Riso amaro

Secondo la Banca Mondiale, il costo dei prodotti alimentari e’ cresciuto di circa 83% negli ultimi 3 anni. Il riso – che in tanti paesi asiatici e dell’America Latina e’ cio’ che per noi sono il pane e la pasta, e’ stato oggetto di attenzione nelle ultime settimane a causa dei forti rincari. La complicata situazione dei mercati ne ha fatto lievitare i prezzi, spingendo i produttori a produrre per esportare piuttosto che a produrre per il consumo interno.
Il risultato? Alcuni paesi, ovvero il Vietnam, l’India e la Cina hanno deciso di fermare le esportazioni di riso in seguito anche all’insorgere di dimostrazioni violente che hanno fatto preoccupare non poco i rispettivi leaders politici. In sostanza, si sta verificando quello che sin dall’anno scorso successe con il mais in Messico (ricordate, ne parlammo anche qui) cosi’ come con la pasta e il pane in Italia.

Ma cosa c’e’ dietro a questi rincari? E’ facile pensare che sia tutto solo causa dell’aumento del prezzo del petrolio, legato al boom industriale di Cina e India, che ha conseguentemente fatto aumentare i costi di produzione e di trasporto di tanti prodotti. Ma in piu’ c’e’ da dire che il prezzo di queste commodities (mais, grano, riso) e’ salito in seguito alla politica degli incentivi che sostiene la coltivazione di cereali destinati alla produzione di benzine verdi in US e in Europa. Quindi non stiamo parlando di poco. In sostanza, il quadro causa-effetto e’ il seguente: un governo distribuisce incentivi per la coltivazione di grano e mais destinato alle benzine, quindi gli agricoltori si dedicano alla produzione di queste varieta’ , lasciando perdere altre colture. Queste commodities sbarcano nei mercati internazionali, la speculazione aumenta e fa salire i prezzi, inclusi i prezzi al consumatore di quelle poche riserve rimaste per scopo alimentare. Tanto da far scatenare scontri violenti per le strade. E spingere un paese in pieno boom come la Cina ad invitare i propri ex agricoltori a tornare a coltivare le proprie risaie. Ma il bello e’ che ci siamo in mezzo anche noi, in Europa.

La prossima domanda da porci e’ a questo punto: a cosa ci serve la terra?
a coltivare cibo che possa sfamare una popolazione in continuo aumento, oppure a crescere varieta’ vegetali destinate alla produzione di benzine?
E come siamo arrivati a questo punto!?

Anni fa, quando si parlava di futura crisi petrolifera, nonostante molte compagnie produttrici minimizzassero, qualche voce fuori dal coro gia’ si faceva sentire. Il produttore texano Pickens si chiedeva semplicemente: com’e’ che le aziende petrolifere stanno producendo meno petrolio di anno in anno pur dichiarando le proprie riserve in ottima salute? La crisi, sin da allora, era difficile da ammettere pubblicamente e avrebbe causato un panico incontrollabile. Oggi Pickens ha dismesso quasi completamente il petrolio dai propri investimenti per dedicarsi all’energia eolica.

E noi che faremo? in questi giorni di ‘vacche magre’ la stampa internazionale ci informa che la soluzione non puo’ che essere una: le colture geneticamente modificate, ovvero gli OGM, la biotecnologia. A mali estremi, estremi rimedi, potremmo obiettare. Ma torniamo al riso. E chiediamoci che senso abbia mangiare riso Thai, mele americane e asparagi del Peru. Di questi tempi, insegnare alle comunita’ di paesi lontani come coltivare cio’ che possono mangiare puo’ essere una soluzione, sia per noi che per loro, piu’ sostenibile.

Stefania P.,
gourmetrails@yahoo.co.uk


19 commenti on “Riso amaro”

  1. gunther ha detto:

    quante verità in questo post che sottoscrivo in pieno, complimenti stefania. Tra l’altro senza saperlo ne ho scritto uno sulle stesso argomento, spero solo che qualcuno ci ascolti ma sopratutto si agisca

  2. Stefania ha detto:

    Grazie gunther. Anche io mi auguro lo stesso! e’ notizia di ieri che anche il Brasile ha fermato le esportazioni di riso….

