Dedicato agli aspiranti gastronomi molecolari
Pubblicato: 2009/10/30 Archiviato in: Additivi, Food design 32 commentiDedicato a tutti gli aspiranti gastronomi molecolari il kit con l’occorrente, l’indispensabile per iniziare. Dai che siete informatissimi e sapete bene che le materie prime incluse nel kit e di cui troverete bustine con 20g sono: alginato di sodio, calcio cloruro, agar-agar, carragenina, acido ascorbico, acido citrico, bicarbonato di sodio, lecitina di soia.
E ora gli strumenti: siringa da 20mL, tubi di silicone compatibili al settore alimentare, pipette graduate, libro di ricette.
Direi che c’è quello che serve per preparare piccole sfere che simulano il caviale, si ottengono quando un liquido a pH acido viene mescolato con l’alginato di sodio e fatto cadere lentamente in una soluzione di cloruro di calcio. E anche le celebri schiume in cui è fondamentale la lecitina di soia. E con l’ agar agar dovreste poter fare gli spaghetti. Come? ecco un video che vi dimostra l’esecuzione.
Ispirato da Thinkgeek
Io sono all’antica e gli spaghetti li mangio come ho sempre fatto.
Rispetto tutte le opinioni ma la cucina molecolare proprio non mi attrae.
Marco
Hai detto bene, Gianna, il video mostra l’esecuzione. Della cucina. A sangue freddo.
vedi Gianna, sono un cuoco molecolare senza neppure saperlo… uso l’alginato di sodio per incapsulare i lieviti di cui studio la produttività, e mi diverto un sacco a farli cadere in soluzione di cloruro di calcio.
con un po’ di perizia e un ago, e una soluzione un po’ più concentrata di calcio cloruro si possono ottenere gli spaghetti di alginato, utili quando non si intende avere spazi vuoti tra una pallina e l’altra! consiglio un ago molto sottile
Perdonatemi la banalità: ma uno spaghetto all’amatriciana no eh? Condivido il pensiero di Paolo.
o_O…mi viene in mente Nanni Moretti: “continuiamo così..facciamoci del male”
Adesso, io capisco che magari gli spaghetti in USA fanno quasi sempre schifo, si scuociono solo a guardarli, e pure Barilla te li vende “made in USA” che non appena li metti nell’acqua si sciolgono irrimediabilmente in un blob biancastro…
Ma farli con l’agar-agar … è culinariamente perverso.
P.S.
Ho scoperto che pure i miei fiocchi di latte preferiti, quelli di Exquisa, sono aggiunti di..alginato di sodio. Sigh. Le mode.
Ma dài! Gianna è una mattacchiona che ama divertirsi. E quindi, nel vedere quel vermiciattolo di agar-agar, ha colto la palla al balzo per parlare di “spaghetti”. Voglio vedere chiunque mettersi a preparare un piatto di spaghetti in quel modo: hai voglia a suscitare un “me te magno”!
Si tratta semplicemente di un divertssemant gastronomico che può collocarsi come decorazione o come “supporto” in qualche espressione creativa… per chi ce l’ha, ovviamente.
Dov’è lo scandalo?
>Dov’è lo scandalo?
Beh, scandalo direi di no 🙂 …. è che mi sembra che la cucina diventi un tavolo operatorio…cmq si, hai ragione, è un “divertissment”, anche se preferisco robe più amatriciane.
Bacillus, Lo scandalo è vedere i cosiddetti GRANDI CHEF MOLECOLARI ergersi a “nuovi luminari della cucina” e mettere a prezzi IMPROPONIBILI le loro simil-ricette. Chiaramente dal mio punto di vista assolutamente non obbiettivo, ancor più incomprensibile è chi si siede su quei tavolini e paga il conto. Un saluto!
l’ unico argomento che mi attira della cucina molecolare e’ il gelato all’ azoto liquido , ci vorrebbe un kit ma con l’ azoto e’ complicato 😉
Quoto Mauro R.!!! Per me la cucina molecolare è una truffa bella e buona e se fosse per me il signor Adrià andrebbe a chiedere l’elemosina!! 🙂 Il più grande e strapagato di questi “cuochi” non vale neanche la metà di una simpatica casalinga in sovrappeso che ti cucina un bel piatto di pasta!!! Un saluto a tutti, e grazie di questo blog!
Per me esiste cucina buona e cucina cattiva: queste sono solo tecniche di cucina che possono non piacere… ma rimangono solo tecniche!
