Not only Made In Italy
Pubblicato: 2008/01/29 Archiviato in: Multimedia, Not Only Food 23 commentiTorno sul richiamo del Food Made in Italy all’estero. Ma da quanto tempo il cibo italiano ha così tanto appeal? non è mica poco, guardate la vecchia pubblicità degli Heinz spaghetti quà sopra, risale agli anni cinquanta.
Nel panorama delle contraffazioni alimentari, o falsi Made in Italy, i riferimenti alla città di Bologna, definita un tempo “la grassa”, sono davvero molti. Lo dimostrano le varie versioni di Lasagne o di ragu’ alla bolognese preparate con ricette stravolte negli ingredienti.
Producono la salsa Bolognese nel Regno Unito, negli USA e la Coldiretti l’ha trovata perfino in Estonia. Gli Spaghetti Bolognese oltre ad esistere in lattina si trovano perfino in versione low-calorie e vegetariani. E il richiamo alle altre città italiane?
–Genova e la Liguria non sono da meno con il Pesto, mi sono ricordata di aver scritto anche di questa versione di pesto spray.
-Un giro su Google e scopriamo che c’è anche la Organic Milanese sauce.
-Troviamo anche una salsa Romana Marinara, che di mare non ha proprio niente.
-Gli abitanti di Empoli saranno contenti perchè abbiamo trovato anche un Sugo all’Empolese Made in Mammarella Foods, l’azienda del regista Francis Ford Coppola.
Ma vogliamo parlare anche dell’industria e dei prodotti della GDO che imitano le ricette regionali? Quante versioni di pesto si trovano?
Siamo sicuri che esiste il pesto alla siciliana?
e vi ricordate la sommossa dei livornesi quando la Buitoni sfornò il Cacciucco congelato?
E ora grazie a Stefania una pausa pubblicitaria. Lo spot del Raguletto. Per non dimenticare il richiamo alle località italiane, il Raguletto dello spot è Capri-Style. Of course!
Eddaje Gianna! ammetti che la reclame del Raguletto é ben pensata e simpatica…. Allegrie a parte: una volta ebbi a dire che se uno, che so, nelle Filippine mischia un succo d’uva rosso con un po´di minerale e dice “ecco mi faccio uno sciampagnetto..” subiti gli piombano addosso i legali del Comitato Produttori Champagne e lo citano in giudizio per sette-otto miliardi di euro. Perlomeno. Cosa voglio dire ? che dietro ad ogni prodotto ci deve essere uno Stato forte
che sappia difendere il valore economico (enorme il nostro) dei propri prodotti e dei propri nomi. La Francia questo stato compatto e forte lo e´, noi un po´meno. E quindi chiunque si appropria di nomi ed idee italiani o italianeggianti sa di poterlo fare con una qul certa impunitá. Se cominciassimo noi a regolare per esempio il pesto definendo per legge quello che si puo´chiamare pesto e quello che si DEVE chiamare salsa al basilico, poi magari avremmo in mano le armi da dare in testa a chi produce e commercia una salsa al basilico con gli anacardi ed il prezzemolo a Cincinnati e la chiama Pesto. Ed il pericolo e´duplice perché non viene solo da chi copia e stravolge ma, potenzialmente anche dal plagiante che produca salse o alimentari oggettivamente buoni e migliori di quelli della nostra industria agroalimentare
(Detto cio´ confesso la curiosita di farmi due spaghetti alla salsa Empolese ed una cantata al Raguletto…..)
Ciao,
Carlo
anche lo champagne e’ copiato in california, e i francesi non posson farci proprio niente.
idem x noi italiani. le ricette vengon propagate, specie dai nostri stessi emigranti, ed adattate agli ingredienti locali. questo protezionismo fondamentalista e’ inutile, ed anche un po’ ridicolo.
nessuno produttore obbliga nessun consumatore a comprarli. il consumatore aquista quel che vuole. se preferiscono la replica al prodotto originale, perche’ piu’ economico, o magari piu’ consono ai loro gusti, non sara’ il cambio di nome a scoraggiarli.
fintantoche’ non c’e’ truffa, tipo denominarli come “made in italy”, cosa che credo sia perseguita dalle autorita’ statunitensi molto piu’ efficacemente che dalle autorita’ italiane.
Attenzione che molte volte non proprio tutti i cibi sono “taroccate” ma bensì adattamenti di ricette ai gusti locali, mi spiego meglio:
Ricordo di aver acquistato delle lasagne surgelate della Findus in Australia, non ricordo dove prodotte, alle quali era stato aggiunto un tocco di italianità con dell’origano sulla superficie.
