Quale tracciabilità
Pubblicato: 2008/10/10 Archiviato in: Food blogs 14 commentiSarà capitato anche a voi di vedere frutta o ortaggi dove non è dichiarata la provenienza, proprio come questa presa dal blog Vigopensiero, curato da Corrado Vigo, agronomo che vive e lavora in Sicilia. Vigopensiero è diventato una delle mie letture. Ironia, sarcasmo, tristezza, scoraggiamento nei suoi post nel descrivere le condizioni dell’agricoltura siciliana tra disastri climatici e inutili follie burocratiche.
[…] Continua […]
Sono stato fornitore di COOP e mi è capitato di fare un richiamo di un lotto di 20 scatole di pistacchi perchè avevo il dubbio che l’etichetta non fosse conforme. Mi sono stati restituite 9 scatole di tutt’altri lotti che invece erano conformi (tutto documentabile). Meno male che in questo caso non c’erano rischi per il consumatore, ma la procedure di tracciabilità e rintracciabilità si sono rilevate un disastro. “La coop sei tu…” (ma io spero di non esserlo…). 😉
Alcuni mesi fa (in piena crisi rifiuti in Campania con relativi incendi) sul giornalino della Coop-Toscana “Informatore Coop” apparve una lettera di un socio Coop che chiedeva maggiore trasparenza sulla tracciabilità della frutta e della verdura fresche in vendita nel supermercato. In pratica il socio si lamentava che alla Coop il cartello che indica l’origine della merce riporta solamente lo stato di provenienza (Italia, Spagna, Argentina) e non la zona geografica o la regione di produzione.
La risposta di Coop fu estremamente deludente: non avrebbero mai messo la zona di origine della frutta e della verdura. Il socio doveva fidarsi ad occhi chiusi dei disciplinari e dei controlli sanitari fatti da Coop.
Permettetemi, ma io vorrei sapere se le bietoline o le mele che mangio sono cresciute in un’amena valle di montagna o su una discarica dismessa o accanto ad un’autostrada… Sarà per questo che da un po’ di tempo a questa parte acquisto frutta, verdura, latticini e formaggi solo al G.A.S. (Gruppo Acquisto Solidale)?
Ho ritrovato il link alla lettera del socio e la risposta di Coop (Pubblicata sull’Informatore di Giugno 2008 – La lettera si intitola “Origine temuta”)
http://www.coopfirenze.it/informazioni/informatori/articoli/7311
Francamente è imbarazzante leggere, da Coop la seguente frase
“Detto questo e dopo aver investito parecchi soldi e parecchio impegno per la sicurezza del consumatore, è giusto penalizzare questi prodotti scrivendone l’origine oltre le disposizioni di legge? ”
Bravi sicuramente è meglio lasciare il consumatore nell’ignoranza e nell’impossibilità d scegliere… per tutelare cosa? I $oldi degli inve$timenti…
non e’ neanche per una questione prettamente di guadagni, sai, Marco – il distributore cerca sempre di minimizzare eventuali cambiamenti a meno che NON abbia la certezza che siano vantaggiosi alla propria immagine; sopratutto non prendera’ iniziative particolari a meno che non ci sia una vera emergenza o a meno che la legge non glielo imponga. Viene naturale usare (da parte del retailer, non dico che sia giusto eticamente!) certe qualita’ di un prodotto come marketing tools per vantaggio proprio (che e’ quello di vendere), puntando sulle ‘debolezze’ o ‘mode’ del consumatore: oggi e’ il ‘low fat’ o l’equo-solidale, o il funzionale, domani sara’ qualcos’altro. Inoltre i cambiamenti sull’etichettatura o sull’impacchettamento, pesano sempre e solo sul produttore, non sul distributore. Qui in UK raramente nei supermercati trovi le cassette con la frutta o verdura sfusa, che puoi scegliere tu, e’ tutto impacchettato con gli standard che vuole il distributore, ma imposti al produttore. In Italia forse c’e’ piu’ smercio di fresco sfuso, ma i supermercati stanno gradualmente aumentando il loro potere commerciale quindi penso che prima o poi succedera’ anche da voi. Beh in italia notai qualche anno fa qualche tentativo nei Carrefour (se non erro), dove vidi solo salumi e le carni gia’ affettate e impacchettate e dove prima c’era il banco dei tagli, ora ci sono tutte le vaschettine. E’ un altro esempio di come il distributore impone la sua politica in questo caso al consumatore, ma anche al produttore.
