Dossier Olivenöl: gli oli extravergine nei supermercati tedeschi

Merun

Nel 2005, su richiesta della rivista Merum, i panel ufficiali del Laboratorio della Camera di Commercio di Firenze hanno esaminato alcuni degli oli in vendita nei supermercati tedeschi.

Tra i 31 campioni di olio etichettati come extravergine,solo uno è risultato possederne i requisiti. Non siete curiosi di sapere di che marchio si tratta? e quali al contrario sono risultati fuori legge?

Nove oli furono classificati come semplici “vergini” e 21 oli addirittura come “lampanti”. Ciò significa che 30 oli su 31, la maggior parte imbottigliati in Italia, erano stati etichettati in maniera scorretta. I risultati di questa indagine erano stati pubblicati nel 2005 anche da Der Stern, da Slow Food Germania e dalla tv ZDF. Com’è andata a finire? Che la Carapelli,una delle aziende coinvolte, denunciò il giornalista Andreas März della rivista Merum per diffamazione ma ha perso la causa.

Non è strano che nessun quotidiano ne abbia parlato?

Ecco il comunicato stampa del periodico.

Si stima che il 95 per cento dei cosiddetti “extra vergini” sugli scaffali siano in verità dei semplici “vergini” se non addirittura degli oli “lampanti”.

È colpa della situazione completamente illegale che regna nel mercato dell’extra vergine se l’abbandono degli oliveti e la sofferenza delle aziende olivicole aumenta giorno per giorno.
È impossibile per le aziende agricole competere con i prezzi dell’industria. I produttori agricoli, con i loro prezzi di vendita, sono fuori mercato anche se vendono sottocosto. Merum, in passato, ha accusato ripetutamente l’industria olearia per la falsa denominazione dei loro oli. Il basso livello dei prezzi dell’extra vergine, il crescente abbandono degli oliveti da parte di tanti produttori per gli alti costi di produzione e la bassa redditività è una colpa da attribuire, secondo Merum, all’industria olearia ed una legislazione sbagliata.“Come la maggior parte degli ‘extra vergine’ del supermercato, anche i campioni della fabbrica d’olio Carapelli (Firenze) sono stati giudicati scadenti.
I panel del Laboratorio della Camera di Commercio di Firenze hanno riscontrato che gli extra vergine Carapelli sono denominati in modo errato. Indipendentemente dalla degustazione da parte degli esperti della Camera di commercio, la qualità scadente degli oli Carapelli è stata confermata anche da un ulteriore panel ufficiale (ARPAT/Firenze).”“Invece di denominare correttamente i suoi oli, il gruppo Carapelli, domiciliato a Firenze, se la prende con il singolo esaminatore. … Il modo più efficace per far tacere la stampa critica nella sua attività contro l’anarchia vigente nel mercato dell’olio di oliva, è quello di intimidire gli esperti.”“Fino a quando oli puzzolenti, rancidi e prodotti di qualità superiore che profumano di olive fresche porteranno lo stesso nome, i produttori di qualità in Italia e in tutto il bacino del Mediterraneo non hanno la possibilità di coprire il loro costi.”
“I manager dell’industria dell’olio sanno cosa significherebbe per loro una differenziazione dell’offerta dell’olio. Se il consumatore avesse libera scelta tra la massa e la classe, questo potrebbe significare una minaccia per il loro giro d’affari.”

Edit: Grazie al giornalista Andreas März di Merum, possiamo leggere l’articolo, è in tedesco, ma la tabella con i giudizi che ci interessano è comprensibile. Merum 2007_5_Dossier_Olio[1]

Fonti: andreapagliantini.simplicissimus.it Parco dei buoi nove.firenze.it


14 commenti on “Dossier Olivenöl: gli oli extravergine nei supermercati tedeschi”

  1. riccardo ha detto:

    E pensareche siamo sempre pronti a dare contro agli altri, perché imitano i nostri prodotti. Magari esistono in commercio olii tunisini assai migliori…

  2. Gianna Ferretti ha detto:

    Ho inserito il pdf dell’articolo, grazie al giornalista Andreas März di Merum.