  3. gianna ha detto:

    Grazie Stefania per il tuo contributo. Gli OGM? non mi convince che siano la soluzione.

  4. Stefania ha detto:

    @Gianna – no, neanche io ne sono convinta. Ovviamente c’e’ pero’ chi tira l’acqua al proprio mulino approfittando di questa difficile fase. C’era un articolo anche sul Grocer della settimana trascorsa che avallava l’idea OGM.

  5. gunnar ha detto:

    Scusate ma io non capisco. Fino all’anno scorso si diceva che il biodiesel era una cosa molto buona, positiva, ecologia allo stato puro. Si facevano i conti delle tonnellate di co2 risparmiate, la Coldiretti faceva dimostrazioni in piazza di trattori con motore moficato per il biodiesel, a Report facevano vedere una ditta dove producevano biodiesel e così via. Puntare sul biodiesel era il futuro.

    E poi di colpo viene fuori che il biodiesel non va bene, che si rischia di morire di fame! Proprio ora che su metà degli autobus che girano a Padova c’è scritto IO VADO A BIODIESEL?

  6. gunnar ha detto:

    Leggete come veniva presentato il biodiesel (succedeva a Ravenna).

    http://www.report.rai.it/RE_stampa/0,11516,95008,00.html

    Ma allora questi qua sono dei criminali che vogliono la fame nel mondo?

  7. Dario Bressanini ha detto:

    Non ho capito perché avrebbe poco senso che io mangi riso Thai (di cui sono assai ghiotto….). Il commercio internazionale è fondamentale per i paesi più poveri, perché è l’unico modo con cui possono incassare valuta pregiata con cui pagarsi cose che non possono produrre. L’affermazione che ogni paese debba consumare solo quello che produce in loco è, a mio parere, priva di senso, e contraria ad ogni teoria economica: se tu, Thailandia, non mi vendi il riso, non avrai soldi per comperarti la mia tecnologia, o il suo grano o le zucchine di quell’altro (ho preso delle merci a caso ovviamente, ma il senso è chiaro)
    Convincere popolazioni povere a coltivare solo quello che loro possono mangiare vuol dire condannarle all’emarginazione sulla scena mondiale, con nessuna possibilità di migliorare la loro posizione.

    E il fatto che l’economia sia una scienza ancora meno conosciuta della chimica 😀 😉 (da quelli di Report come da molti altri, ambientalisti e non) è dimostrato proprio dalla faccenda dei biocombustibili

    ciao Dario

  8. Stefania ha detto:

    Il fatto e’ che le popolazioni dei paesi in via di sviluppo sono gia’ stati emarginati dalla scena mondiale. C’e’ un bel libro, scritto da un economista, che spiega proprio i meccanismi che si sono creati in seguito all’introduzione del mercato libero (libero a parole). Si chiama Stolen Fruit, e parla sopratutto delle commodities tropicali (zucchero, tea, caffe’ , banane etc) . Un problema fra tutti: l’abolizione dei marketing boards pubblici che collegavano il piccolo produttore al trader. Una volta aboliti, il trader ineternazionale si e’ creato una posizione di netto privilegio rispetto al produttore locale, che non ha piu’ avuto nessuno che lo tutelasse (e sappiamo che certe situazioni si innescano anche nei paesi sviluppati).

    Quello che ora si e’ creato e’ un trend di difficile risoluzione: i prezzi sono aumentati ovunque per i motivi che sappiamo, ma molti paesi NON hanno un’autosufficienza alimentare, che non possono crearsi neanche con questo tipo di commercio. E fra questi paesi non autosufficienti ci sono molti paesi industriali! pensate all’UK e agli US.

