Un novel food al giorno: il baobab

In questo lancio d’agenzia il baobab è descritto come frutto miracoloso, usato per curare malattie e sintomi piu’ disparati. Perchè ne parlo? anche il baobab, inserito nell’elenco dei novel foods, ha ottenuto l’autorizzazione dalla Commissione Europea ad essere immesso nel mercato europeo.

Cosa possiamo prevedere? Poichè il frutto esotico della Adansonia digitata ha un contenuto elevato di vitamina C, di antiossidanti e di altri nutrienti, si prevede che la polpa estratta possa essere impiegata per produrre snacks o smoothies.

Commenti entusiasti da parte della associazione Phytotrade che ha seguito l’applicazione del baobab come novel food, e si anticipano grandi opportunità per i paesi africani in cui il baobab cresce ed è usato a scopo alimentare dalle popolazioni locali. Il Natural Resources Institute, prevede che il commercio del baobab potrebbe arrivare a un valore monetario pari a 1 miliardo di dollari l’anno per i produttori africani. Però ci sono anche perplessità legate al lungo ciclo biologico del baobab e ci si interroga se una richiesta elevata dei derivati del baobab, possa essere sostenibile. Una discussione interessante sull’argomento è iniziata sul blog World of Mouth del Guardian.

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19 commenti on “Un novel food al giorno: il baobab”

  1. Stefania ha detto:

    il blogger di World of Mouth cita un altro blogger che parla proprio di potenzialita’ di questo mercato, ancora assai sconosciuto. E’ chiaro che da anni l’EU ha intrapreso una politica diretta ad aiutare le popolazioni Africane – diversi stati sono stati inclusi in programmi di sviluppo e EPA, Economic Partnership Agreements. Chiaramente questo spinge l’industria a spostarsi da queste parti perche’ trova terreno fertile per i propri affari. L’acquacultura, ad es. si e’ spostata dall’Asia in Africa dopo aver utilizzato quello che poteva (inquinando), ad esempio. QUindi non stupiamoci se vedremo ora tutta una gamma di prodotti che vengono dal continente Africano. Grazie alle buone proprieta’ di un frutto esotico che cresce spotaneamente, l’industria sara’ in grado di proporre un prodotto di nicchia – bisogna vedere come gestira’ tutto il processo ‘politico’ e quanta reale attivita’ (o disagio?) creera’ alle comunita’ gia’ devastate da problemi di ogni tipo, non ultima la corruzione.

  2. Stefania ha detto:

    leggevo uno dei titoli dell’associazione … che riassume un po’ il discorso che facevo sopra

    Move away from goji here comes baobab

    i frutti goji sono stati fortemente commercializzati per le loro proprieta’ antiossidanti (un blogger ne parlava un paio di posts giu’ se non erro), proposti sopratutto disidratati (ad es. nelle miscele del tea), e sono tipici dell’Asia.

  3. Meristemi ha detto:

    In questi casi spostarsi dall’ambito tecnico (goji o baobab hanno un vero valore nutrizionale e salutistico?) a quello politico (operazioni come quella del baobab avranno davvero una ricaduta positiva per le popolazioni locali?) è facile e si rischia di confondere i due piani.

    Il punto a mio avviso è il modello di mercato, di economia e di commercio (ed in ultima analisi di sviluppo) a cui si fa riferimento. Personalmente sono più che favorevole al fatto che prodotti della biodiversità vengano utilizzati per creare sviluppo nei PVS, a patto che a quei paesi vengano dati strumenti per produrre, processare, rielaborare dette materie prime. Limitarsi ad importare baobab dal Mali, ad esempio, ha una valenza ben diversa dal contribuire allo sviluppo di aziende locali in grado di creare novel foods a base di baobab e dare sostenibilità alla produzione.

    Detto questo, nel settore dei novel foods si vive di mode e di turnover come nemmeno nell’industria dei microprocessori: una materia prima innovativa è già considerata passe’ dopo pochi mesi. Anche per questo motivo continuo a pensare che il vero modello di riferimento per le dinamiche di mercato dei prodotti vegetali (in nutrizione e non solo) non sia quello farmaceutico nè quello alimentare tradizionale, bensi’ quello cosmetico dove catchy ed appeal sono da sempre parole con un peso fondamentale.