A questo punto non mi dite che la Findus non sappia cosa va messo nelle lasagne è soltanto che ha “localizzato” il prodotto.
Altri esempi: il dentifricio Colgate negli USA sa di cannella e non di menta, i primi colluttori venduti in Italia avevano un gusto che piaceva agli americani (tanto è vero che esiste una bevanda gassata allo stesso gusto !) mentre ora sanno di menta….
@Carlo, ti è piaciuto allora lo spot? e infatti l’ho messo apposta, allegria! 😉
Da quanti anni la Coldiretti, per fare un nome, ci parla da Cernobbio dei falsi Made in Italy in giro per il mondo? e cosa fa l’ICE a New York? mi chiedo anche se dietro queste produzioni non ci siano soci e/o imprenditori italiani.
UNILEVER:
We think the world of FAKEfood !!
Così dovremmo dire, altro che storie….
Io sono scettico da alcuni anni perché, l’ho già spiegato in un altro post, l’Italia non si é mai mossa in proposito, la UE é lenta perché adopera metodi farraginosi, solo qualche singolo produttore e 2/3 consorzi di tutela sono riusciti ad avere soddisfazione.
Vi ricordo che agli inizi degli anni ’80 la Barilla, con una campagna sulla stampa USA dove difendeva il suo prodotto a base di grano duro dagli attacchi della concorrenza sleale dei prodotti a base di grano tenero, per assurdo, diventò, in quel mercato, sinonimo di qualità e pietra di paragone per i consumatori.
Qualche anno fa, il Sudafrica ha perso la possibilità di usare il termine grappa sulle etichette della loro aquavite di vinaccia, perché la UE definì, in uno storico procedimento, che la parola grappa é sinonimo esclusivo di aquavite di vinaccia italiana prodotta attraverso un procedimento artigianale tramandato nei secoli. Seguì conspicua multa!
Durante il primo convegno nazionale della grappa, tenutosi a Torino, conobbi proprio l’avvocato che si occupò della causa e fu lì che mi resi conto che questi tipi di cavilli li possono combattere solo gli avvocati, non i consorzi né i produttori. Tutta la questione ruota intorno alle parole, perché non bisogna solo brevettare i nomi (pesto)o i marchi (amaretto di Saronno), ma anche i procedimenti (pizza) e gli ingredienti. Inoltre anche i comuni possono farlo perché i baci di Alassio possono essere diversi da quelli di Cuneo e sicuramente sono diversi da quelli di Milwaukee. Così eviteremmo di bere la barbera d’Asti fatta in Brasile, perché Asti non é in Brasile of course.
Viceversa abbiamo perso la causa per l’uso del termine Tocai e Tocai friulano, noto vino bianco secco che prende il nome dal vitigno, contro il Tokaji ungherese, noto vino bianco da uve passite che prende il nome dalla regione. Difficile confondersi, anche perché sono fatti con metodi diversi ed uno costa il quinto dell’altro. Ma ci siamo mossi tardi e male.
Ma perché tutto questo viene fuori solo adesso?
Un pò perché negli ultimi anni i presidenti di Coldiretti, Confagricoltura etc. sono persone serie e competenti, ma anche perché l’agricoltura é fonte di reddito per sé e per i comparti limitrofi ( turismo, trasporti, etc.), a noi italiani conviene, la terra é meno bassa di 30 anni fa e rende bene.
Aggiungo un’ultima cosa: il pesto siciliano esiste. Nelle ricette locali si usano versioni col pomodoro, formaggi diversi e le mandorle. Così come in Liguria, l’uso di questo semilavorato é stato importato dagli arabi. Addirittura esiste un piatto ligure tutto arabo: i mandelli (pasta fresca quadrata) al pesto, dove in arabo mandel significa fazzoletto, così come in genovese.
Altro ottimo intervento di Paolo – grazie! la questione delle parole e’ cruciale: infatti e’ cosa molto comune fra gli anglofoni, e sopratutto americani, parlare di ‘prosciutto’ (anziche’ ‘ham’) quando si tratta di prosciutto fatto in Italia (poco importa se sia di Parma, S.Daniele o toscano) – idem succede con la parola ‘pesto’ (e Paolo ha ragione, esiste il pesto siciliano), che per gli anglofoni puo’ essere fatto con qualsiasi cosa che abbia anche delle foglie verdi. La stessa cosa sta succedendo con alcuni prodotti spagnoli, dove si usa la parola ‘jamon’ per qualsiasi prosciutto crudo made in Spain , sia che sia il comunissimo Serrano che la Pata Negra (che costa decisamente di piu’)…. devo dire purtroppo che la confusione nell’uso improprio dei nomi e’ stata in parte guidata dagli chefs televisivi per dare quel tocco di ‘esotico’ alle ricette da loro presentate o pubblicate sui giornali. Cosi’, ti capita di sentire downunder la parola ‘frittatah’ per indicare la torta rustica (quella con la base di pasta frolla, per intenderci) o altre idiozie che oltretutto spiazzano il consumatore di una certa eta’ (immaginatevi il tranquillo pensionato di 70 anni di seconda generazione australiana che va in ristorante e non riesce neppure a comprendere il menu’!).
