156 volte diossina
Pubblicato: 2011/01/10 Archiviato in: Filiere, Te lo do io l'alert 34 commentiLa sera del 19 marzo il laboratorio comunica per telefono al veterinario il risultato delle ricerche. La voce è percorsa dall’inquietudine. “I dosaggi precisi non sono ancora stati verificati,ci vorranno ancora alcune settimane prima di essere certi, ma fin da ora sappiamo che nei campioni che ci ha consegnato è presente una grande quantità di diossina. La situazione è grave. Le faremo sapere al piu’ presto. Nelle galline ovaiole c’è la diossina e quelle uova stanno circolando per ogni dove.”
Le righe in corsivo sono tratte dal libro “Il cibo impazzito. Il caso europeo della contraffazione alimentare” in cui Jean Claude Jaillette ricostruisce la vicenda dello scandalo diossina che risale al 1999. Sappiamo come andarono le cose. Il veterinario incaricato della pubblica sanità belga pur raggiunto dalla telefonata inquietante non avviserà le autorità convinto che si tratti di un incidente isolato e sopraffatto da interessi personali. Si scoprirà poi che fu solo uno degli autori dei ritardi di comunicazione tra le varie autorità sanitarie, seguiranno altri silenzi che porteranno poi allo scandalo diossina di piu’ di dieci anni fa.
A leggere cosa è accaduto in Germania negli ultimi giorni per la vicenda uova, allevamenti avicoli, diossina, cosa commentare? Di nuovo pratiche fraudolente, ritardi di comunicazione proprio tra gli addetti ai lavori, tra le varie autorità sanitarie, di nuovo silenzi.
Quante volte in Italia e in Europa abbiamo sentito parlare di diossina negli ultimi anni?
Ricordiamo tutti vicenda del 2008 che coinvolse allevamenti suini in Irlanda. In Italia invece furono le mozzarelle a occupare le cronache. Andando indietro negli anni, ricordiamo la contaminazione del 2004 quando all’inizio di novembre si scoprirono mangimi contaminati e l’allarme alimentare colpì Olanda, Germania e Belgio.
Ma non sempre gli alert giungono all’attenzione dei media. E ce lo dimostra l’archivio del Rapid Alert System for Food and Feed, RASFF in cui possiamo ricostruire la cronologia dei vari episodi. Fate come me, andate sul sito del RASFF e cercate il termine “dioxins” , avrete così davanti l’elenco delle notifiche degli ultimi 10 anni.
Il Bollettino RASFF riporta ben 156 segnalazioni in cui sono state rilevate quantità di diossina superiori ai limiti consentiti con valori molto diversi tra di loro.
Cosa emerge? Che la maggior parte delle segnalazioni riguardano mangimi animali.
– Solo 56 notifiche infatti riguardano alimenti destinati all’alimentazione umana.
– Molti i paesi europei sono stati interessati.
– Diversi prodotti animali e vegetali sono presenti nell’elenco oltre a supplementi alimentari.
Partiamo dal 1999 per una brevissima sintesi.
– 1999 L’allarme mangimi contaminati dalla diossina coinvolge polli e uova. La contaminazione parte dal Belgio: la quantità di diossina scoperta negli animali da allevamento era 500 volte superiore a quella che l’Organizzazione mondiale della Sanità indica come “tollerabile” dall’organismo umano. Le fabbriche di mangimi “Verkest” e “Fogra” che si occupava di riciclaggio di grassi animali e vegetali alla base di tutto.
– 2002 Ancora diossina in mangimi per pesci. Sempre nel 2002 si scoprono supplementi di fish oils contaminati.
–2003: Una inchiesta su mangimi tedeschi rivela di nuovo contaminazioni da livelli di diossina fino al 17 volte più elevati rispetto alla soglia accettabile. In Italia sequestrate migliaia di capi tra bovini, bufale e ovicaprini, nell’ambito dei controlli disposti dalla Regione Campania per la ricerca di tracce di diossina nel latte.
–2004 All’inizio di novembre un nuovo allarme alimentare colpisce Olanda, Germania e Belgio,dove si scoprono mangimi contaminati.
–2005 E’ coinvolta la Francia, ancora diossina in mangimi per pesci.
– 2006 Di nuovo supplementi di fish oils contaminati, provenienza Svizzera e Francia.
– 2007 E’ la gomma di guar importata dall’India a risultare contaminata. L’alert coinvolge diverse aziende del settore caseario e vengono sequestrati vari tipi di yogurth in diversi paesi europei.
Nello stesso anno si susseguono alert che riguardano contaminazioni di fegato di merluzzo e olio di fegato di merluzzo provenienti dalla Danimarca.
– 2008 Il 2008 è ricordato soprattutto per mangimi contaminati e allevamenti suini in Irlanda. Ma è quello che abbiamo saputo noi consumatori.