    Inoltre tanti paesi (inclusa l’Italia) hanno ora sottoscritto il progetto di agricoltura e commercio sostenibile, proprio perche’ hanno capito che questo tipo di economia sta creando problemi sociali e all’ambiente mai visti prima. Vi faccio un esempio concreto: sapete che la stragrande produzione di gamberi viene dall’Asia e da alcuni paesi del Sudamerica? in Europa il maggiore importatore e’ la Spagna, seguita dalla Germania. Bene, i paesi asiatici – Vietnam, Cina, Thailandia – da circa 10 anni hanno dismesso la produzione di riso per dedicarsi a quella di gamberi, perche’ incoraggiate dai sussidi di organismi internazionali. Una volta che la risaia e’ stata trasformata in vivaio, e una volta che l’ambiente non e’ piu’ adatto neanche per crescerci i gamberi (per via delle sostanze usate), la costa NON puo’ piu’ essere utilizzata piu’ neanche come risaia. Quindi fatico a comprendere quale sia stato il favoloso vantaggio di crescere gamberi per queste popolazioni, visto poi che il prezzo di questo prodotto e’ sceso a livelli spaventosi e visto che sia l’Europa che l’US , maggiori importatori, stanno ora usando barriere tariffarie per fermarne il commercio (nonostante i principi del mercato libero!).

    Per quanto riguarda i problemi legati alle benzine verdi. vi passo qualche dato:
    una tonnellata di mais produce 413 litri di etanolo, 35 milioni di galloni (dovrebbero essere intorno ai 132 litri, correggetemi se sbaglio) di etanolo richiedono 320 milioni di tonnellate di mais. Per produrre olio di palma (anche questo viene usato per produrre le benzine verdi) vengono distrutti ettari di foresta , creando 8% di emissioni. Ogni tonnellata di olio produce 30 tonnellate di emissioni , ovvero 10 volte tanto quelle prodotte dal petrolio ‘normale’. Pero’, come gia’ dissi se non erro in questo blog, secondo il protocollo di Kyoto queste emissioni , seppure maggiori , vengono trattati come sviluppo ‘verde’. Una bella beffa, se ci pensate. Chiaramente questi sono dati e trend che continuano ad essere osservati da vicino, l’anno scorso non si poteva sapere ancora che problemi avrebbe causato la produzione di benzine verdi! Ma gia’ le comunita’ all’interno del golfo del Messico (compresi gli stati nordamericani che vi si affacciano) stanno gia’ soffrendo enormemente grossi problemi ambientali.

  9. Stefania ha detto:

    Gli economisti parlano dell’introduzione delle contrattazioni di CO2 come l’unica vera soluzione per il problema delle emissioni. Di sicuro ne avrete gia’ sentito parlare – si tratta dell’acquisto e vendita dei diritti di emettere emissioni. Finora le contrattazioni sui mercati globali sono andate benissimo, ma hanno solo fatto speculare i traders e hanno contribuito molto poco al discorso ambiente. Pero’ ora si sta per passare alla fase 2 dello schema, che prevede l’allocazione dei diritti di emissione paese per paese. Quindi sara’ interessante vedere cosa succedera’ nel futuro prossimo – sul sito EU potete leggere qualcosa di piu’ – purtroppo il blog mi rifiuta il link ma l’articolo e’: – Emissions trading: Commission decides on second set of national allocation plans for the 2008-2012 trading period. Si sta parlando ora anche di introdurre uno schema simile per l’acqua, proprio per contrastare lo spreco e garantirla come ‘diritto’ anche in quei paesi dove le infrastrutture sono scarse e il clima e’ poco favorevole. Nel frattempo i rappresentanti dell’industria delle bibite qui in UK hanno gia’ annunciato che riduranno l’utilizzo di acqua …una decisione che fa pensare, no?!

  10. Elena ha detto:

    Quali scelte (di acquisto) possiamo quindi intraprendere, nel nostro piccolo?
    Ho comprato il riso thay rosso dalla Tailandia in un negozietto della mia città che vende prodotti del commercio equo solidale…

  11. Stefania ha detto:

    senz’altro l’equo solidale, perche’ garantisce alcuni standard durante le fasi di lavorazione – non solo l’equo trattamento di chi lavora, ma anche dell’ambiente. Normalmente questo settore viene aiutato in loco da gruppi non governativi e charities varie, che insegnano il corretto utilizzo di pesticidi, gestione del terreno, metodi per l’etichettatura etc.