Quoto sia Mauro R. che Sonia… W le simpatiche casalinghe sovrappeso che cucinano la pasta!
A me più che tecniche di cucina mi sembra che si tratti di esperimenti di chimica…
Magari questi cuochi quando erano bambini hanno chiesto a Babbo Natale il “Piccolo chimico” e sono rimasti delusi e frustrati perché sotto l’albero di Natale hanno invece trovato il “Dolceforno”…
Degli spaghetti, ovviamente, hanno solo la forma. Accostarli alla matriciana è sciocco,e comunque bisognerebbe provare a mangiarli e sentire che sapore hanno. Magari sono buonissimi. E bisognerebbe anche fare delle distinzioni. Nella Cucina, come nella Pittura, c’è lo stile Classico e oggi anche il Cubismo (A qualcuno piace Braque)che con le sue “improprie” forme fece storcere il naso ai puristi…
Anche a me sembra che si stia confondendo le tecniche e la conoscenza con altro.
Cucina antica, io sono per la tradizione me che lingua si parla qua.
A me risulta che una delle poche tecniche di cucina che si possono freggiare del titolo “antica” sono le cotture a calore diretto come uno spiedo una grigliata, e le cotture in acqua.
Senza parlare poi delle cotture a crudo come il sale.
Poi per il resto la CUCINA SCINETIFICA ILARIAMENTE chiamata MOLECOLARE sono semplicemente la conoscenza dei prodotti, della chimica e fisica, e saperli usare, individuare, e reinventare.
E cosi tutte le ricette possono essere molecolari SCIENTIFICHE.
nON VEDO COSA CI SIA DI ANTICO NEGLI SPAGHETTI, prodotto recente di fabbricazione industriale, nelle amatriciana nelle sue molteplici versioni senza parlare poi di quella al pomodoro che di tradizionale ha il solo fatto che quando siamo nati gia cèra.
Ma vi siete mai chiesti di cosa è fatta la TRADIZIONALE PANNA COTTA, quindi non vedo perche deve essere buona mentre se la faccio con agar agar è cattiva.
Il sale nitrato GRANDE ADDITIVIO della salumeria italiana si utilizza dal tempo dei Romani.
Poi quelli che si mettono a fare gli economisti dei grandi ristoranti.
Allora continuate a mangiare da Maria la zozza, in nome della tradizione…….. 🙂
quoto walter, l’unica voce fuori dal coro oltre alla mia 😀
vi siete chiesti quali erano le tecniche di cucina un secolo fa?
che lo vogliate o no queste sono solo tecniche di cucina che tra un secolo magari saranno obsolete 😉
ora ho visto che c’era anche Thopo, altra voce fuori dal coro.
bella la comparazione con la pittura! 🙂
>che lo vogliate o no queste sono solo tecniche di cucina che
>tra un secolo magari saranno obsolete
A parte il fatto che tra un secolo non penso di esserci, trovo questa distinzione arbitraria ta “conservatori” e “progressisti” in cucina, particolarmente ottusa.
Premesso che sì, si tratta solo di tecniche, ma stiamo partendo da prodotti già molto raffinati alla base.
Mi sarebbe piaciuto assaggiare la pizza Margherita nel 1866: vorrei vedere che mozzarella era, che pomodoro c’era sopra e con che grano era stata fatta la focaccia (e con che olio).Di ingredienti che non hanno MAI visto un conservante, una modifica genetica, o anche solo la refrigerazione.
E ditemi che mò c’è bisogno della “cucina molecolare” partendo da semilavorati chimicamente purificati. Ma per cortesia.
Sono solo divertissement un po’ snob e alla moda (e anche molto da nerd, direi), ma se tutta la magica tecnologia alimentare ha prodotto, alla fine, questo, torniamo ad un sano qualunquismo del “si stava meglio quando si stava peggio”, a mio parere.
Era già chiaro che tu fossi un talebano passatista Wyk72. Ma quando tu evochi la pizza margherita del 1866 (ammesso che a quel tempo esistesse) con l’intento implicito di elogiarne una bontà, una genuinità ed una purezza di un’eccellenza ormai persa, dimostri tutta la tua passione nell’affidarti ai luoghi comuni. Una cultura, la tua, che purtroppo è assai diffusa e che alimenta di fatto fenomeni di preoccupante oscurantismo… ma lasciamo perdere.
La tristezza, fondamentalmente, è quella di dare per scontata una migliore qualità dei cibi di cent’anni fa, solo per il fatto che a quel tempo non esistevano certi conservanti, certi additivi, certe tecniche di preparazione degli alimenti.