Inoltre, bisogna capire anche una cosa: quelli che noi (italiani) consideriamo marchi nazionali – tipo Findus – non sono altro che sussidiari di marche transnazionali: come diceva Paolo, la Findus appartiene(va?) a Unilever – qui in UK corrisponde alla Bird’s Eye. Stesso dicasi per una marca popolarissima e ‘romantica’ come ad es. il ‘cuore di panna’ , rappresentato qui in UK dalla Walls e chiamato semplicemente ‘cornetto’ (leggi: kornetow) – e a chi appartengono tutti questi marchi? a Unilever, of course!
date un’occhiata a questa lista
http://www.unilever.co.uk/ourbrands/foods/
dimenticavo una cosina – penso che la forte popolarita’ della fantomatica ‘bolognaise sauce’ sia dovuta al fatto che sia stata lanciata come uno dei primi prodotti pseudo-Italiani (quindi semplicemente perche’ e’ presente sul mercato da piu’ tempo), e sospetto sia fortemente legata alla prima grande emigrazione italiana verso il nuovo mondo – quella che fuggiva disperata dal nord-centro Italia.
La popolarita’ della pasta in genere fu poi consolidata dalle seguenti emigrazioni, quelle provenienti dal centro-sud del paese. Il tenore di vita degli emigrati, paradossalmente, miglioro’ rispetto a quello di coloro che rimasero in patria, e funziono’ da trainante per il mercato dei primi cibi pronti in Italia: la pasta secca e il pomodoro pelato, simboli della dieta meridionale. C’e’ un bel libro di La Cecla che si intitola La Pasta e La Pizza, che ho trovato citato in altri testi, che forse vale la pena leggere per capire perche’ e come diavolo la pasta e la pizza siano diventati il simbolo della cultura alimentare italiana nel mondo…
Vedi che le multinazionali conoscono appieno il significato della parola brand? Cornetto, Magnum e Solero infatti sono 3 marchi registrati…bisogna imparare da loro per combattere ad armi pari.
A Genova, in occasione delle Colombiadi, nacque questa associazione di tutela
http://www.confraternitadelpesto.org/statuto.html
Ma in 15 anni si sono mossi molto poco al di fuori della Liguria, tant’é che la maggior parte della pesto sauce che si trova a Londra viene fatta utiizzando il basilico di Alghero, ne mandano un aerocargo alla settimana…
:-O da Alghero? ma come mai, visto che la stragrande maggioranza del basilico che viene venduto fuori stagione viene da Israele? lo sai per certo? sono molto curiosa (essendo cagliaritana)…
Conosco parecchi produttori in quella zona, non so se il contratto é in scadenza, ma negli ultimi 3 anni hanno lavorato molto, soprattutto con Harrods. Il basilico di Alghero costa un terzo in meno rispetto a quello di Prà (GE), che però ha la DOP. Nelle serre il basilico si semina sui bancali tutto l’anno, non ci sono più le stagioni.
mai visto – se mi capita vado a curiosare. Ma comunque tutto si puo’ dire fuorche’ che Harrods sia un serio distributore di prodotti alimentari di nicchia. Se ci capitate noterete che ha 4 cose e che ha pure un bel banco di prodotti da supermercato (!). Per trovare prodotti buoni bisogna andare altrove – anche Selfridges e’ meglio di Harrods, oppure i negozi tipo Tavola. Oppure… fate un salto al Borough Market che ha molto di locale cosi’ come di importato.
Forse mi ero spiegato male: il basilico non viene venduto a mazzetti, ma viene trasformato in pesto sauce.
ah si, io pensavo al pesto fatto dal ristorante , non venduto direttamente … ‘pestato’…
comunque io non so se questa informazione ti puo’ tornare utile, ma secondo me ci sono alcuni ‘deli’ che un piccolo produttore dovrebbe contattare prima di finire da Harrods. Uno di questi e’ Tavola, come dicevo prima, che appartiene ad uno chef conosciuto – qui trovi una piccola foto dell’interno, non hanno website
http://www.telegraph.co.uk/wine/main.jhtml?xml=/wine/2007/12/22/edxanthe122.xml
io ci abito abbastanza vicino, poi sempre a Notting Hill ci sono altri deli di un certo livello : ad esempio Tom’s Deli (di Tom Conran) e poi Grocer on Elgin – anche se questo vende pochi prodotti d’importazione, il piu’ e’ fatto dalla loro cucina. Poi c’e’ anche questo, che non e’ male
http://www.mrchristians.co.uk/
No,no, lo spediscono fresco, viene trasformato fuori Londra e poi rivenduto.