    L’intera industria si sta adattando a questo trend, tant’e’ che da poco ad esempio, un grande produttore di zucchero, Tate&Lyle, ha iniziato a vendere solo zucchero ‘fair trade’ al dettaglio – non e’ molto ma e’ qualcosa… per lo meno non e’ passato nello sbiancante, ha subito meno fasi di lavorazione, ha inquinato meno sia l’ambiente che chi la manodopera. risultato: costa di piu’, ma d’altronde dobbiamo iniziare ad accettare che non abbiamo bisogno di tanto nella nostra dieta.

    In generale comunque vale sempre la regola dell’etichetta – nel senso che l’etichetta aiuta o dovrebbe aiutare a scoprire meglio la storia di quel prodotto. Non solo il contenuto (perche’ purtroppo in certi prodotti raffinati chi produce riesce ad eludere) ma l’origine e la distribuzione. come e’ arrivato in Italia, e come mai quel riso e’ rosso, ad esempio, dovrebbe potersi interpretare dalle indicazioni sull’etichetta. Anni fa c’e’ stato qui in UK un grosso problema con i prodotti rossi, dalle polveri di peperoncino alle salse pronte – perche’ c’era andato a finire un colorante usato in una zona particolare dell’India, prodotto con un derivato del petrolio (Sudan I). Quindi occhio alle cose importate.

  12. Stefania ha detto:

    sulle benzine verdi – ho appena ricevuto una notiziola

    http://www.datamonitor.com/industries/news/article/?pid=B0191D0C-0DB1-412C-A671-CA41B9179321&type=CommentWire

    Biofuels: Germany abandons plans to increase blend to 10%

    Il governo tedesco ha revocato gli impegni delle raffinerie domestiche di mischiare la benzina e il diesel con 10% di benzine verdi. Nonostante il ministro per l’Ambiente abbia dichiarato che questo non cambiera’ gli impegni della Germania di utilizzare 10% di benzine verdi entro il 2020, la mossa fa dubitare dell’effettivo impegno.

    La decisione segue le proteste delle associazioni automobilistiche, che affermano che la percentuale in piu’ di benzine verdi (la Germania e’ passata da un obiettivo di 5% al 10%) puo’ rovinare sino a 3 milioni di macchine.

    Secondo Datamonitor l’uso di automobili che utilizzino solo benzine verdi e’ improbabile, questo perche’ la stragrande maggioranza degli automobilisti non e’ convinta dei vantaggi associati all’uso di questi veicoli. Inoltre pochi distributori di auto vogliono investire nel cambio della tanica e dell’intero apparato necessario perche’ troppo costoso.

    La produzione di benzine verdi e’ diventata una questione politica, e poiche’ i benefici del cambio (dalla benzina normale a quella verde) sono stati superati dagli aspetti negativi (difficolta’ oggettive, inquinamento che comunque si crea nel produrre le benzine verdi etc), e’ improbabile che la classe politica imponga la conversione agli automobilisti.

    A questo punto c’e’ da chiedersi cosa fara’ l’Europa – questi obiettivi sono infatti stabiliti a livello europeo, quindi c’e’ da aspettarsi che la commissione faccia un passo indietro e riveda le sue priorita’ in merito ai problemi di cambio climatico e inquinamento. Puo’ essere pure che i recenti rincari degli alimentari in sequito a queste politiche facciano rinsavire gli addetti ai lavori.

  13. Marco ha detto:

    Sull’uso del peperoncino indiano “colorato” col Sudan I, c’è stata alcuni anni fa anche in Italia una campagna lanciata dalla rivista “Il Salvagente”. Tra i piatti pronti surgelati e i sughetti in barattolo si salvavano davvero in pochi! E pensare che l’Italia del Sud era la patria del peperoncino…

  14. Meristemi ha detto:

    I problemi descritti da Stolen Fruit si applicano perfettamente anche a molti prodotti di filiere percepite dal consumatore come “verdi”: spezie, prodotti erboristici, ingredienti per cosmesi e profumi. Nel settore degli aromi e dei profumi, poi, la situazione è scandalosa per la distanza abissale tra prezzo spuntato dai traders sul mercato internazionale e quello pagato ai produttori.