A me basta far riferimento alla produzione del vino, che è stato ed è tutt’ora il mio mestiere, per dirti che non è così e che anzi, la “modernità” ci ha permesso di fare passi da gigante. Ma se questo vale per il vino, tanto più vale per la stragrande maggioranza dei prodotti alimentari che compaiono sulle nostre tavole, dove in generale i parametri qualitativi (sia dal punto di vista organolettico che da quello della salubrità) sono nettamente migliorati rispetto solo 30-40 anni fa. Certo, poi esiste anche il “trashfood”… che però un tempo non esisteva (è un fenomeno delle società del benessere) e che quindi, in questi confronti, non fa testo.
La modernità che tu disprezzi e quella che ci ha permesso di metterci qui, davanti ad un monitor, a discutere di queste cose con la pancia piena, in salute, e senza la preoccupazione di non sapere con cosa fare colazione domattina.
Sei sicuro di non essere preda di un’inutile paranoia?
>Era già chiaro che tu fossi un talebano passatista Wyk72.
No ma nemmeno tanto. Diciamo che mi dà un po’ fastidio il divario un po’ classista su chi mangia con gli “effetti speciali e colori ultravivaci”, che dopo pare che chi ha delle riserve – a mio parere legittime – mangi per forza da “ada la zozza”. Ci sono delle dignitosissime vie di mezzo tra il cicisbeo “slow food” (che anche lì le sòle non mancano, anzi) e il tecnicista fisico-culinario.
> Sei sicuro di non essere preda di un’inutile paranoia?
Garantito al Limone.
che confusione… si parla di tecniche differenti senza pero’ parlare di obiettivi. Di per se’ grazie alla cucina molecolare lo chef puo’ raggiungere certi effetti – degli obiettivi non solo visivi ma anche tattili etc. Basti pensare alla spuma di agnello, ad es. : chi si aspetterebbe di mangiare agnello presentato in quel modo e che risulti cosi’ … spumoso al gusto. Ma sono percorsi che riguardano esclusivamente lo chef, guidato dalla sua curiosita’ o dall’estro, e alimentato dalla curiosita’ dei suoi commensali. In altre parole, il cibo inteso come vanita’ (passatemi l’espressione).
Altra cosa sono invece le preparazioni proposte dall’industria, il cui obiettivo puo’ anche essere l’estro (ad es. nel caso del lancio di un prodotto nuovo), ma che deve tenere in considerazione altri fattori: la durata di quell’alimento ad es. – o l’impacchettamento. E che spesso aggiunge additivi o sostanze che non sono strettamente necessari (ne abbiamo parlato spesso su questo blog) ma solo perche’ piu’ economici e in grado di offrire valore aggiunto a quel prodotto.
Ha ragione Bacillus a dire che non e’ assolutamente vero che in passato si mangiasse piu’ sano! leggetevi
Paolo Sorcinelli – Gli italiani e il cibo
ma sopratutto
Carol Helstosky – Garlic & Oil, Food and Politics in Italy
un esempio fra tutti : il pane di allora era totalmente indigesto.
E noi…? cosa e’ per noi il cibo nella vita di ogni giorno? un rituale sociale? un piacere della gola? nutrimento ? etc etc. Alle volte e’ tutto questo insieme, alle volte e’ solo uno di questi elementi.
>Ha ragione Bacillus a dire che non e’ assolutamente vero che
>in passato si mangiasse piu’ sano!
E’ evidente che nessuno di voi si è fatto una bella permanenza nel midwest USA o ha mangiato pane buono in vita sua (a proposito, pane “di allora” quando? Il mesozoico o il 1920? Quantificare please.)
Io con questi “assolutamente” di qua e di là ci andrei molto ma molto cauto, mi pare che si legga molto e si prendano partiti presi un po’ perché “piace l’idea”.
Io parlo solo di cose che ho personalmente provato ed assaggiato (e sono molte).
Non serve visitare il Midwest USA per provare una cucina pessima. Basta frequentare qualcuno di quei meravigliosi agriturismi che sono fioriti un po’ dappertutto e che solo raramente sono gestiti da persone appassionate e competenti. Oppure vivere qualche settimana (come capitò a me da ragazzo) in una famiglia di classico stampo contadino, con capofamiglia ignorante, violento e bestemmiatore, moglie sottomessa ed alcolizzata, vecchia madre del capofamiglia autoritaria e spilorcia… (non male, eh? 🙂 ) Famiglia nella quale si faceva da mangiare come un tempo, senza cura e piacere del cibo, con l’aggravante che rispetto ad una volta la maggiore disponibilità di carne e materia grassa rendeva se possibile la dieta ancora più squilibrata.