  4. Stefania ha detto:

    Il discorso politico e’ sempre da tenere in considerazione quando si parla di queste cose, semplicemente perche’ la dimensione politica e’ sempre presente. Parliamo del famoso triangolo di attori – stato/societa’ civile/industria attraverso cui il sistema alimentare si muove e si evolve. I 3 ‘vertici’ vanno insieme, le istituzioni (a diverso livello, pensa anche a FAO o WHO o i governi locali) offrono i mezzi e gli strumenti (pensa alle regolamentazioni, o ai sussidi), l’industria crea l’attivita’ (i settori farmaceutici o alimentari tradizionali o ora cosmetici, ti assicuro, sono interrelati), e i gruppi di societa’ civile (le varie NGOs ma anche GONGO, DONGO etc), che mediano, sopratutto in situazioni dove – come l’Africa – c’e’ una quasi totale assenza di regolamentazione: parlavo prima dell’acquacultura perche’ di recente ho scritto di gamberi e sono a conoscenza del fatto che molti produttori si stanno spostando in Africa proprio per questa ragione in seguito all’esaurimento (a livello ambientale) di diverse zone costiere dell’Asia.

    Quindi non parlo solo di novel foods- e’ ovvio che il discorso della biodiversita’ e’ piu’ che giusto, ma purtroppo, a meno che non ci siano gruppi che facciano valere questo concetto (e in questo mettiamoci non solo Slow Food ma anche vari gruppi ambientalisti), molto spesso i governi locali (pensa allo Zimbabwe o ad un altro stato Africano) non sono capaci di farlo in maniera sostenibile. Ho citato lo Zimbabwe come esempio perche’ ora come ora la politica del mondo occidentale si ritrova in una situazione molto imbarazzante: questo tiranno continua a governare il paese con i metodi che conosciamo e allo stesso tempo non ha fatto niente per salvare la popolazione dalla fame. Anzi, la tiene proprio a digiuno per un discorso di potere. E come mai l’EU e’ cosi’ imbarazzata da tutto questo? perche’ ha permesso a settori dell’industria alimentare di andare e iniziare le proprie attivita’, tipo l’acquacultura proprio in questo paese dove la gente muore di fame. La totale assenza di leaders politici del mondo occidentale al convegno di Roma a Giugno e’ stata in parte dovuta proprio a questo: si sapeva che Mugabe avrebbe rotto il bando EU e avrebbe viaggiato per partecipare alla conferenza, e che avrebbe usato il discorso alimentare come scusa per ottenere l’appoggio politico delle nazioni occidentali.

    Quanto questo giova alle comunita’ locali? se questi progetti continuano ad andare avanti come sono andati avanti finora, molto poco. Pensiamo che diverse colture che sono state introdotte in Africa solo per obiettivi puramente di markting -una fra tutte: i fagiolini verdi sottili che vengono prodotti solo ed esclusivamente per il mercato occidentale. I fagiolini in Africa non sanno neanche come si mangiano, e le varie aziende che sono state attivate e sostenute dai gruppi di distribuzione ad es. britannici (i vari buyers dei supermercati fungono da importatori, importano direttamente il prodotto che dalla serra viene impacchettato e messo in aereo), li producono come prodotto di nicchia: ebbene si, i fagiolini verdi, qui tipicamente vengono dal Kenya e sono un prodotto di nicchia, costoso, una cosa come da noi sono in primavera i fiori di zucca (tranne che i fagiolini ora qui grazie a questa operazione di marketing sono presenti tutto l’anno). A me pare che anche operazioni tipo i semi di baobab (o i goji prima) possano facilmente creare situazioni simili…

    Inoltre vorrei ancora una volta far riflettere su queste benedette ‘externalities’ ovvero i costi ‘nascosti’ all’ambiente e agli operai coinvolti nella filiera che questo tipo di attivita’ producono. Il produttore certamente non le paga cosi’ come non le paga il governo locale (che non sa molto di ambiente o che non ha una regolamentazione adeguata per tutelare gli interessi delle comunita’ coinvolte nel progetto)…. altrimenti non si spiegherebbe come , sempre citando l’esempio dell’acquacultura di scala in certe zone dell’Asia, ad es. Bangladesh, certe comunita’ si siano ulteriormente impoverite. Sono tutte considerazioni che sono oramai diventate imprenscindibili, visto che si e’ accettata l’idea che dobbiamo tutti cercare un modo di vivere piu’ sostenibile per tutti.