    Fai clic per accedere a Merum-2007_5_Dossier_Olio1.pdf

  3. Stefania ha detto:

    In risposta a Riccardo – non e’ la provenienza geografica che necessariamente fa un olio migliore dell’altro. Il problema sta nel fatto che quando qualcosa e’ prodotto su larga scala – ovvero dall’industria piuttosto che dal piccolo produttore – e’ molto facile immettere sul mercato qualcosa che non e’ di qualita’ ottimale e con un’etichettatura banale e poco chiara. Non scordiamoci che l’etichettatura e’ un’autoregolamentazione e che normalmente gli organi competenti indicano cosa NON si deve fare : ad es. (dal sito del ministero)

    – indurre in errore l’acquirente sulle effettive caratteristiche, qualità, composizione, e luogo di origine del prodotto;
    – evidenziare caratteristiche come particolari, quando tutti i prodotti alimentari analoghi le possiedono;
    – attribuire all’alimento proprietà atte a prevenire, curare o guarire malattie, nè accennare proprietà farmacologiche. Molte forme di pubblicità insidiose ed ingannevoli si concretizzano aggiungendo in etichetta delle aggettivazioni atte ad esaltare indebitamente un prodotto: – “genuino” per un formaggio, “naturale” per un miele, come se fosse lecito produrre le corrispondenti tipologie “adulterato” o “artificiale”;
    – non si può indicare in etichetta che una grappa “fa digerire” o qualificare un miele “iperenergetico, indicatissimo nello sport e nel superlavoro”.

    La promozione del commercio internazionale ha in un certo senso facilitato il sorgere di questi problemi di etichettatura. E il piccolo produttore, manco lui e’ infallibile! certo, non siamo rassicurati al 100% neanche dal piccolo produttore se non conosciamo personalmente i suoi metodi produttivi, ma la grande differenza e’ che non copre un mercato vasto e quindi i ‘danni’ sia per i consumatori che per il settore stesso sono molto inferiori. Quindi puo’ pure darsi che ci siano olii tunisini migliori, se prodotti in un certo modo, ma non e’ detto che offrano le dovute garanzie. Fra l’altro l’industria agroalimentare – come forse mi e’ capitato di commentare in altri posts – si sta spostando in Africa proprio per l’assenza di regolamentazione, che fa il ‘business’ cosi’ facile per l’esportazione. Gli stati del Nord Africa, ad es. si stanno specializzando proprio nell’industria della conservazione: alici sott’olio, ad es. , poi capperi, olive. E poi arancia etc. E’ noto a molti (almeno qui in UK), ad es., di come il re del Marocco stia incentivando gli investimenti di ogni tipo, a partire dall’immobiliare a quello industriale (il che attira molto capitale straniero).

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  5. Stefania, nel campo dell’extravergine il problema è un tantino più complesso ed il comunicato stampa della rivista Merum centra perfettamente il punto:

    “…Fino a quando oli puzzolenti, rancidi e prodotti di qualità superiore che profumano di olive fresche porteranno lo stesso nome, i produttori di qualità in Italia e in tutto il bacino del Mediterraneo non hanno la possibilità di coprire il loro costi.””

    Sicuramente ci sono piccoli produttori che producono oli puzzolenti in Italia ed all’estero come ci sono piccoli produttori che producono oli di qualità sia in Italia che all’estero. Il punto è che le etichette non aiutano affatto il consumatore nell’individuazione della qualità dell’olio e questa inchiesta ne è la prova. Purtroppo la valutazione organolettica, parte integrante della normativa sulla classificazione merceologica di un olio, è gestita in modo assolutamente inefficace. Se i criteri d’assaggio fossero applicati rigidamente potremmo aver risolto il problema senza aggiungere nulla al quadro normativo esistente.
    Ma ve l’immaginate Carapelli o chi per lui che commercializza un “olio vergine d’oliva”…
    la vedo dura

  6. gianna ferretti ha detto:

    @Francesco, io ripeto la domanda. Come mai nessun quotidiano ne ha parlato? forse è il periodo? o problemi a parlare di alcuni nomi che figurano tra gli inserzionisti?

  7. Gianna,
    la percentuale di olio d’oliva commercializzato nel mondo appannaggio dell’industria olearia (praticamente 3-4 gruppi) è altissima, credo che oltre il 90%.
    “noialtri” ci dividiamo il restante 10%.
    La risposta è in queste cifre.
    Il mondo dell’olio è stranissimo e governato da pochissime persone. Gli olivicoltori, circa un milione in Italia, non contano un bel nulla.
    Basta vedere l’enfasi con la quale si è parlato sulla nuova norma sull’origine in etichetta…chi avvantaggerà se non l’industria olearia?
    Nel mio caso per esempio, non c’è bisogno di scrivere che le olive sono raccolte e trasformate in Italia..tu avevi qualche dubbio 😉
    Preoccupante e inquietante è la festa che ha fatto il ministro con le associazioni di categoria..