Il mito delle “cose buone di una volta” è stato costruito e coltivato ad arte nel secondo dopoguerra da intellettuali che nel caotico sviluppo della modernità, hanno pensato di trovare nel passato dei punti di riferimento di cui la gente aveva bisogno. In un paese che si era velocemente industrializzato, con le campagne che si erano spopolate e la nascita di grandi formazioni urbane, la riscoperta della cultura contadina, (una riscoperta fatta ad arte, naturalmente), ha avuto facile presa nell’immaginario collettivo. Ecco dunque che nasce la contrapposizione tra il cibo “industriale” e quello “genuino-contadino-naturale”, una contrapposizione che di fatto non ha alcuna ragione di esistere.
Si tratta di un movimento culturale che nel tempo si è consolidato, si è arricchito di altre accezioni, ma soprattutto si è arricchito, diventando lobby, centro di potere e movimento politico-ideologico.
Resta il fatto, tuttavia, che come davvero si viveva una volta, se lo sono dimenticato tutti e quello che resta sono solo luoghi comuni.
Tutto questo, naturalmente, non giustifica il peggio a cui oggi possiamo assistere, ed è giusto fare attenzione a tutto ciò che la società dei consumi tenta di imporci. Ma non bisogna dimenticare che in generale, le cose buone ci sono, sono tante, e possono anche essere accessibili dal punto di vista economico (cosa che non bisogna mai dimenticare).
In questo quadro, in quella che è una naturale espressione di una civiltà del benessere, c’è l’ “alta cucina”. Che è cosa riservata agli appassionati, ai cultori del genere ed ovviamente a chi ne ha la possibilità. Si tratta, secondo me, di una forma d’arte che, proprio per questo, ha una sua collocazione elitaria. Non deve essere oggetto di disprezzo, ma piuttosto di curiosità. Lì tutto è concesso, ovviamente… trattasi di arte… Un atteggiamento pregiudizialmente diffidente nei confronti di questi tipi di espressioni culinarie non mi pare granché virtuoso…
>Un atteggiamento pregiudizialmente diffidente nei confronti
>di questi tipi di espressioni culinarie non mi pare granché
>virtuoso…
Concordo abbastanza con la tua analisi, le espressioni culinarie della cucina scientifica non è che mi diano più di tanto fastidio – mi fastidia questo autoritarismo implicito che “o magni così o magni da ada la zozza” e che “piaccia o no è il futuro”. Ma il futuro de che?
Nel Midwest vedi la gente come sta messa, tirata su a veleni e cibo poco nutriente. E’ MALATICCIA quasi tutta. Hai voglia a fre sport. Solo un fesso non se ne accorgerebbe. Muoiono di cancro come le mosche. Quelli che stanno meglio sono sempre IMMIGRATI di al max una generazione, che ancora non sono messi così male, se hai occhio li riconosci A VISTA.
Mi dà si un po’ fastidio che si usi lecitina estratta ad esano negli oleifici industriali e che si vadano a cercare alghe (esotiche ma non troppo) per gli “effeti speciali”. Nulla di peccaminoso, ma, come dire, preferirei sparissero i grassi di mer** dai biscotti, in linea prioritaria, ossia, come dicevo in altro post, secondo me ha più peso funzionale un ciauscolo coi probiotici al posto del nitrito di sodio (per quanto non sia un grosso fan degli insaccati in generale), che la “cicisbea” spuma di vermouth (che palle stè spume, poi, roba da…rammolliti sdentati – mio parere personale).
Io sono cresciuto nella campagna più campagna, di famiglia piuttosto ricca e borghese, ho potuto gustare del buonissimo cibo, preparato con cura e attenzione da mia madre, che, per esempio ci ha tirato su a crostate che faceva con le sue mani, usando la margarina perché credeva fosse più salutare (“Gradina” era il suo brand preferito, ne aveva sempre 2-3 pacchetti in frigo). Erano sempre ottime grazie alle marmellate che ci facevamo con i frutti dei grossi ciliegi che avevamo, ma chiaramente quando ho scoperto i pericoli dei grassi idrogenati et similia (che ho letto anche in siti come questo, che trovo eccellenti), ci sono rimasto MOLTO male, perché era una truffa pericolosa, e si sapeva, si è finto di ignorare, per il “selling point”.
