sé e per i figli, ma che quando mangiano da me si leccano i baffi. Le mogli incredule mi chiedono: “Ma come fai?” (…con le mani! n.d.r.)
    Riporto una notizia in tema (fonte Ilsole24ore): arriva sulle nostre tavole la “Piemontesina”, la risposta subalpina all’hamburger made in USA. Si tratta di carne macinata e pressata, 100% razza piemontese, da tagli anteriori interi, che anche da noi vengono sempre meno richiesti. L’etichetta indica: carne bovina 100%, pan grattato 5%, formaggio, sale, aromi naturali. Non contiene conservanti.
    Qui troverete ulteriori notizie:
    http://www.targatocn.it/it/internal.php?news_code=40774&cat_code=40
    Non sono un’amante degli hamburger, ma lo proverò per vedere com’é.

  25. Stefania ha detto:

    e perche’ no – magari ne fanno un buon prodotto! fra l’altro il fatto che siano fatti con carne proveniente da una sola regione mi pare un’ottima idea, almeno la tracciabilita’ e’ piu’ facilitata. qui sta andando molto la salsiccia senza glutine o farine, perche’ la consuetudine e’ appunto di infilare queste cose anche nelle salsiccie fresche (persino nell’haggis), e con tutte le intolleranze che si stanno verificando, ora si bada di piu’ anche a questo… si perche’ poi le farine possono essere anche di soya o altri grani…

  26. Gianna Ferretti ha detto:

    Io ho visto delle salsicce con coloranti.E sono prodotti (anche) locali.

  27. Stefania ha detto:

    sul discorso dei coloranti ce ne sarebbe da dire… sinceramente anche in Spagna ne fanno largo uso: la paella che risulta bella gialla molto spesso NON ha zafferano, bensi’ un colorante artificiale che viene venduto in barattoli ovunque. Il chorizo originariamente veniva ‘colorato’ con pimenton dulce, ovvero paprika dolce, ma ora, con il boom spagnolo vedi chorizos che non sono poi proprio genuini… in generale, qui in UK da sempre si vende un salame importato dalla Germania, se non erro, che e’ rosa… fa un’impressione!!!

  28. […] avanti il progetto QM, Qualità garantita dalle Marche. Dall’assessorato all’Agricoltura delle Marche, arriva anche la notizia delle risorse […]

  29. Luca Bono ha detto:

    La tracciabilità alimentare non deve essere visto come una legge “obbligo” perchè può portare benefici oltre che al consumatore anche al produttore.
    Perchè ? Immaginate che venga individuato un alimento “malato”, l’azienda produttrice rischia, se non ben organizzata (con un buon software di tracciabilità della produzione: http://www.infoperativa.it/news/leggi_area.asp?ART_ID=1775&MEC_ID=130&MEC_IDFiglie=192&ARE_ID=32), rischia la chiusura della produzione per parecchie settimane o mesi se fino a che non si viene a capo del problema. Con una buona automazione dei processi riesce a dare invece risposte immediate! Inoltre, grazie ai software di tracciabilità, l’azienda, sempre in caso di merce “difettata” non rischia di disperdere tutto quello che ha nel proprio “magazzino”, ma rintracciando i lotti da eliminare salva quelli “sani”.

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