Ai primi dell’anno diossine vengono rilevate in mangimi per pesci in Danimarca. In Italia scattano indagini sulle mozzarelle campane. A fine anno segnalazioni di diossina in olio d’oliva proveniente dalla Tunisia e nel solfato di rame dalla Federazione Russa.
– 2009 Ai primi dell’anno di nuovo diossine in mangimi per pesci in Danimarca. Nei mesi successivi ricompare la diossina in olio di fegato di merluzzo proveniente dalla Polonia e in campioni di fegato di coda di rospo (Lophius piscatorius) dagli USA.
– 2010 A febbraio diossine vengono rilevate in olio di palma idrogenato dalla Spagna. A giugno è la volta delle uove biologiche in Germania. La diossina viene trovata anche nel palmitato della vitamina A proveniente dalla Cina e usato per integrare mangimi in Germania.
In Italia si scoprono semi contaminati di girasole destinati alla produzione di mangimi. Alert per uova contaminate in Francia, un mese prima erano proseguiti gli alert sull’olio di fegato di merluzzo proveniente dalla Polonia e in sardine congelate.
–2011– Arriviamo cosi velocemente alle vicende degli ultimi giorni. Di nuovo mangime contaminato perché è stato utilizzato olio che non dovrebbe essere impiegato nella filiera agroalimentare”.
Cosa ha stabilito il comitato scientifico dell’alimentazione umana dell’Unione Europea nel 2001? ha stabilito un valore cumulativo per la dose tollerabile settimanale di diossine pari a 14 picogrammi (pg) di equivalente tossico (TEQ toxicity equivalence) per chilogrammo di peso corporeo. Tale valore è stato ripreso dal Report EFSA del 2004. E’ stato calcolato che l’assunzione settimanale media di diossine con la dieta nell’Unione Europea è compresa tra 8,4 e 21 pg di TEQ/kg di peso corporeo/settimana. (EFSA,2004). Quindi una parte della popolazione risulta sovraesposta alle diossine.
E’ da sottolineare che concentrazioni ambientali e l’esposizione umana negli ultimi anni sono in declino grazie agli sforzi che si stanno effettuando sia sul piano produttivo sia normativo.
al prossimo post per ulteriori aggiornamenti….
Fonti:
– Diossina: a general outline/
– Lo scandalo diossina è molto grave ma il pericolo per i consumatori è minimo
Il solfiti nella frutta fresca ed essiccata
Pubblicato: 2010/11/11 Archiviato in: Filiere, L'angolo chimico, Te lo do io l'alert 5 commentiSe dico solfiti, per associazione penserete al vino e a quella scritta “contiene solfiti” vista in tante occasioni sulla etichetta. L’anidride solforosa e i solfiti (E 220, E 221, E 222, E 223, E 224, E 226, E 227, E 228) sono additivi alimentari autorizzati dalla direttiva 95/2/CE e agiscono primariamente come agenti antimicrobici e di controllo delle alterazioni chimiche. I solfiti sono inclusi comunque anche tra gli “allergeni alimentari” poichè vengono riconosciuti come responsabili di una serie di reazioni nelle persone predisposte e sono stati descritti asma, arrossamento cutaneo, prurito, emicrania.
La Direttiva Allergeni del 25 novembre 2003, ha obbligato ad inserire in etichetta la dicitura “contiene solfiti” se il limite è superiore a 10 mg/l o 10 mg/Kg. I limiti massimi sono fissati dai singoli stati. I limiti per i vini in Italia sono 160 mg per i rossi, 210 mg per i bianchi e 400mg per i vini dolci, sempre espressi per litro.
Non dimentichiamo che i solfiti vengono usati in molti altri prodotti oltre al vino e li troviamo nelle etichette di frutta secca, snack alla frutta, confetture impiegate per farcire crostate, aceto balsamico. La maggior parte dei soggetti sensibili ai solfiti reagirà a quantità tra i 20 e 50 mg di solfiti, comunque non è stata stabilita la quantità minima in grado di provocare reazioni nei soggetti sensibili.
Sull’impiego dei solfiti nella frutta ci sono novità. Tra le righe della recente DIRETTIVA 2010/69/UE del 22 ottobre 2010 che modifica gli allegati della direttiva 95/2/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli additivi alimentari diversi dai coloranti e dagli edulcoranti, ho trovato anche note sui solfiti e uso per conservare i mirtilli. Così recita la direttiva:
“Oggi il trasporto di frutta fresca è diventato molto importante, soprattutto il trasporto via mare. Questo tipo di trasporto può durare diverse settimane. L’uso di anidride solforosa e di solfiti protegge i mirtilli freschi contro la crescita di funghi. È opportuno autorizzare l’uso supplementare dell’anidride solforosa e dei solfiti per proteggere i mirtilli freschi contro la crescita di funghi, tenendo contro che questo prodotto rappresenta un mercato di nicchia. Tenendo conto delle solide giustificazioni tecnologiche per l’inclusione di queste nuove autorizzazioni, della necessità di facilitare il commercio mondiale e del suo impatto trascurabile in termini di assunzione di zolfo e solfiti, è opportuno autorizzare questo uso supplementare dell’anidride solforosa nei mirtilli al livello di concentrazione indicato nell’allegato della presente direttiva.