    Scusate mi sono dilungata un po’…. 🙂

  5. Meristemi ha detto:

    Il caso del baobab è però diverso da quello dei fagiolini. Stiamo parlando di una cosa molto più assimilabile ad un presidio slow-food: il baobab lo trovi solo in certe zone specifiche dell’Africa, si usa essiccato, si conserva tutto l’anno e non ha quindi problemi di stagionalità, gli usi occidentali derivano dall’alimentazione locale. La sua storia come prodotto commerciale assomiglia (ed assomiglierà) a quella dell’argan o del karitè. Fino a che resta (e ci resterà, grazie al turnover del mercato nutraceutico) un prodotto di nicchia problemi non ne vedo, vedo invece opportunità per dare impulso alla produzione/trasformazione locale (vedi argan/karité o moringa) e sarebbe bello che non ci si limitasse ad importare materia prima sic et simpliciter, secondo un modello tipicamente neocoloniale, ma si promuovesse in loco la capacità di produrre novel foods.

    Detto questo, se l’operazione è condotta secondo certi crismi ed attenzioni su scala sociale, io non sono neppure contrario ad esempio alla coltivazione di pomodoro ed alla sua trasformazione in paesi africani. A mio avviso il problema non è nella merce o nel prodotto ma nella forma che si sceglie per favorire lo sviluppo locale. In un vecchio, ma combattutissimo post di Dario Bressanini sui “Km zero” questo argomento era stato ampiamente sviscerato.

  6. Stefania ha detto:

    no non sono contraria neanche io alla coltivazione di pomodoro (che se non erro gia’ avviene, nelle regioni del SubSahara), e alla sua trasformazione in loco – il problema e’ che questi prodotti trasformati o non di solito non trovano un grosso mercato locale… sono proprio fatti per l’esportazione perche’ la catena alimentare legata al mercato locale e’ alimentata da aziende differenti, spesso a gestione familiare, un po’ come ancora succede in certi paesini in Italia. Comunque, il mio era naturalmente un esempio per ragionare su come certe idee che possono sembrare buone, poi finiscono per produrre effetti inaspettati su ambiente, persone, politiche locali etc. Pensa che ieri leggevo un consultation paper del ministero dell’agricoltura e marina UK dove si evince chiaramente che il focus dell’azione politica proposta debba essere orientato a garantire una fornitura di generi alimentari qui – ovvero: fornitura, non produzione in loco – anziche’ dare piena potenzialita’ al settore agricolo (che qui e’ davvero mal messo, se pensi che l’UK ha un bassissimo tasso di sicurezza alimentare, tutto viene fatto produrre fuori) … questo continua a mio avviso ad essere un modello neocoloniale che , credimi, fatica a svanire… altro che baobab o i goji … E lo stesso (anzi, pure peggio) si puo’ dire degli US. Un altro problema di cui poi non si parla molto spesso e’ la confusione che regna fra i consumatori almeno qui in UK – non dico ‘ingenui’ , ma proprio confusi, che davanti agli scaffali di novel foods o prodotti con health claims non capiscono piu’ a cosa credere. C’e’ ancora chi, ad es., non sa distinguere i grassi ma sa che sono ‘cattivi’ per la salute (tutti!?). Un’altra cosa non capisco e’ come questi prodotti trovino un mercato di fronte alla fortissima recessione globale – qui in UK, sopratutto poi in citta’ dove il traffico e’ congestionato, avere una macchina e’ senz’altro una ‘liability’… Si prevede che il rialzo dei prezzi alimentari qui in UK si fermera’ fra qualche anno ma che non scendera’ piu’ ai livelli degli anni passati: e’ finita la cuccagna per molti, mi sa.