Il discorso dell’etichettatura e’ ancora molto sofferto perche’ la regolamentazione (come norma di legge da seguire) viene dall’ambiente politico, che ancora non ha capito cosa sia MEGLIO fare. Quindi sino a quel momento, il distributore fa quello che vuole, quello che e’ meno complicato e via. E’ giusto – per quello che puo’ valere il mio giudizio – giustissimo, che uno si rifiuti di comprare in certi esercizi se non si sente tutelato. E il produttore? ovviamente ha la scelta di non vendere i propri prodotti a tale supermercato X e di vendere in proprio, ma la seconda soluzione- che si traduce poi nel progetto dei ‘farmers’ markets’ comporta una serie di procedure e routine che magari il produttore X non e’ disposto a seguire, e quindi se vendere ad un distributore e’ per lui la soluzione piu’ facile per lui, questo fara’…
Ciao, a me è successa una cosa simpatica, o forse drammatica… che mi va di raccontare: sono un produttore di ortaggi e frutta bio, e per una serie di fortuite combinazioni mi è capitato di entrare in un “giro” di forniture alle mense scolastiche. Un’assoluta attenzione alla tracciabilità, tutto doveva essere confezionato e certificato per benino, e fin qua siam tuti d’accordo. E’ capitato poi che la mia merce piacesse tanto e si è sparsa la voce… a quel punto la mia roba non bastava più… mi han chiesto di fare da tramite, in modo che potessi garantire la qualità anche di ciò che arrivava da altre aziende bio dei dintorni, per avere un unico fornitore, e mi son ritrovato a fare una parte commerciale, a distribuire. Ancora una volta tutto bene, etichetta mia (come cooperativa) e registri di carico e scarico in cui annotavo tutti i passaggi di merce. Ma la gamma era ristretta e per di più si avvicinava l’inverno… così mi han chiesto di comprare ai mercati generali e di continuare a garantire… la parte commerciale è cresciuta oltre quella produttiva… e alla fine son arrivato a vendere arance e banane con etichette piemontesi… e ho ceduto l’appalto, ad altri piemontesi “più in grado di me di produrre banane”. Oggi produco e vendo solo i miei prodotti e vi so dire da quale metro quadro di terra arriva la mia insalata!
ciao.
Grazie Andrea, per l’ottimo intervento perche’ spiega esattamente il tipo di pressione a cui i produttori spesso sono esposti! proprio come indicavo io nell’intervento precedente… alla fine come dici tu, e’ anche il produttore che si deve un po’ porre il problema di cosa vuole fare… la tua soluzione ti rende indubbiamente libero da certe logiche imprenditoriali, ed e’ sicuramente piu’ rassicurante per il consumatore comprare la frutta e la verdura direttamente dal produttore. Inoltre non scordiamoci che il grande distributore decide lui la scelta di ortaggi da proporre al clienti, non e’ mai il contrario!
Stefania, capisco il tuo discorso… in effetti quando la dichiarazione della zona di provenienza garantisce al venditore o al distributore un vantaggio, essa è sbandierata ai 4 venti con cartelli ed etichette etc… (es. Mele della Val Di Non, Cipolle di Certaldo o di Tropea, capperi di Pantelleria etc…), altrimenti silenzio assoluto solo indicazioni minime di legge (provenienza Italia)… Ok è il mercato baby… ma dalla “Coop sei tu”… ti aspetteresti un trattamento diverso… dopo tutto sono gli stessi che fanno educazione al consumo nelle scuole…
Comunque sono molto contento di aver ricominciato ad acquistare verdure, frutta, formaggi, latticini e altro presso il GAS (Gruppo Acquisto Solidale)… compro bio e conosco direttamente gli agricoltori e gli allevatori che hanno prodotto quello che sto mangiando.