Da dove arriverebbero i mirtilli via nave? Ci vorrebbe Elena Pugliese e il suo Food Express! Probabilmente da paesi come Argentina, Cile e Uruguay che hanno investito molto in queste produzioni. Hanno anche unito le forze e creato il sito internet Blueberries from the South ..
Valparaiso, porto da cui partono le esportazioni di frutta cilena
Per quanto riguarda gli apporti alimentari, la Dr. Leclercq dell’INRAN ha svolto un’indagine nazionale sulla esposizione ai solfiti. Il limite giornaliero totale di solfiti consigliato per l’organismo umano è a seconda del peso, tra i 40 e i 60 mg circa al giorno (0.7 mg per Kg di peso corporeo, secondo l’OMS). La Leclercq nella sua ricerca ha osservato che la media nazionale si collocava al di sopra della soglia stabilita dall’OMS, sia per i bambini (quindi il il vino non dovrebbe essere la fonte principale ) che per gli adulti. Quindi occhio alle etichette!
Ecco la pubblicazione: Dietary intake exposure to sulphites in Italy – analytical determination of sulphite-containing foods and their combination into standard meals for adults and children C. Leclercq et al. Food Additives and Contaminants: Part A: Chemistry, Analysis, Control, Exposure & Risk Assessment, 1944-0057, Volume 17, Issue 12, 2000, Pages 979
Un significativo incremento delle notifiche di “Solfiti non dichiarati in etichetta” è stato segnalato dal RASFF per merci in circolazione in Europa nel 2009.
Se cerchiamo, troviamo traccia di Alert anche fuori dall’Europa, sempre riferite a “Solfiti non dichiarati in etichetta” come: Allergy Alert: Undeclared Sulphites in Various Thai Processed Fruit and Vegetable Products in Canada e Undeclared_sulphites_donegal_natural_food_apricots
Voi dove li avete incontrati? Oggi per esempio li ho intercetttai in questa busta di noci di Sorrento:
E curiosando tra gli ingredienti dello snack Melinda..eccoli
Fonti:
–Significant-rise-in-undeclared-EU-food-ingredient-allergen-warnings
–Buon senso ancora sulla solforosa
– il_vino_tra_additivi_e_coadiuvanti
The In(edible) Egg
Pubblicato: 2010/10/03 Archiviato in: Filiere, Multimedia, Te lo do io l'alert 5 commentiAvrete letto sicuramente nelle settimane scorse delle cifre mostruose di uova ritirate dal commercio negli USA.
Si parla di piu’ di 500 milioni di uova ritirate a causa di una contaminazione da salmonella. 23 stati coinvolti e migliaia di persone intossicate.
Ecco il video della Slow Food USA a commento dell’intera vicenda. Sono intanto arrivate le scuse di Jack DeCoster e di suo figlio Peter, proprietari della Iowa Egg farm, una delle aziende coinvolte nella vicenda.
Il video si conclude con un messaggio chiaro “Organic egg is better“. Ma è cosi?
Basta cercare e si trovano ovviamente voci a favore e voci contrarie:
Buy organic eggs to avoid salmonella poisoning may be not
Leggo e condivido quanto scritto su Food Consumer: ‘The general thinking is that larger chicken farms are much more difficult to keep clean, and this makes it easier to transmit Salmonella.’”
Fonti:
Slow food inedible egg; meattradenewsdaily.
Rosso Tonno
Pubblicato: 2010/07/30 Archiviato in: Additivi, Coloranti, Filiere, Te lo do io l'alert 10 commentiE io che credevo che l’uso di coloranti nei prodotti ittici fosse rivolto al salmone, al surimi e gamberetti-like. Mi sbagliavo.
Leggendo tra i commenti di questo post su Dissapore, sono venuta a conoscenza di una pratica di cui non avevo mai sentito parlare prima.