  7. gunther ha detto:

    In Francia sono gia in vendita smoothies di baobab da almeno un anno, http://www.ouendmor.com è solo uno dei tanti marchi che lanciano bevande con baobab, un ottima documentazione sul baobab e della sua cultura in africa potete vederla
    http://www.futura-sciences.com/fr/comprendre/dossiers/doc/t/botanique/d/baobab-larbre-pharmacien-larbre-de-vie_666/c3/221/p6/
    se serve a creare sviluppo locale ritengo che sia positivo, non so quanto però siano interessati le grandi aziende a creare sviluppo locale

  8. Stefania ha detto:

    quasi mai 😦
    ed e’ per questo che le NGO operano, proprio per cercare di riempire quel vuoto. In diversi paesi hanno insegnato a coltivare usando pochi pesticidi (e insegnando come usarli senza farsi male).

  9. gianna ferretti ha detto:

    @gunther, forse sono in vendita da piu’ tempo? altrimenti a questo punto non comprendo la notizia della approvazione della polpa di baobab come “novel food”. Occorre studiare meglio la documentazione sottoposta ad approvazione, lo farò. 😀

  10. Meristemi ha detto:

    “non so quanto però siano interessati le grandi aziende a creare sviluppo locale” Ce ne sono. Non molte, sono largamente in minoranza ma iniziano ad essercene e la loro presenza permette al terzo settore di condurre operazioni nuove in campo alimentare/produttivo, come ad esempio il project financing in PVS quasi totalmente con fondi privati.

    Faccio un esempio pratico (ma ipotetico e per forza di cose ipersemplificato) ad esempio con il mango. L’ONG X ha contatti con una realtà in un PVS che vuole produrre smoothies di mango ma non ha i soldi. Contatta due aziende del settore, sensibili al tema sociale: una che produce impianti ed una che commercia succhi di frutta. L’azienda dei succhi di frutta genera una lettera di credito nella quale garantisce l’acquisto di un certo volume di prodotto e grazie alla lettera si ottiene un credito bancario che viene investito per la creazione dell’impianto di processazione/confezionamento nel PVS. Nei primi 5 anni l’impianto lavora per ripianare il debito lavorando sia col fair trade che con commercio convenzionale, terminati i quali il profitto dell’impianto viene reinvestito in attività sociali per la comunità, come pattuito a priori nel contratto tra le parti. La titolarità dell’impianto è locale, grazie ad una partecipata tra governo ed ONG, nella quale talvolta possono essere inseriti imprenditori e cooperative locali o, con una piccola percentuale, le imprese che hanno costuito l’impianto. L’operazione genera indotto perchè catalizza la nascita di una filiera locale, fornisce direttamente lavoro a partire da una pianta che ha una storia locale ed ovviamente stimola un aumento della produzione.

    Ci sono pro e contro e diverse cose vanno calibrate (quasi inutile dirlo: l’organizzazione lavorativa, la gestione delle coltivazioni, l’educazione ad un certo tipo di produzione, ecc.), ma è una strada nuova che nasce grazie all’esistenza di un’attenzione da parte del consumatore occidentale per certi temi, che inducono atteggiamenti virtuosi da parte di aziende attente. Qualche progetto di questo tipo sta iniziando a venire fuori e la mia descrizione è decisamente sommaria.

