Bravo! ti regalo un Happy meal!

pagella Mcdonalds
Cosa direste se vostro figlio portasse a casa la pagella con buoni voti e dentro un buono per una consumazione al fast food? Tempo di pagelle a Seminole County, una contea della Florida e la McDonald’s in cambio di 1.600 dollari, ha ottenuto dai dirigenti scolastici di poter riportare la propria pubblicità sulle schede di valutazione e buoni-omaggio ai piu’ bravi.

Via Luca De Biase


13 commenti on “Bravo! ti regalo un Happy meal!”

  1. Grissino ha detto:

    In un mondo ideale sarei molto favorevole perché un Mc Donalds all’anno non ha mai ucciso nessuno e sta ai genitori istruire, anzi, FAR CAPIRE ai figli come si deve mangiare correttamente e il valore e il gusto del buon cibo. Siccome siamo in un mondo imperfetto… beh, quelli dell’universitá si sono svenduti per poco… dovevano chiedere a Mc almeno 10 volte tanto. E tanto se Mc non faceva pubblicitá lí la faceva in altro modo. Quindi ritorniamo sempre sul punto che sta ai genitori far capire ai ragazzi cosa mangiano.

  2. Stefania ha detto:

    Grissino ha ragione – e per giunta chi come me ha girato quelle zone degli Stati Uniti si rende conto perfettamente che la battaglia e’ persa gia’ in partenza perche’ in queste zone domina in assoluto l’impresa dei pasti pronti, il fast foods in tutte le sue forme. Andare a fare la spesa, e’ un momento di totale inutilita’ perche’ le enormi distanze sono coperte solo da grossi ipermercati del nulla. WalMart (ovvero Asda), ad esempio, vende frutta e verdura fresca ma di bassissima qualita’ (provato sulla mia pelle) e non c’e’ niente come mercatini rionali etc. E’ una tristura totale. E molti americani sono ancora convinti di non avere tempo per andare a fare la spesa ne’ tantomeno cucinare. Intanto, sull’atra costa, in California, Tesco, una grossa compagnia di supermercati inglese, fa investimenti e assicura una vera e propria rivoluzione nella distribuzione della ortofrutta – il nome della nuova ‘avventura’ americana e’ Fresh and Easy (una scopiazzatura di Fresh & Wild, catena di negozi inglesi ora appartenenti a Wholefoods).

    http://www.telegraph.co.uk/news/main.jhtml?xml=/news/2007/10/03/wtesco103.xml

    Staremo tutti a vedere, compreso il ‘Governator’ Schwartzenegger (speriamo)…

  3. Grissino ha detto:

    Mitico Schwarty!
    😛

    Beh, é una questione di istruzione credo… anzi, di educazione alimentare. Giá é carente in Italia, figuriamoci lí.

  4. davide ha detto:

    sono d’accordo con mc donald’s.
    che non sia da traino per altre industrie ad incentivare lo studio.

    sono sempre in tempo i genitori degli studenti a non mandarli in quei postacci in cui servono fritte patatine e caldi panini.

    l’intenzione – commerciale s’intende – secondo me è giustificabile e condivisibile.

    mi immagino qui dalle mie parti: gli studenti meritevoli hanno diritto a degustazioni gratuite nelle migliori cantine della franciacorta…

  5. Stefania ha detto:

    @ Davide: il punto e’ che in certe zone degli Stati Uniti questa (McD, Taco Bell, Mr Wok etc) e’ l’UNICA scelta. Il panorama alimentare mica e’ variegato come da noi in Europa. L’imprenditoria alimentare e’ solo ed esclusivamente rappresentata da catene verticalmente integrate. Anche io sono molto liberale, ma mi rendo conto che in posti tipo Florida non c’e’ altra scelta (ci sono naturalmente i ristoranti di alto livello ma questo e’ un altro discorso).

  6. camoni davide ha detto:

    io li ho girati in lungo e in largo gli stati uniti. c’è molta scelta, la questione è secondo me culturale: non hanno la cultura del cibo.
    il pane, di cui Gianna parla nell’altro post, è una tradizione molto “italiana” o meglio “cattolica” (così come il vino). La cultura alimentare e la tradizione alimentare sono dei fattori determinanti nella scelta alimentare.

    faccio una provocazione: e se il Mc Donald di città e paesi che vivono situazioni disagiate, disastrate come alcuni stati africani o alcune zone asiatiche desse un pasto caldo a piccoli studenti promettenti?
    siamo sicuri che i vostri pareri con cambino?
    io mi immagino un mondo di superingegneri africani, grassi quanto vuoi, ma alla conquista del mondo scientifico.

  7. Stefania ha detto:

    Ho trovato un articolo che puo’ interessare (in inglese, sorry!) – dal New York Times

    http://www.nytimes.com/2007/12/02/us/02school.html?_r=1&ref=fitnessandnutrition&oref=slogin

    le autorita’ si rendono conto che i bambini hanno accesso ad alimenti nocivi alla salute: questi sono cibi prodotti dall’industria (venduti nelle mense a scuola), e particolarmente ricchi di zuccheri, sale e grassi. Si vuole cambiare questa situazione tramite un emendamento al ‘Farm Bill’ – Pensano che questa sara’ una cosa facile, ma la Nestle’, (nota accademica, il nome non inganni, non e’ parente della multinazionale) dice

    “This pits ideals about what children should eat at school against the political reality of large food corporations insisting their foods be available to children at all times,” said Marion Nestle

    I cambiamenti, dice l’articolo, possono avvenire non tanto a livello statale, ma a livello regionale – e questo per via del forte legame dell’industria alimentare a livello statale . Il risultato e’ che forse il cambiamento riguardera’ la quantita’ piuttosto che la qualita’ dei cibi. Leggete che dice una nutrizionista

    “My little fights in school districts are just going to be harder and harder because they’ll say, Well, here are the federal guidelines,” said Dr. Susan Rubin of Chappaqua, N.Y., a nutritionist who helped found the Better School Food advocacy group.

