Mozzarella al biossido di titanio, frodi alimentari al tempo del Codex alimentarius

E’ usato come colorante per inchiostri per carta, suppellettili di plastica, vernici, creme e filtri solari. Nell’industria alimentare è impiegato come colorante (E171). Si tratta del biossido di titanio, un colorante minerale. Il pigmento bianco è ottenuto con diversi processi dai composti estratti in natura sotto forma di rutile e anatase.

Pensavo che il biossido di titanio fosse usato solo per colorare gomme da masticare, medicinali, confetti come le Smarties. E invece ho scoperto che trova impieghi molto piu’ vasti. Non voglio soffermarmi sulla sua sicurezza d’uso, bensì sull’impiego fuorviante.

Qualche mese fa i Nas hanno scoperto che alcuni produttori con notevole fantasia lo usavano per sbiancare la mozzarella.

Increduli?

Il suo impiego -dicevamo – è comunque ammesso in diversi stati per produrre alimenti in cui non pensavo entrassero coloranti.

In India impiego ristretto a gomme da masticare (non piu’ dell’1%) e drink alla frutta (non piu’ di 100 mg/kg) .

In Giappone non ci sono limiti (?).

L’Unione europea ne permette l’ uso alimentare a livelli quantum satis. Lo troviamo inserito nella Tabella 3 del Codex General Standard for Food Additives, additivo permesso in alcuni alimenti in accordo con Good manufacture practice (GMP). E allora non dobbiamo stupirci se la Nestlè Professional lo usa nella fabbricazione di un concentrato per salse.

Curiosate anche tra gli ingredienti di alcuni prodotti di Pizza Hut, Vegan Cheese e in altri siti con preparati per pizza. Alla McDonal’d servono anche una salsa che lo contiene. Ma sono soli pochi esempi.

A proposito di mozzarelle, ho trovato un vecchio lavoro di Kosikowski: Application of Titanium Dioxide to Whiten Mozzarella Cheese che descrive come procedere per la produzione industriale della mozzarella cheese utilizzando il biossido di titanio come colorante. Come fare? mescolare da 1.0 a 2.0 kg di biossido di titanio in polvere con 15 litri di acqua, poi aggiungere circa 4,000 kg of latte. Procedere con la caseificazione.

Cosa ci colpisce di piu’ che ci siano disonesti che usano il biossido di titanio per sbiancare la mozzarella o leggere che il suo impiego come colorante alimentare è ammesso nella produzione per me “fuorviante” della mozzarella cheese o di altri “processed cheese” prodotti in accordo con il Codex alimentarius seguendo le previste Good manufacturing practices (GMP)?

Il biossido di titanio si presta anche a trattare un tema di attualità: le nanotecnologie applicate al settore alimentare. Ne parliamo appena mi sono documentata meglio.

Riferimenti:

-Lance G. Phillips and David M. Barbano. “The Influence of Fat Substitutes Based on Protein and Titanium Dioxide on the Sensory Properties of Lowfat Milk”. Journal of Dairy Science 80 (11): 2726.

Application of Titanium Dioxide to Whiten Mozzarella Cheese

Mozzarella manufacturing

codexalimentarius.net

Is titanium dioxide used as a food colour?

Determination of titanium dioxide in foods using inductively coupled plasma optical emission spectrometry Analyst, 2000

– Opinion of the Scientific Panel on Food Additives, Flavourings, Processing Aids and materials in Contact with Food on a request from the Commission related to the safety in use of rutile titanium dioxide as an alternative to the presently permitted anatase form (pdf)


66 commenti on “Mozzarella al biossido di titanio, frodi alimentari al tempo del Codex alimentarius”

  1. Wyk72 ha detto:

    Unico commento che mi viene in mente: che schifo. La mozzarella più bianca ricomposta col burro, caseine,biossido di titanio per farla bianca… ma che schifo. I prodotti Nestlé “professional” in USA: ma che schifo. Pizza Hut: ma che schifo. Kosikowski e il suo metodo di sbiancatura: ma che schifo.

    E comunque, in una società che spinge alla bellezza esteriore, al successo, alla ricchezza, senza considerare minimamente la pratica attuata per raggiungere questi obiettivi, fare schifo è, forse, davvero, un dovere morale.

  2. Grissino ha detto:

    Piú che fuoriviante lo chiamerei inutile visto che la mozzarella comunque deve avere un colore bianchiccio in ogni caso…

  3. […] Read the original post: Trashfood » Blog Archive » Mozzarella al biossido di titanio … […]

  4. Ugo ha detto:

    Purtroppo, per quanto riguarda i latticini, siamo attratti dal bianco che più bianco non si può.

  5. Leone510 ha detto:

    è sempre la migliore la mia prof!

  6. eraldo ha detto:

    Mi associo al raccapriccio generale. A cosa serve una mozzarella sbiancata? A questo punto preferirei avere una semplice pubblicità ingannevole. Una mozzarella al titanio fatta mangiare per finta ad un attore e quindi una normale mozzarella “bianchiccia” nel piatto.

  7. Biola' ha detto:

    Che dire ?
    Vorrei non fosse vero !
    Per chi produce artigianalmente come me e’ una aberrazione , ma leggere che da qualche parte e’ consentito e’ ancora piu’ aberrante .

