I giovani e la dieta di transizione – conclusioni e bibliografia
Pubblicato: 2010/02/10 Archiviato in: Educazione alimentare, Educazione e informazione alimentare 5 commentiChe fare dunque?
Si puo’ aiutare i giovani a fare scelte alimentari piu’ attente. Questo pero’ puo’ succedere quando il messaggio da parte delle istituzioni e’ piu’ chiaro e consistente. In questo senso aiuterebbe se i vari ministeri (salute, politiche agricole) lavorassero insieme. Alcune iniziative a breve termine dovrebbero essere rinforzate da iniziative o interventi a lungo termine. Penso ad alcuni:
– migliorare i mezzi utilizzati per informare
– istruire i genitori affinche’ il primo buon esempio venga da casa
– elaborare interventi che utilizzino il buon esempio (‘role model’)
– scuole
– creare nuove norme sociali che creino l’ambiente adatto
Qualche idea concreta:
– la piramide non insegna la differenza che corre fra un alimento fatto in casa e uno preparato dall’industria…. addirittura include alimenti (come i biscotti, la birra) che in questo senso non sono in linea con il resto; il messaggio non e’ chiaro
– l’istruzione dovrebbe sempre essere sostenuta da prove. Se una iniziativa educativa NON funziona, perche’ ripeterla senza capire dove non ha funzionato
– rimuovere le barriere che possano prevenire la comprensione delle etichette. Questo ad esempio si potrebbe fare con il coinvolgimento della grande distribuzione (pensiamo ad una lista di additivi in uso disponibile al momento dell’acquisto, che spieghi al consumatore cosa sono)
– eventi educativi che coinvolgano bambini e adolescenti: questi eventi devono continuare con regolarita’. Parlo di visite a fattorie didattiche, musei rurali etc, con il coinvolgimento dei genitori
– monitoraggio del trend dell’obesita’ in Italia; la consulenza con nutrizionisti dovrebbe essere resa gratis in ospedali, scuole, uffici
– sostenere la ricerca e le professioni ‘chiave’, ad es. il nutrizionista, che potrebbe essere abbinato al medico generico
– media: regolare la pubblicita’ degli alimentari, sopratutto quella rivolta ai bambini, anche seguendo l’esempio di quei paesi europei che hanno raggiunto un discreto successo
– tasse indirette : ad es. facendo pagare il parcheggio dei discounts o di quegli esercizi che vendono alimenti raffinati e non prodotti localmente; questa iniziativa dovrebbe essere sostenuta con un maggior aiuto alle economie locali, ai produttori locali
– incoraggiare le imprese di catering a introdurre maggiormente certi alimenti. Ad es. organizzando delle degustazioni o veloci lezioni di cucina nei centri commerciali
– incoraggiare e sostenere i gruppi di societa’ civile. Come dicevo prima, la Slow Food ha fallito nel rivolgersi ai giovani. O semplicemente non pensa che sia necessario parlare il loro linguaggio, come diceva Marco. Attivita’ rivolte anche ai giovani dovrebbero essere incluse nell’agenda di Slow Food. Gruppi di consumatori come quelli che in UK stanno finanziando la ricerca sui coloranti, dovrebbero crearsi e avere un ruolo piu’ attivo in queste faccende.
Bibliografia
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Mi piacciono molto le conclusioni a cui è arrivata Stefania e le condivido tutte al 100% anche se sono abbastanza scettico sulla loro realizzazione.
Tutte queste iniziative non vengono o non verranno mai da sole, anche perchè hanno un costo non indifferente e con i bilanci attuali dello Stato saranno sempre più difficili da ottenere. Bisogna quindi che i cittadini richiedano queste iniziative alle istituzioni e lo facciano con una forza tale da essere più incisivi e pressanti delle lobbies dell’industria agroalimentare che, per interessi di profitto, hanno intenzioni del tutto opposte. Anche sulla grande distribuzione ho qualche dubbio: non è detto che sia sempre e del tutto a favore dei consumatori e delle esigenze nutrizionali…
Purtroppo, almeno in Italia, la società civile e i gruppi di cittadini e consumatori che dovrebbero richiedere queste cose sono piccoli, frammentati, divisi e non in grado di fare massa critica… e in generale il cittadino medio non chiede queste cose ma piuttosto l’abbassamento delle tasse.
Infatti, Marco, l’industria (e quindi anche la grande distribuzione) ha la sua agenda. Ma spesso si riesce a coinvolgerla in iniziative pubbliche dove le aziende stesse possono trarre un profitto in termini di popolarita’. In poche parole all’azienda, supermercato o che, conviene sempre farsi coinvolgere come sponsor o portavoce di certi messaggi. Diciamo che invece spesso e’ il pubblico (come in questo caso del McItaly) ad avere un ruolo ambiguo, a non riuscire a trovarsi una posizione ‘obiettiva’. Sul bilancio e tutto il resto, purtroppo in questi anni a venire sara’ proprio come dici tu e non solo in Italia. Quello che mi colpisce, pero’, e’ che, a differenza di altri paesi, in Italia non c’e’ proprio la volonta’ o l’interesse da parte della societa’ civile, dei gruppi di cittadini, di mettersi insieme per cercare di avere piu’ voce in capitolo su certe questioni.
Ho passato la giornata fuori e al ritorno a casa trovo questo post di Stefania. Grande! Ci penso sopra e vediamo di dare un seguito al decalogo!
va bene, Gianna. ti aspettiamo! 😀