Sapevate che il tonno può essere sottoposto a trattamenti con monossido di carbonio o colorato con il colorante rosso barbabietola per imprimergli una colorazione piu’ evidente sul banco in cui è esposto? Il colore delle carni del tonno rosso è di un rosso vivo dovuto alla proteina mioglobina che, combinandosi con l’ossigeno, genera la ossi-mioglobina dal colore acceso. L’ossidazione a cui va incontro la mioglobina quando la carne è esposta all’aria è abbastanza veloce trasformando il colore brillante in bruno più o meno scuro anche se è il prodotto è ancora molto fresco. Sappiamo che il colore dei prodotti alimentari è un criterio importante delle scelte dei consumatori. Ed ecco il trattamento con monossido di carbonio, composto che legandosi alla mioglobina genera la carbossi-mioglobina, sostanza dal colore rosso. Il procedimento, sommato al processo di congelamento esalta alcune caratteristiche qualitative del prodotto, quali appunto il colore rosso del tonno. Il monossido di carbonio è anche un inibitore della proliferazione batterica.
La FDA ha dichiarato sicuro (GRAS) il trattamento con monossido di carbonio mentre Giappone e Unione Europea ne hanno vietato l’uso poiché tale pratica potrebbe essere impiegata anche per coprire tracce di carne non conservata troppo bene. Il monossido di carbonio, conferendo colore rosso al tonno, ne maschererebbe le alterazioni dovute all’invecchiamento. Sappiamo che nei tonni il tenore di istidina, aminoacido precursore dell’Istamina, è doppio rispetto agli altri pesci. L’istamina è una amina biogena che viene ottenuta per decarbossilazione dell’istidina da parte di alcuni batteri che intervengono durante il processo d’invecchiamento del prodotto, soprattutto quando non viene rispettata la catena del freddo. Tra le più importanti sindromi di origine alimentare causate dall’ingestione di ammine biogene vi è l’avvelenamento da istamina (sindrome sgombroide).
Sia negli ultimi giorni che in passato in paesi della UE non sono mancate le segnalazioni di partite di filetti di tonno sottovuoto congelati e trattati con monossido di carbonio, origine Vietnam e provenienza Olanda.
E a proposito di tonno e coloranti, coincidenza vuole che proprio in questi giorni tra le segnalazioni del sistema di allerta europeo RASFF, ho trovato la notifica di una partita di filetti di tonno illegalmente colorati con l’E 124 o red ponceau. Tonno proveniente dall’Indonesia via Paesi Bassi e distribuito in Italia.
Ma a parte il colore, siamo sicuri che in certi piatti ci sia veramente il tonno rosso? Si narra di partite di tonno pinna gialla colorato con il rosso barbabietola. Colorare il pesce con una sostanza come il succo di barbabietola non é illegale, -leggo – ma spacciarlo per tonno rosso lo é.
In questa intervista a Valentina Tepedino, direttrice di Eurofishmarket, si accenna al fatto che l’uso del colorante raramente è dichiarato in etichetta, probabilmente per la diffidenza verso gli additivi e la scarsa informazione sull’argomento.
Per saperne di piu’
– RASFF notification: filetti di tonno trattati con monossido di carbonio
–RASFF notification: Tonno colorato con E124
–un-novel-food-al-giorno-lastaxantina.html
La mozzarella teutonica: Pseudomonas fluorescens e muffe
Pubblicato: 2010/06/23 Archiviato in: Filiere, Te lo do io l'alert 36 commentiVisto che ormai abbiamo compreso tutti che le mozzarelle dalle caratteristiche organolettiche così peculiari non sono solo state immesse in vendita in Piemonte, e il nome del batterio coinvolto inizia a circolare è arrivato il momento di ricostruire meglio la vicenda. Come fare? dal solito bollettino RASFF, quello che in altre occasioni ci è servito per riflettere sugli alert di ogni genere che riguardano le merci in arrivo nei vari paesi della Comunità europea.
Intanto una domanda, chi sono i paesi produttori principali di mozzarelle? sorpresa! il mercato è dominato da Germania, USA e Australia.
E proprio dalla Germania sono arrivate le mozzarelle di cui in tanti parliamo da qualche giorno.
Leggo qui che già 9 giugno 2010 era stata diramato l’alert, insomma si sapeva già che prodotti non conformi erano in circolazione. Grazie al sistema di allerta rapida Ue, tutte le informazioni relative alla mozzarella contaminata erano state rese disponibili ai 27 Paesi Ue. E’ scattata poi una seconda allerta nei giorni successivi. C’è voluta la signora piemontese comunque perchè in tanti ne venissero a conoscenza.
L’azienda tedesca è la Milchwerk Jäger, uno dei caseifici più antichi della Germania. Da numerosi anni esporta in diversi paesi vari formaggi come Provolone, Mozzarella, Caciotta. Il principale cliente è l’Italia che importa il 90 % della sua produzione. Il latte lavorato presso il caseificio Jäger proviene al 100% dall’Alta e Bassa Baviera come riporta in sito dell’azienda.