    Per la cronaca, il Corriere della Sera di domani (29/4) ospitera’ un editoriale in prima pagina dichiaratamente pro-OGM proprio partendo dal tema dell’impennata dei prezzi. Apparentemente, come per il “problema” della sicurezza nelle città si crea la percezione del rischio per far passare come indispensabile quello che spesso non lo e’.

  15. Dario Bressanini ha detto:

    Mi sono perso l’articolo. Di chi era e qual’era il titolo? Non lo trovo in rete…

    Dario

  16. Meristemi ha detto:

    Lo avevano annunciato ieri notte alla rassegna stampa in anteprima di Radiotre. Era ospite telefonico un caporedattore del Corriere. In effetti online oggi non c’e’ nulla, la copia cartacea in questo momento non la posso recuperare.

  17. paolo ha detto:

    1 acro (4046,873 metri quadri) coltivato a zucchero di canna, in Brasile, fornisce 734 galloni (1 galloneUS= 3,785 litri) di etanolo, con un rapporto energia ottenuta per energia utilizzata di 8.3, valore alto; un barile di etanolo deve costare almeno 35$ per coprire i costi.
    1 acro coltivato a mais negli USA o in Cina, fornisce 394 galloni di etanolo, con un rapporto energia ottenuta per energia utilizzata di 1.4, valore molto basso; un barile deve costare almeno 81$.
    1 acro coltivato a palme da olio, in Malaysia o Indonesia, fornisce 508 galloni di bionafta con un rapporto energia ott. per energia util. di 2; un barile deve costare almeno 149$.
    1 acro coltivato a colza in Europa fornisce 145 galloni di bionafta, con rapporto energia ott. per energia util. di 2.5; un barile deve costare almeno 157$.
    Tra non molto si parlerà di etanolo da cellulosa, un acro fornirà 1150 galloni con un rapporto di 4 ed un barile dal costo di 284$
    (fonte dati: Goldman Sachs, 2008)

  18. Stefania ha detto:

    appena ricevuto passo:

    l’IFPRI (International Food Policy Research Institute) ha pubblicato qualche giorno fa una lettera dove chiede un intervento di emergenza per stemperare la crisi umanitaria legata ai recenti rincari degli alimentari e in particolare di alcuni alimenti di base (come il riso appunto). Oltre all’ovvio richiamo ai governi donatori ad assistere quei paesi e quelle popolazioni, inclusi i bambini, in forte necessita’ alimentare, leggiamo della richiesta di migliorare le politiche legate alla produzione di benzine verdi – i governi, si dice, dovrebbero sospendere i sussidi e rivedere le proporzioni delle miscele usate nelle benzine ‘verdi’. I leaders politici dovrebbero adottare una serie di misure aggiuntive, inclusa la creazione di un tetto limite, oltre al quale non si puo’ produrre benzine verdi, e vietare l’uso di grani e semi per la produzione delle stesse. Allo stesso tempo bisogna sviluppare le tecnologie ‘verdi’ che non si basino su colture alimentari. Questa misura in particolare, abbasserebbe i circa 20% il prezzo del mais e di conseguenza quello del grano di circa 10%.

    Barriere commerciali: ovvero tariffe e controllo dei prezzi possono aiutare a risolvere l’insufficienza alimentare ma solo a breve termine. In seguito, queste misure avrebbero conseguenze dannose sui mercati in quanto renderebbero i prezzi molto volatili. Inoltre come conseguenza gli agricoltori coltiverebbero di meno. L’eliminazione delle barriere commerciali aiuterebbero a stabilizzare i prezzi riducendoli sino ad un 30%, e incentiverebbero l’efficienza produttiva.

    La terza misura consigliata e’ legata agl iincentivi ai piccoli agricoltori – fornendo semi, fertilizzanti, linee di credito e altre risorse che normalmente vengono negate ai piccoli produttori.

    Le misure a lungo termine riguardano 4 punti:
    – misure protettive per la popolazione
    – riduzione della volatilita’ dei mercati
    – completare la discussione del Doha Development Round
    – sostenere l’agricoltura

    Potete leggere di piu’ su questo e altri argomenti qui

    http://www.ifpri.org/themes/foodprices/foodprices.asp

    un saluto a tutti 😉


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