  11. Stefania ha detto:

    Quanto descritto da Meristemi e’ sommario ma rende efficacemente l’idea del tipo di rapporti che si possono creare. Certamente c’e’ una grossa differenza fra azienda ed azienda – non scordiamoci che sino a poco tempo fa le grosse aziende erano quelle che usufruivano in pieno dei sussidi produttivi, ora la musica e’ cambiata almeno qui in EU. Ora piu’ che mai qui in Europa si parla di sviluppo sostenibile

    Ora per fortuna anche la FAO si e’ accorta che certe produzioni (ripropongo l’esempio dei gamberi) possono essere realizzate con il rispetto dell’ambiente, e usando ad es. prodotti naturali (es. estratti vegetali etc) per curare la salute del vivaio, quindi semplicemente si e’ chiesta : se ha funzionato in certe aziende (i.e. America Latina) , perche’ non replicare altrove? E’ un grosso passo avanti.

    per quanto riguarda i novel foods, la data e’ il 1997

    Alcuni links:

    sullo sviluppo sostenibile http://ec.europa.eu/environment/eussd/

    http://www.un.org/esa/sustdev/

    sui novel foods
    http://ec.europa.eu/food/food/biotechnology/novelfood/index_en.htm

  12. […] globale,il continente africano inizia a farsi conoscere per alcuni prodotti o ingredienti come il baobab e l’olio di argan da impiegare non solo nel settore dei cosmetici. Tra i nuovi ingredienti, […]

  13. Mauro ha detto:

    Per quello che mi riguarda ho creduto nel baobab (in particolare nella polpa del frutto) dalla prima volta che l’ho provato circa 4 anni fa. Ho conosciuto un produttore italiano che fa lavorare e sviluppare i piccoli villaggi per la raccolta in Senegal e ottiene un ottimo prodotto controllato ed analizzato.

    Dopo aver appreso che l’importazione come alimento in UE e’ stata sbloccata dopo 2 anni di studi ed aver letto l’articolo su repubblica devo dire in tutta sincerita’ che sono contento che un prodotto che ha cosi’ tante caratteristiche benefiche per il nostro organismo sia uscito dalla nicchia. Se inoltre questo permette ai villaggi di raccolta di svilupparsi, ben venga. La persona che conosco paga ai villaggi i frutti di piu’ che se loro li vendessero ai mercati locali.

  14. Stefania ha detto:

    L’importante e’ che vengano rispettati anche i bisogni locali. Si e’ spesso rivelato controproducente l’uso di una risorsa locale (che rappresenta il fabbisogno della dieta locale) per ragioni di esportazione/industria… non scordiamoci mai il caso delle tortilla e del mais, gia’ citato in altri interventi su questo blog, dove il mais viene dirottato per usi industriali, il prezzo aumenta e le popolazioni locali non hanno le risorse per comprarlo e farne tortillas, il loro pane quotidiano

    http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2007/01/26/AR2007012601896.html

    e’ notizia di queste ore che le negoziazioni WTO hanno fallito perche’ India e Cina, che di recente hanno imposto tasse sulle esportazioni di riso (per proteggere il fabbisogno interno), non hanno avuto garanzie in questo senso dalla comunita’ internazionale. Da una parte gli USA, che vogliono che i principi del libero commercio vengano applicati ovunque e senza sussidi o imposte che possano falsare il prezzo dei prodotti, dall’altra i paesi emergenti che hanno problemi a gestire lo spaventoso aumento del fabbisogno alimentare in seguito all’aumento del potere d’acquisto delle classi medie. Ricordiamoci anche che per far fronte a questo problema tanti distributori hanno iniziato ad introdurre i tipici alimenti della cultura occidentale industrializzata (a cui queste popolazioni non sono abituati, ad es. i prodotti caseari in Cina), fra questi cibi pronti con grassi trasformati e densi di zuccheri.

  15. Stefania ha detto:

    riallaccio il discorso dei profondi cambiamenti nell’economia in India segnalando un vecchio articolo del FT dal titolo Developing tastes, spiega proprio le conseguenze sociali dei rincari in questo paese

    http://us.ft.com/ftgateway/superpage.ft?news_id=fto012520081326024874

  16. nello ha detto:

    ma se volessi comperare un alberello di baobab da piantare, dove potrei acquistarlo?
    grazie nello

  17. Mondolebes ha detto:

    Mondolebes è un azienda italiana che vende solo prodotti naturali al Baobab

  18. Martina ha detto:

    Per chi fosse interessato a conoscee meglio il frutto del Baobab consiglio di visitare questo blog
    http://mondolebes.blogspot.com/


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