Leggiamo sul sito della Milchwerk Jäger, che la Mozzarella rispecchia quella che è l’antica ricetta di questo formaggio fresco, già da sempre usata nel sud Italia. Per la sua produzione, usiamo solamente latte di prima qualità e naturalmente, fermenti lattici vivi. Le moderne tecniche inoltre, ci consentono di avere un prodotto esente da qualsiasi contaminazione battereologica e soprattutto dall’aspetto molto bianco.
E cosa salta fuori dalla lettura del bollettino RASFF? che le mozzarelle come dimostrano i certificati d’esportazione della società tedesca, non sono state inviate solo in vari discount in Italia, sono coinvolti anche Francia, Slovenia, Bielorussia, Russia.
Si allunga l’elenco delle marche coinvolte: Land, Malga Paradiso, Lovilio, Fattorie Torresina e Monteverdi.
Dopo diversi giorni, troviamo altri alert che riguardano la mozzarella in data 21 giugno e 22 giugno e stavolta sono associati a dei dati di laboratorio:
21/6/2010 Troviamo il Pseudomonas fluorescens responsabile di “altered organoleptic characteristics (blue coloured: 1 mm) of Pseudomonas fluorescens (3000000 * 1000 CFU/g) in mozzarella cheese from Germany”
21/6/2010 Ancora mozzarella “cheese with altered organoleptic characteristics (bleu coloured) of mozzarella cheese from Germany infested with moulds”
Non solo Pseudomonas fluorescens, anche muffe?
E’ tutto risolto ha rassicurato Hermann Jaeger della Milchwerke Jaeger interrogandosi sul perchè di tanta attenzione e clamore. E’ arrivato perfino a dire in una intervista che fin dal mese di maggio scorso era stato evidenziato il Pseudomas fluorescens e il problema per lui era risolto.
Che altre sorprese ci riserva la mozzarella organetticamente alterata?
continua..
Fonti:
–RASFF notification list
–Blue-mozzarella-alert-sparks-labelling-debate
La mozzarella che si colora di blu. Ipotesi ad alta voce
Pubblicato: 2010/06/19 Archiviato in: Filiere, Te lo do io l'alert 24 commentiLa mozzarella che diventa blue dopo essere stata aperta? impressionante vero? impressionante anche il numero del sequestro, si parla di 70.000 mozzarelle. Abbiamo veramente bisogno di importare mozzarelle dalla Germania? a che prezzi?
Sapete cosa mi è venuto in mente? La storia dei traccianti di cui avevo letto qualche anno fa.
Nel 2000 fu presentato un disegno di legge che prevedeva l’impiego di traccianti nel latte in polvere da destinare ai mangimi animali. L’aggiunta di traccianti era finalizzata ovviamente ad evitare usi fraudolenti del latte in polvere -destinato alla zootecnia- nell’alimentazione umana, per fare ad esempio formaggi.
Così si leggeva in un articolo: Ai fini di tutela della salute e di salvaguardia della sicurezza alimentare, ai sensi dell’articolo 30 del Trattato che istituisce la Comunità europea, come modificato dal Trattato di Amsterdam di cui alla legge 16 giugno 1998, n. 209, nel latte e nel latte scremato in polvere destinati ad usi zootecnici, e nei loro derivati, devono essere presenti traccianti colorati, di origine naturale, innocui per la salute umana ed animale ed in grado di rendere tali prodotti stabilmente evidenziabili.
Nel 2006 la legge è stata abrogata.
Cosa può essere accaduto quindi alla mozzarella che si colora di blue? Che qualcuno abbia forse volontariamente inserito dell’innocuo tracciante nel latte in polvere che l’azienda tedesca ha usato per produrre la mozzarella? Allo scopo di smascherare la frode?
Di traccianti,latte in polvere e mozzarelle troviamo traccia negli archivi del web quando si scrisse della mozzarella che avrebbe virato dal bianco al verde se fuorilegge. Ecco l’articolo del 1999: “La pizza diventa verde se la mozzarella usata non e’ di latte naturale. Un tracciante anti – frode Ma i pizzaioli: precauzione esagerata”.
Ipotesi ad alta voce in attesa di capire meglio cosa è accaduto.
Il video girato dalla signora che ha denunciato il fatto è già su You Tube, a vederlo si pensa ad una bufala ma se i NAS sono partiti con i sequestri evidentemente hanno verificato la veridicità della notizia.
21/6/ 2010, Aggiornamento: scopro che l’allerta era già partita il 9 giugno 2010 come si legge qui.