Visto come stanno andando le cose non è poco (vedi il caso Galbani di ieri).
Infatti, Marco – e fai benissimo secondo me. E questo tipo di comportamento da parte del consumatore e’ l’unica maniera per contrastare un certo tipo di politiche commerciali . Si parla nei papers accademici, del movimento del ‘fair trade’ , l’equosolidale, o del biologico, del biodinamico – di tutte queste diverse sfaccettature alimentari come modeste (ma sempre piu’ importanti dal punto di vista culturale) spinte verso il cambiamento, un cambiamento che puo’ aiutare tutti: il portafoglio degli acquirenti (perche’ la produzione non e’ legata al carbon fossile come le produzioni massificate), all’ambiente, all’economia locale, alla salute. Quando si riesce a soddisfare diversi obiettivi facendo un acquisto un po’ piu’ ragionato, perche’ no? il punto e’ che a molti puo’ sembrare un cambio cosi’ forte delle proprie abitudini che produce quasi timore. La Coop (ora io ovviamente non so niente della sua struttura etc), non scordiamoci che rappresenta cooperative di produttori, e le cooperative possono pure diventare sempre piu’ grandi – faccio un esempio: la Spagna, le cooperative sono diventate enormi, tanto da produrre per il mercato di massa che qui ha sbocco negli ipermercati; il mercato del biologico e’ molto piu’ limitato rispetto all’Italia, e anche gli agriturismo fanno poco. Quando si raggiunge una certa dimensione e’ molto difficile tenere come primo obiettivo la qualita’ del prodotto. La politica agricola Europea, (CAP) ha capito tutte queste cose, e sta ora dando incentivi non piu’ in base al volume di produzione, ma in base alla multifunzionalita’ dell’azienda: significa che ora come ora, le piu’ penalizzate saranno proprio le grosse aziende, e le piu’ avvantaggiate le piccole. Questo dara’ sempre piu’ la spinta ad acquistare dal piccolo piuttosto piuttosto che dal supermercato – In Italia gia’ si vede, anche qui in UK, il problema dell’UK e’ che si e’ dovuti iniziare da zero (perche’ non c’e’ sicurezza alimentare, quasi tutto ancora viene importato da fuori), ma in Italia le risorse per mangiare quello che si produce ci sono! anche per la meravigliosa varieta’ climatica e geologica. Perche’ non godersi questi vantaggi…? abbiamo capito che l’etichettatura NON ci risolve certi problemi – e il caso Galbani che hai citato calza a pennello…
scusate gli erroracci di battitura, peccato che non si possa entrare ad editare…. 🙂
In teoria la “Coop” non sarebbe una cooperativa di produttori ma bensì una Cooperativa di Consumatori… Diciamo che storicamente è un’evoluzione delle cooperative di consumo sorte nell’ambito delle società operaie e mutualistiche di fine 1800 e inizio 1900.
Purtroppo cresci cresci i fini sociali e cooperativi si sono sempre più annacquati fin quasi a scomparire e a far diventare Coop una catena di supermercati “quasi” come tutte le altre… e sul quel “quasi” ci sarebbe molto da discutere…
ah ho capito, vedi, mi ha ingannato una notizia di qualche mese fa, riguardante il gruppo (se non erro riguardava mancate concessioni dai fondi europei, ma potrei sbagliarmi), e mi ricordo di aver pensato che la ragione per l’esclusione poteva riguardare le dimensioni…
grazie dei commenti, le esperienze di Salvatore e di Andrea andrebbero approfondite.
Se è x questo prova a chiedere all’Esselunga la provenienza regionale dei loro prodotti … non lo dicono neppure di fronte a richieste esplicite e insistenti … altro che trasparenza. In Campania avvelenano quasi tutto, e non puoi neppure sapere da dove arrivano i pomodori che dai ai tuoi bimbi !!! Delinquenti !