  8. gianna ferretti ha detto:

    Ieri ho visto un olio “extravergine” a 2,99 euro nel supermercato sotto casa. Ho scoperto ora che il produttore-confezionatore è tra i vertici dell’Assitol.

  9. Il prezzo all’ingrosso alla borsa di Andria era all’8 agosto di 2,95 euro al kg quindi 2,68 al litro circa…
    Considerando che si tratta di prezzo all’ingrosso il cui lotto minimo d’acquisto è di qualche tonnellata….si rinnova il miracolo della GDO e dei maghi dell’Assitol, appunto..
    Chi riceve i 2,68 euro/litro dovrà operarsi nel fare miracoli per.. campà :-/

  10. Stefania ha detto:

    @ Francesco – sono d’accordo con tutto quanto scrivi. E’ un disagio sentito da molti piccoli produttori e non solo degli olii. Quando scrivo >e’ molto facile immettere sul mercato qualcosa che non e’ di qualita’ ottimale e con un’etichettatura banale e poco chiara.< e' proprio quello che intendo, il problema e' l'etichettatura, cosi' come d'altronde ci sono molti consumatori che l'etichetta manco la sanno leggere o se la leggono non la comprendono. Non vivo in Italia da diversi anni ma la mia impressione e' questa, correggimi se sbaglio. La classe politica italiana – e questo sopratutto nell'ultimo decennio – seguendo le orme di paesi come l'US e UK, ha voluto incentivare i grossi gruppi industriali senza pensare molto ai piccoli. La cosa tragicomica e' che ora, invece, in UK c'e' un bel dietrofront. E anche Obama sta cercando di togliere i privilegi concessi ai grossi gruppi agroalimentari in US (chissa' con quali risultati). E invece l'Italia, no, continua per inerzia ad accarezzare il sogno dei grandi gruppi che 'creano lavoro' e che quindi devono necessariamente essere aiutati di piu'. Eppure anche l'EU ha cambiato la sua politica degli incentivi! Ma come per il discorso ambientale, sembra che all'Italia importi poco.

  11. Stefania ha detto:

    @Francesco – e’ proprio quello che intendo; l’etichettatura non risolve certi problemi e d’altronde anche tanti, troppi consumatori peccano di disinteresse e al momento dell’acquisto scelgono quello che costa meno senza farsi troppe domande su quello che dice o non dice l’etichetta. La provenienza non e’ l’unico criterio assoluto. Riguardo il problema dei pochi ‘grandi’ produttori, purtroppo la realta’ italiana inizia a riflettere una realta’ che e’ presente nell’agroalimentare gia’ da parecchio in altre nazioni. Le politiche dei governi italiani perseguono il mito della grande industria, e pertanto hanno negli anni recenti favorito sopratutto i grandi gruppi. Un peccatuccio che gli US ora stanno cercando di correggere (chissa’ se Obama ce la fara’). Penso tuttavia che la spinta per cambiare le cose possa arrivare non solo da su ma anche da giu’, non solo in ambito nazionale ma anche in quello sub-regionale / locale.

  12. Stefania ha detto:

    che articolo scorretto – hanno pure sbagliato il titolo della rivista inglese, chiamandola Witch (=strega) anziche’ Which 😀
    chi l’ha scritto non ha capito che la stragrande parte degli olii presi in esame da Which sono quelli che hanno l’etichettatura del supermercato, e che vengono imbottigliati direttamente alla fonte per il buyer e spediti. La filiera e’ lunga anche perche’ rimangono poi nei magazzini centrali una volta arrivati in UK e in attesa della distribuzione. Io sono la prima a non comprarli questi olii…

  13. giuseppe ha detto:

    beppe- da torremaggiore (foggia)sono un produttore di olive della qualità (peranzana riconosciuta come oliva da olio e da menza)e di olio extra vergine ,vorrei sapere perchè il nosto prodotto tanto richiesto dalla vostra regione, non viene ugualmente retribuito tenento conto che qui le olive costano 25,00 euro al quintale? oppure credo che chi compra le olive per portarle in toscana ci guadagna almeno il doppio.Non so se sia vero il 18/10 scorso da noi il prezzo era di 30,00euro e chi portava le olive in toscana guadagna più del doppio ancor oggi ovvero 65,00 euro,tenento conto che è il nosto reddito per poter sopravvivere visto i costi di produzione.E con molto impegnio e passione io cercherò di difendere il mio prodotto trasformandolo in olio extra vergine.Comunque cerchiamo di mangiare roba sana italiana e certificata e non farsi ingannare dai prodotti che costano poco, come tanti tipi di olii…….


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