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Dalla lignina alla vanillina
Pubblicato: 2010/05/25 Archiviato in: Aromi, Filiere, Te lo do io l'alert 17 commentiQuante volte l’abbiamo usata per fare dolci? vi siete mai chiesti come viene prodotta la vanillina? Sapevate che circa la metà della produzione su larga scala avviene in Cina? e che in Europa viene prodotta in Norvegia? Sul sito della azienda norvegese Borregaard’s Aroma Chemicals, le news sono piuttosto datate e non c’è nessun riferimento al recente rapporto RASFF che segnala il ritiro di un lotto di di vanillina in cui sono stati riscontrate tracce di toluene, un solvente impiegato durante la lavorazione.
E così la vanillina prodotta dalla Borregaard’s Aroma Chemicals ci fornisce una nuova occasione per riflettere sulle filiere produttive e sull’uso dei solventi organici impiegati. La produzione della vanillina è solo uno dei numerosi esempi di processi produttivi che ha subito cambiamenti negli ultimi decenni in relazione alle ripercussioni ambientali ed economiche.
Se pensiamo agli estratti di vaniglia e ai baccelli della Vanilla planifolia , il richiamo va a foreste subtropicali del Messico e di parti del Centro America dove l’orchidacea è originaria. Sappiamo infatti che il 98% dell’estratto di vaniglia contiene vanillina, isolata per la prima volta dai baccelli da Nicholas-Theodore Gobley nel 1858.
Ma sappiamo anche che la vaniglia estratta dai baccelli è fino a 200 volte più costosa rispetto alla vanillina derivata da altre materie prime. Si stima così che circa il 97% dell’aroma vaniglia usato nell’industria alimentare non sia ottenuto dai baccelli della Vanilla planifolia ma per altre vie.
Vediamole insieme:
-Per quanto riguarda la sintesi industriale su larga scala un metodo parte dall’ eugenolo, sostanza presente nei chiodi di garofano, noce moscata e cannella. Questa produzione iniziò a partire dal 1874–75, venti anni dopo la scoperta del metodo per estrarre la vanillina dai baccelli.
-Altro precursore è il guaiacolo, sostanza ottenuta dalla distillazione frazionata del catrame di faggio o di pino.
-A partire dal 1920, si scoprì che la lignina poteva essere usata come fonte da cui ricavare la vanillina; la lignina è un polimero vegetale che svolge un ruolo strutturale nei fusti e nelle pareti cellulari delle piante. La lignina rappresenta circa il 5% del contenuto delle acque reflue dalle cartiere. Se sottoposta a vari trattamenti e a temperature relativamente basse, dalla lignina si formano diverse molecole a basso peso molecolare tra cui la vanillina. Gli enologi sanno che il vino conservato in botti di rovere acquista aromi particolari tra cui proprio quello della vanillina.
-E’ stato messo a punto anche un processo che permette di ricavare la vanillina dalla fermentazione a partire dall’ acido ferulico. Il processo richiede quattro tappe: (1) Isolamento dell’acido ferulico da materie prime come la crusca di riso (i.e. rice bran), (2) Fermentazione attuata da microorganismi biotech che convertono l’acido ferulico in vanillina, (3) Microfiltrazione per rimuovere i microorganismi, (4) Estrazione della vanillina dal liquido di fermentazione e (5) purificazione finale della vanillina.
Tornando al lotto di vanillina per dolci che è stata ritirata. Il portavoce della Borregaard’s Aroma Chemicals si è affrettato ad affermare che l’uso dei solventi nell’industria alimentare è permesso e che ci sono direttive comunitarie ben precise che bisogna rispettare. Giusto. Ma ci dovrebbe anche spiegare se si è compreso quale errore è stato fatto. Qualcosa non deve essere andato secondo i protocolli, evidentemente il toluene non è stato rimosso completamente alla fine della lavorazione e tracce del solvente sono finite nella vanillina spedita oltre che in Italia in diversi altri stati europei.
Fonti:
– Rapid alert system for food and feed, RASfF notification lists
–European Countries Find Toluene Solvent in VanillinVia
– Vanillin production using metabolically engineered Escherichia coli under non-growing conditions In: microbialcellfactories.com/
–Biotechnological production of vanillin
– Tunable solvents for fine chemicals from the biorefinery Green Chem, 2007
– Rhodia shares its experience in vanillin manufacture in China
– Etichette fuorvianti: il gelato Motta
PRIMAVERA SILENZIOSA
Pubblicato: 2010/05/07 Archiviato in: Not Only Food, Te lo do io l'alert 10 commentiAlcuni giorni fa ho ricevuta una mail con un appello firmato da Fabio Taffetani, Docente di Botanica dell’Università Politecnica delle Marche. Ve ne riporto alcune righe, il resto lo trovate qui. La pratica a cui accenna il Prof.Taffetani è diffusa anche altrove, si parla di uso ingiustificato di diserbanti da parte di amministrazioni pubbliche.