    “It’s crazy to think we are going to fix children’s health just by letting companies sell schoolchildren smaller portions of Gatorade and baked chips,” she said.

    ovvero, ogni scuola e’ lasciata libera di fare che vuole, ma il problema e’ che in molte scuole non ci sono gli stimoli culturali perche’ la situazione cambi! e con questo intendo anche dal punto di vista ambientale: non ci sono mica le piccole aziende (tipo masserie italiane e fincas spagnole) dove portar le scolaresche e far vedere che il latte viene munto – negli Stati Uniti l’alimentare e’ quasi ed esclusivamente di vasta scala. Anni fa in UK era uscita fuori la notizia che alcuni scolari non sapevano che il latte venisse dalle mucche e che le mele crescessero negli alberi. Beh, quando ho visto la pubblicita’ sulla TV italiana che le merendine crescono dagli alberi mi e’ venuto un ‘leggero’ sconforto…..

  8. Stefania ha detto:

    hai detto giusto Davide! il problema e’ largamente culturale: come fai ad insegnare di nuovo la cultura che e’ andata persa?! Il pane e’ una tradizione molto antica che riguarda molte culture anche non cristiane – i cristiani ne hanno poi dato l’interpretazione che noi conosciamo.

  9. Corsaro ha detto:

    Mi permetto. Il problema di Mc Do non è il suo nome, il suo brand. E’ la qualità del cibo che rifila ai clienti. Certamente tutto certificato a postissimo, daccordissimo. Per me fa schifio.
    Lavorassero con materie prime decenti non credo ci sia qualcosa da dire sul suo operato. La vacche fine carriera non è bene farle divenire degli hamburgher, tanto per intenderci.

  10. camoni davide ha detto:

    why not? dovrebbero costare di più secondo te? il prezzo è correlato al mercato, non alla qualità intrinseca del prodotto, soprattutto se dispone delle caratteristiche chimico – fisico – igieniche per essere venduto.
    se si vuole che esista una piramide della qualità, bisogna prendere atto che ad una punta di fiorentine succosissime e costosissime corrisponde una base di carne non pregiata ma nemmeno igienicamente da scartare. se il prodotto è commestibile ed ha un prezzo adeguato, il posizionamento sul mercato del prodotto è giustificabile.

    secondo me quello che indispone non è la scelta alimentare, ma il cinismo verso il Mercato, tematica che perciò prescinde dall’alimentare in senso stretto

  11. Stefania ha detto:

    c’e’ un po’ di entrambe le cose che tu citi, Davide. Il consumatore medio che va da McD non sa da dove vengono le farine usate per il panino. Queste non sono prodotte da scarti di grano pregiato – sono prodotte da grano che e’ stato cresciuto secondo metodi intensivi, da societa’ (non da aziende agricole) che praticano solo ed esclusivamente la monocoltura. In queste pratiche non c’e’ solo il. discorso dei pesticidi, nitrogeni etc usati, ma anche il fatto che queste piante vengono fatte crescere l’una attaccata all’altra – insomma, e’ proprio la qualita’ intrinseca di quel determinato grano, cosi’ come il pollo in batteria si differenzia da quello che e’ stato fatto razzolare : nel primo caso, quando si ammala uno, si ammalano tutti e quindi ulteriori ‘rimedi’ (ad es. antibiotici) vengono utilizzati. Queste grandi quantita’ di grano vengono poi tradotte sui mercati come ‘commodities’ qualunque e quindi sono soggette ai prezzi di mercato per quella data commodity. Da qui l’illusione di pagare poco per un prodotto ‘buono’.

  12. Corsaro ha detto:

    Il fattore che un prodotto è legale non vuole dire che sia commestibile…senza danni. Lo sapete come vengono alzati, PER LEGGE, certi parametri nelle analisi dell’acqua potabile? e le micotossine nel mais? E poi non è vero che produrre bene vuole dire costoso. Non sempre. Fate un pensiero sugli incredibili costi che gli allevamenti intensivi devono affrontare già solo per dare una “casa” agli animali. Questo quando madre natura a dato loro il pelo o le piume.

  13. Stefania ha detto:

    la questione dei costi e’ sempre presa come scusa dall’una o dall’altra parte – per chi come noi non sta a diretto contatto con il mondo della produzione alimentare alle volte e’ un po’ difficile capire. Certo e’ che dalle letture che ho fatto finora, un conto e’ parlare di una azienda alimentare su vasta scala (tipo quella descritta da Eric Schlosser o da Pollan), un conto e’ parlare di quelle piu’ piccole che sono piu’ simili alla nostra realta’ italiana. Nel primo caso, l’azienda e’ verticalmente integrata, percio’ in controlla la produzione dal principio fornendo tramite le sue sussidiarie o consociate i pesticidi che serviranno per le colture che andranno a nutrire l’allevamento o per produrre le farine necessarie per quel prodotto. E’ l’applicazione della tecnologia della Toyota – un libro che mi e’ stato consigliato e che non ho ancora letto e’ The Machine that changed the world’ di Womack. E anche un film, tratto dal libro omonimo, di Schlosser, Fast food nation – che spiega i meccanismi della catena alimentare in US – da cui pero’ non siamo immuni neanche qui in Europa. Il film e’ appena uscito per home entertainment, penso lo troviate con i sottotitoli in Italiano.


Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...