Interessanti quegli indirizzi, grazie.
Io ho già una mezza idea, se tutto va bene, entro l’anno prossimo sbarcherò in UK con i miei prodotti.
davvero? e cosa di preciso? beh, se hai voglia di parlarne per email fammi sapere…
Mi dispiace Stefania, ma é tutto top secret.
… acqua in bocca! 😀
Piuttosto, lo sapevate che la Polonia é il più grosso produttore di mele e piccoli frutti della UE? E non solo quello….
http://www.paiz.gov.pl/index/?id=f1e2b2c9255d552500a833ac828cd635
Ritorno sull’argomento sollecitato dalla notizia che la pizza napoletana é in dirittura d’arrivo per ottenere dalla UE la STG (specialità tradizionale garantita), poiché la ricetta é già certificata da un proprio disciplinare nazionale. Riporto quindi alcune righe di un articolo apparso il 29/01/08 su Ilsole24ore dal titolo “Business scippati: pizza tedesca con strategie globali.”
L’a.d. della catena Valpiano, nome sounds italian ma ha sede a Bonn, Klaus Rader, annuncia di voler aprire 100 nuovi ristoranti in Europa e tra gli obbiettivi del 2009 ci sarebbe anche l’apertura di alcuni ristoranti in Italia. Valpiano, già presente in 31 paesi del mondo, ha chiuso il 2007 con 43 milioni di euro di fatturato, il doppio dell’anno precedente, non male per un marchio che é arrivato sul mercato solo 6 anni fa.
Ma cosa si mangia da Valpiano? Pasta e pizza preparate sul momento, of course. E siccome sono tedeschi, quindi efficientissimi, forniscono all’ingresso una tessera magnetica dove il cliente registra le ordinazioni. In coda ai banconi a vista, il diligente consumatore vedrà preparare davanti ai suoi occhi gli italici manicaretti, smarcherà la tessera e si accomoderà ai tavoli. Alla fine un inserviente sparecchierà per lui le stoviglie in ceramica e vetro. Pagamento alla cassa scaricando la tessera. Valpiano ha mediamente 900 clienti al giorno per punto vendita e 1.100 dipendenti, tra tedeschi e nativi dell’est Europa. Nessun cuoco é italiano, tranne quello della sede di Bonn, dove si creano e si testano le ricette base. Sì, perché il 30% della rete Valpiano é in franchising. Peraltro l’a.d. afferma che mozzarella, parmigiano e pomodori sono acquistati in Italia. Che magra consolazione….
un altro tedesco trapiantato in US ha iniziato una catena di ristoranti e punti pizzeria dove fanno la pizza sul momento – non c’e’ tessera ma piu’ o meno il sistema e’ simile a quello di autogrill. Chissa’ come caspita fanno l’impasto e che cosa mettono al posto della mozzarella.
Invece il sistema di pagare prima (tipo fast food) e attendere il pasto seduto e’ arrivato anche qui, argh. Che roba odiosa. Una catena di sushi lo propone
http://www.ukai.co.uk/index.php?state=1
e il sushi non e’ neanche granche’…
per quanto riguarda la Polonia, si, lo sapevo – purtroppo quello che succede ora da loro e’ che molti prodotti locali non si trovano perche’ viene dato privilegio a certe colture. E inoltre iniziano ad arrivare le grandi catene di supermercati – insomma, come in Cina e come in America Latina.
a proposito di supermercati e paesi emergenti, leggete questa
Tesco to open 10 stores a year in China
Tesco plans to open 10 stores in China a year to step up its global presence.
The announcement comes after the UK number-one retailer opened its first own-brand store in Beijing last week.
The supermarket giant also owns the Le Gou Hymall stores in China through its joint venture Ting Cao, in which Tesco has a 90 per cent stake.
The retailer said it plans to bring the 46 Ting Cao stores under its own brand.
“Over time we plan to apply to rebrand these stores so they carry the Tesco name alongside Le Gou,” a statement said.
Tesco has its growth focus on the areas surrounding Beijing, Shanghai, and Guangzhou in the south.
The aim is to reach out for new markets to offset the prospect of slowing consumption in the UK.
[…] il falso Made in Italy in giro per il mondo, da Severgnini-addicted, e non solo perchè è interista come la […]