UNA PRATICA ASSURDA
Sono profondamente indignato, e così tutte le persone con le quali ho avuto occasione di parlarne, per l’assurdità, l’arroganza e la superficialità dimostrate dalla Provincia di Ancona nel perseguire l’insensato progetto di trattare tutti i bordi stradali con diserbante. Sembra proprio che, 50 anni dopo la pubblicazione di Primavera silenziosa, la maledizione della pazzia autodistruttiva che Rachel Carson presagiva, già all’inizio degli anni sessanta, osservando i primi effetti dell’abuso irrazionale della chimica nelle campagne americane (Silent Spring, 1962), stia giungendo alle sue fasi più preoccupanti anche nella nostra regione, un territorio che dovrebbe avere cultura, tradizioni, prodotti della terra, paesaggio e ambiente tra le risorse più preziose e condivise. Ci sono sempre più agricoltori che utilizzano il diserbo anche al di fuori delle aree coltivate, ma anche semplici cittadini che irrorano le fasce erbose sotto casa con erbicidi per evitare lo sviluppo delle erbe infestanti. La pratica del diserbo nata per il controllo delle commensali in agricoltura,erroneamente considerata come alternativa allo sfalcio, viene ora proposta dall’Amministrazione Provinciale di Ancona, sostenuta dalle industrie chimiche che producono il diserbante più aggressivo e meno selettivo oggi sul mercato (il glyphosate), per il “decoro” delle strade pubbliche e con la scusa di combattere le allergie da polline (in realtà, anziché ridurre le fonti di produzione di polline, se ne determina un aumento significativo con la proliferazione delle graminacee, oltre alla
nebulizzazione nell’aria di principi chimici tossici anche in aree urbanizzate e ad alta intensità di traffico), ben sapendo che, una volta effettuato il primo trattamento, si dovrà continuare anche negli anni successivi per evitare la proliferazione delle erbe più aggressive, libere di espandersi, in seguito alla scomparsa della vegetazione che presidiava il terreno.
Se il nome glyfosate non vi dice nulla, forse non è la prima volta che sentite parlare di Round Up.
Sulla resistenza al glyphosate, tema di attualità degli ultimi giorni, guardate il grafico della situazione negli USA.
Imitation cheese: It looks like cheese, smells like cheese, but it is not
Pubblicato: 2010/04/19 Archiviato in: Additivi, Aromi, Coloranti, Filiere, Food design, Te lo do io l'alert 23 commentiE il momento di riparlare degli “imitation cheese” a cui avevo accennato un po’ di tempo fa in un post che aveva suscitato interessanti commenti tra i lettori. E’ un fenomeno di cui non si conoscono le proporzioni ma probabilmente è aumentato negli ultimi anni. Si è stimato che circa 20.000 tonnellate di “imitation cheese” o cheese analogue vengano consumati ogni anno nei vari paesi dell’Unione Europea. Rappresenterebbe meno dell’1% dei consumi ma è pur sempre un fenomeno da non sottovalutare.
Perchè se ne riparla? perchè ho letto in un comunicato che il Parlamento europeo sembrerebbe intenzionato, nell’ambito del progetto di regolamento teso a modernizzare l’etichettatura degli alimenti, ad approvare un articolo che autorizza i «formaggi di imitazione,» prodotti nei quali la crema del latte è sostituita da diversi ingredienti. Se finiscono tra gli scaffali abbiamo l’etichettatura che ci può guidare ma cosa accade se pizzerie o ristoratori ne fanno un uso in cucina? In Germania per esempio Petra Zachari, rappresentante di una associazione di consumatori ha dimostrato in una indagine che alcuni campioni di formaggi serviti in alcuni ristoranti tedeschi erano degli esempi di imitation cheese
Un rapido tour su Google e scopro che ne esistono già diversi di cheese analogue in vendita negli USA e in altri stati. Gli imitation cheese vengono studiati da team di tecnologi e produttori alla ricerca del blend che riproducano il piu’ possibile le caratteristiche organolettiche dei formaggi autentici. Cosa contengono? tra gli ingredienti amidi modificati, grassi vegetali vari tra cui anche olio di palma, caseina, sottoprodotti di lavorazione del latte, fibre alimentari.
It seemes cheese but it is not!
Ecco qualche esempio pescato in rete:
Ma il prodotto che mi ha decisamente sorpreso in negativo è questa “imitation mozzarella” che è usata come ingrediente di una pizza surgelata in vendita in un sito di e-commerce. Complimenti a chi l’ha pensata!
adesso quando mi chiederanno un esempio di Junk food, saprò cosa citare.