Questo mi ha un tantino, come dire, reso diffidente dalle novità a tutti i costi.
I vini “di campagna” erano penosi, concordo, bisognava stare molto attenti alle conserve (poche), ma i sapori erano sicuramente più veraci. Mangiavamo parecchi conigli, oltre al pollame. Raramente maiale e insaccati.
La cultura del “ritorno” è un po’ patetica anche secondo me, ma se vissuta bene, può essere una bellissima cosa. Io l’ho vissuta tornandomi a cogliere le olive e a farmi l’olio, roba da mezzadri, che oggi, buffamente, fa “snob”.
Sto prendendo seriamente in considerazione di diventare vegetariano etico inoltre, stì allevamenti intensivi di pollame e bovini e suini mi disgustano. Se davvero è tutto “a vantaggio nostro che così ce lo possiamo permettere”, com’é che i macellai sono la lobby più forte dalle parti nostre? Ricchissimi, potentissimi, spesso ignorantissimi.
Come li avranno fatti i soldi ? Non è che qualcuno ci fa un su po’ di cresta su questi “economicissimi” prodotti?
un paio di cose per concludere – si parla spesso di sapori piu’ genuini ma ricordiamoci che anche il terreno dove sono cresciute le colture o dove ha brucato quell’agnello ha grande importanza (quindi non solo lavorazione finale). E ricordiamoci anche che in passato non c’era l’informazione che c’e’ ora e che permette all’agricoltore di fare il suo lavoro bene. Ora invece il produttore ha tutta l’informazione e la tecnologia che vuole e puo’ scegliere : lavorare sui volumi (e quindi produrre-produrre-produrre), a spese della qualita’, incluso allevamenti intensivi e compagnia bella, oppure lavorare in piccolo, sfruttando la multifunzionalita’ che un’azienda puo’ offrire. E quindi puo’ permettersi di stoccare i suoi prodotti (magari facendo l’olio con la propria raccolta delle olive, preparandosi le carni salate o le confetture etc etc). o affittando anche le sue stanze. Duro lavoro! almeno per molti che si imbarcano in questa avventura, come testimoniava Bacillus. Non tutti ce la fanno. Quindi concludendo non c’e’ bisogno di andare negli USA – dove per inciso ho vissuto per 3 anni e dove torno regolarmente – per trovare cucina penosa e poco salutare. Infine: la logica produttivistica a cui accennavo sopra e’ stata riaggiustata (con la fine di certi incentivi e la riforma CAP) dal mondo politico qui in EU perche’ – come spiegavo altrove – si e’ capito che non ha funzionato poi cosi’ bene…. le malattie cardiovascolari continuano ad essere la causa primaria di morte nel mondo, per non parlare poi dell’obesita’ che ha un enorme peso sulla sanita’ pubblica (e tutto quello che deriva: diabete etc).
@stefania
d’accordissimo! (mi pare proprio di non avere niente da aggiungere)
@Wyk72
Volevo aggiungere… Se l’alta ristorazione è un fenomeno dei nostri tempi, allo stesso modo credo che il desiderio da parte di molti appassionati di riscoprire la natura delle produzioni alimentari nelle sue più intime implicazioni, rappresenti oggi una realtà diffusa che risulta degna di ogni considerazione.
Molti appassionati, infatti, vogliono diventare in qualche modo protagonisti di quello che consumano: alcuni (come te) si cimentano nella produzione, altri magari vogliono solo saperne di più, conoscere i luoghi, parlare con le persone.
Lo trovo, in sé, un fenomeno positivo. Personalmente, ad esempio, preferisco un consumatore evoluto, che oltre alla passione per il vino, abbia anche una certa conoscenza ed una certa esperienza in merito. Per dire, non mi basta più quello che mi chiede “con quale luna posso imbottigliarlo?” – più volte a domande del genere mi sono trattenuto dal rispondere con un sonoro calcio nel deretano – ma preferisco di gran lunga quello che vuole vedere i vigneti (che fanno pietà, tra l’altro) o mi chiede come vinifico.
Questo atteggiamento, però, se diventa l’espressione di una diffidenza pregiudiziale nei confronti dell’industria alimentare, risulta patologico. Se si perviene ad una demonizzazione della produzione su grande scala, si perde di vista la realtà, e si finisce per trovarsi ingiustamente contro un intero settore economico.