Ecco gli ingredienti della Imitation Mozzarella Cheese: (Water, Partially Hydrogenated Soybean Oil With Citric Acid, Casein, Modified Food Starch, Dehydrated Mozzarella Cheese [Cheese {Milk, Culture, Rennet, Salt}, Milk Solids, Disodium Phosphate], Milk Protein Concentrate, Contains 2% Or Less of: Sodium Aluminum Phosphate, Salt, Lactic Acid, Disodium Phosphate,
Ehi, non è finita c’è anche l’Artificial Mozzarella Flavor [Modified Corn Starch, Corn Maltodextrin, Lipolyzed Butterfat, Artificial Flavors, Flavors],
volete dare uno sguardo al resto? senza parole.
Fonti:
–Assolatte_attacca_il_Parlamento_europeo:_Vuole_autorizzare_i_formaggi_di_imitazione
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Le Misure urgenti sugli additivi nella ristorazione italiana arrivano su Nature News. La risposta del Sottosegretario alla Salute Francesca Martini
Pubblicato: 2010/03/20 Archiviato in: Additivi, Coloranti, Te lo do io l'alert 14 commentiAppena uscita l’ordinanza del sottosegretario Francesca Martini sull’uso degli additivi nella ristorazione, si scatenarono numerose reazioni e furono pubblicati vari articoli e commenti, per la maggior parte ironici e sarcastici. A distanza di mesi, la notizia è arrivata sui media stranieri e perfino su Nature News con l’articolo: Italian molecular cookery ‘ban’ condemned.
Condivido il fatto che il modo e le vicende che hanno portato all’ordinanza sono strampalate ma se tutta la storia sarà servita a una maggiore trasparenza e spingerà – non solo i ristoratori – a informarsi e a leggere con maggiore attenzione la legislazione alimentare sugli additivi, sarà già stato fatto un passo avanti notevole.
Il burocratese con cui è scritta l’ordinanza non aiuta e anch’io ho riletto diverse volte i vari punti oltre ad aver ritirato fuori dalla mia biblioteca il testo Componenti non nutritivi degli alimenti di Giorgio Bonaga per rileggere i vari allegati ed elenchi di additivi. Un libro di qualche anno fa da impiegare come base su cui ragionare perchè negli ultimi anni sono stati apportati dei cambiamenti e sono state pubblicate nuove norme.
Nell’ordinanza che ho copiato qui, si parla in particolare di additivi per i quali sono stati definiti campi e dosi massime di impiego. Noto che c’è ancora parecchia confusione e c’è chi confonde dosi tecnologiche con dosi giornaliere ammissibili.
Le prime si riferiscono alle quantità di additivi da impiegare durante la produzione per raggiungere un preciso obiettivo, le seconde sono le quantità massime giornaliere da non superare se scegliamo alimenti che contengono certi additivi e hanno ovviamente implicazioni sulla nostra salute.
Come sanno gli addetti ai lavori, l’uso degli additivi alimentari non è consentito in tutti i prodotti.
Per alcuni sono state stabilite le dosi massime d’impiego, espresse in g/kg. In altri casi non si è arrivati ad una quantità massima ma l’uso tecnologico è consentito: q.b (quanto basta)
Altra abbreviazione che si trova sempre riferita alle dosi d’impiego è: s b.t.i (secondo buona tecniche idustriali). Fumoso vero?
Come detto sopra, le dosi massime di impiego sono le quantità di additivo necessarie per ottenere l’effetto specifico in un certo alimento e che non devono essere superate. Così ad esempio per impartire una determinata intensità di colorazione rossa ad un aperitivo analcolico occorreranno quantità di acido carminico (E120) o di rosso amaranto in quantità tecnologiche. Le dosi non sono uguali per tutte le applicazioni possibilli. Per esempio sulla base dei dati in mio possesso, il rosso cocciniglia è ammesso in quantità di 100mg/kg per burger e insaccati. Si arriva a 125 mg/kg nel formaggio marmorizzato rosso e a 200mg/kg per le salsicce.
Vorrei tornare sul tema prossimamente soprattutto sui residui presenti nei vari additivi alimentari e quali sono i criteri di purezza consentiti. Anche su questo tema ci sono state integrazioni recenti nella legislazione europea.
Comunque tornando alla Francesca Martini, ecco l’update sul sito di Nature News e la sua risposta alla rivista:
Italian undersecretary for health Francesca Martini has defended the additive ban in a statement sent to Nature on 19 March. “With this decree the Ministry of Health, as well as being consistent with what’s been established by international scientific organizations, has prevented improper or accidental uses [of additives] by chefs that might pose a risk to consumers,” she said. Martini noted that, unlike restaurants, the food industry “employs additives under conditions controlled by staff that are aware of how to use them”.
– Italian molecular cookery ‘ban’ condemned
– Nuove norme per additivi, aromi e enzimi alimentari
–Additivi alimentari (a decorrere dal 2010)
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