A quale pro? Non si dimentichi, infatti, che nel nostro paese (nonostante le tante malefatte, dal vino al metanolo al riciclaggio di formaggi scaduti), l’industria alimentare è un fiore all’occhiello dell’economia ed in tema di evoluzione tecnologica e di qualità non ha eguali nel mondo.
A proposito del mangiare di una volta, ho ripreso un libro che avevo acquistato tempo fa.Il titolo è eloquente “Il mangiare cattivo” di Stefano Scansani, dove il termine “cattivo” si riferisce proprio al cibo di un recente passato, “quello della civiltà rurale, delle pezze al culo, del sudore e del callo,della fame e dei cancheri. “ Magari qualche ricetta potrei riproporvela. 🙂
@Wyk72
anche io come te ho vissuto in campanga e tuttora vivo in campagna. ho un piccolo vigneto, un frutteto, l’orto, facciamo il maiale come una volta e tra poco metterò su un pollaio con galline ovaiole… (attenzione, per me nulla di tutto ciò lo ritengo biologico…) Tutto questo non mi crea limite verso le nuove frontiere: la mia sete di conoscenza non mi impedisce di provare a degustare le nuove tecniche di cucine “scientifica” utilizzando ad esempio il sifone di Adrià… che poi possono piacere o meno.
Quindi io non vedo una distinzione arbitraria ta “conservatori” e “progressisti” in cucina: entrambe le cose possono convivere perché se cè un limite è in noi!
Altro discorso e sapere cosa mangiamo: ma qui si apre una voragine…. sulla quale state già ampiamente dibattendo: qualcuno di voi ha letto il libro “mi fido di te” di Massimo Carlotto?
> in cucina: entrambe le cose possono convivere perché se cè
> un limite è in noi
Concordo: non vedo perché alla prima voce un po’ fuori dal coro viene fuori che sei “passatista talebano” o implicitamente “limitato”.
Rimango dell’idea di Gualtiero Marchesi, riguardo a certi esperimenti culinari, per delle ottime ragioni.
Inoltre il dipinto che fate della vita di campagna è troppo ingrato, per quanto non lo si debba sicuramente dipingere troppo di rosa, non lo si può nemmeno crocifiggere come tana di ignoranti tout-court.
Non mi piacciono certi toni da secchioni, ma tantomeglio-tantopeggio, mi adeguo.
“prima voce un po’ fuori dal coro” Stupore! 🙂
Sei in ottima e vasta compagnia, Wyk, non ti preoccupare.
Con affetto.
Che putiferio!
E’ chiaro che entrambe le cucine possono convivere. Il discorso è ben più soggettivo però. Personalmente, per esempio, ciò che mi soddisfa di più sono i piatti semplici, sono l’olio di oliva extra-vergine, il burro, le verdure di stagione, la farina e quant’altro abbia “pochi” passaggi industrali e lavorazioni chimiche (oggi mi rendo conto, bisogna cercare BENE per trovare prodotti poco lavorati e quanto più genuini). Le “schiumette” non mi appagano anche se, non metto in dubbio, possono divertire gli scienziati della cucina e incuriosire tante persone (anche se su di me, non hanno il minimo appeal…ma lo reputo pacificamente un mio limite). Concludo con questa considerazione: abbiamo migliaia di ingredienti “veri” a disposizione e lo “scienziato della cucina”, per me, è colui che trova nuovi accostamenti, nuovi sapori, nuove fragranze, partendo da quello che già la natura gli offre. Questa cucina molecolare, senza offendere nessuno, mi pare tanto una cucina per chi ha poche idee…
Un saluto.
@ mauro r:
“lo “scienziato della cucina”, per me, è colui che trova nuovi accostamenti, nuovi sapori, nuove fragranze, partendo da quello che già la natura gli offre”
ci sono molti chef eccellenti che fanno questo quotidianamente: il primo esempio che mi viene in mente è una ricetta di recente inventata da Massimiliano Alajmo de “Le calandre” “riso bianco con polvere di caffè e capperi di pantelleria”: sembra strano questo abinamento (io l’ho mangiato e direi che è fa-vo-lo-so) eppure ora è “scopiazzato” a destra e a manca
“Questa cucina molecolare, senza offendere nessuno, mi pare tanto una cucina per chi ha poche idee…”
oppure per chi le ha esaurite tutte e ora sperimenta così 😉
Comunque a mio avviso sarebbe più esatto chiamarla cucina scientifica
Buona giornata, giulia
qualcuno sa se l’alginato è consentito nei prodotti bio?