  8. bacillus ha detto:

    Non vorrei sembrare il solito bastian contrario. Ma cosa vuol dire “fuorviante”?
    Innanzitutto mi chiedo quali sono le condizioni per cui, nella fabbricazione della mozzarella, si dovrebbe rendere necessario l’utilizzo di un vero e proprio “sbiancante ottico” per far apparire il prodotto così come ce lo aspettiamo. Ne deduco che ci siano situazioni in cui, nella produzione della mozzarella, ci si trova ad ottenere un prodotto più o meno “colorato”. Secondo me è questo l’aspetto più interessante della questione: perché la mozzarella non viene sempre “bianca”?

  9. gianna ferretti ha detto:

    Se si usa acqua e colorante da aggiungere al latte per produrre qualsiasi formaggio, per me il tutto risulta un procedimento fuorviante=ingannevole.

    Una giustificazione che ho trovato per l’uso del colorante è la possibilità di usare latte con elevati contenuti in beta-carotene. Cioè un latte nutrizionalmente interessante perchè piu’ ricco in beta-carotene, verrebbe maltrattato in questo modo?

    Titanium dioxide, in a range of approximately 0.02 to 0.05% by weight of milk, introduced into milk for Mozzarella cheese to improve color qualities showed uniform whitening without adverse effects on texture or flavor. The larger amount of pigment may be required only with high-fat Jersey or Guernsey milk, obtained in late spring and early summer when carotene levels are at a maximum; for most blended cheese milk, levels as low as 0.025% appear satisfactoy in giving Mozzarella cheese a uniform, white, satiny appearance.

  10. bacillus ha detto:

    Infatti, Gianna, pensavo proprio ad un prodotto ottenuto da latte di vacche che pascolano in montagna. Si otterrebbe una (eventuale) mozzarella nutrizionalmente superiore e dalle caratteristiche organolettiche forse uniche. Ma che, siccome non sarebbe “bianca-bianca”, non verrebbe apprezzata dal consumatore.
    Allora il problema non è il biossido di titanio, ma il consumatore, o meglio il messaggio che gli è stato trasmesso fino ad ora.
    Piuttosto che criminalizzare la “chimica” (sai poi che roba, un po’ di colorante), io tenterei un “tuning” tra la vera realtà produttiva e l’immagine del cibo che ha il consumatore: è lì che bisogna lavorare.

  11. Gianna Ferretti ha detto:

    Pensa Baciullus che un docente della Facoltà di Agraria di Ancona ha proposto qualche anno fa la produzione della mozzarella al beta carotene, una mozzarella arancione.

    Non è sorprendente tutto questo?

    http://www.europass.parma.it/page.asp?IDCategoria=553&IDSezione=0&ID=224821

  12. Biola' ha detto:

    Ho delle Jersey in allevamento e faccio mozzarelle , artigianali , non sono la Coop ….come riportato da Gianna le Jersey fanno latte tendente al giallo alle volte perche’ pare non metabolizzano il beta carotene .

    Non mi passa manco per l’anticamera del cervello di sbiancare la mozzarella , anzi i cosiddetti ‘difetti estetici’ del cibo , se corrispondono ad un indice di qualita’ o di non manipolazione per una ricerca estetica fine a se stessa sono sempre di piu’ apprezzati da un consumo sempre piu’ critico e consapevole .

    Resta da capire, ed e’ una domanda , se e’ il Consumo che deve evolvere nelle sue scelte o l’ industria che propone pubblicita’ martellante su modelli di cibo sempre piu’ estetici e meno di qualita’.

  13. Wyk72 ha detto:

    bacillus dixit:
    Piuttosto che criminalizzare la “chimica” (sai poi che roba, un po’ di colorante)

    Mi fai sbellicare dalle risate quando ti metti a difendere l’indifendibile.

    Se anche ci mettessero degli isotopi radioattivi e il latte fosse fosforescente, tu tireresti fuori che “però di notte fa un bel colore verdognolo!”

    Sei uno di quelli che mentre magari sta crepando di tumore per l’ingestione di suddetto latte diresti :”eh, ma tanto io non volevo mica vivere a lungo!”

    Anche l’Eternit era una grande ed “innovativa” idea: cosa ne pensi? “Non criminalizziamo”? Dopo tutti i tumori, i morti, le malattie? Diamogli un premio, no?

    L’hai vista in TV la pubblicità di HOPLA’- la Panna Vegatale, proprio in questi giorni ? 27% di GRASSI IDROGENATI AL 100%. Fanno bene anche questi? Chessarammai! Datela ai vostri bambini! E’ il magico frutto del progresso!

    Per tua info: non è che qua si criminalizzava la “chimica”, si criminalizza chi usa sbiancanti inutili e protocolli assurdi di creazione/ricostruzione di prodotti vagamente “alimentari”.

    Adesso viene fuori, che “i consumatori sono sbagliati perché lo vogliono bianco!(*)” – no chi ti fa mangiare (non si sa bene quale e quanta) vernice.

    Roba da acido lisergico, altroché.

    Ma tu, un minimo di problema anche solo vagamente “etico” te lo sei mai posto?

    Espatria negli USA,e fatti assumere nel CDA di qualche multinazionale, non so che aspetti.

    (*)

    E forse un motivo c’é se il latte lo vogliono “superbianco” – è perché i consumatori oramai sono talmente rincoglioniti dalla pubblicità che ritrae le mozzarelle “che più bianche non si può”, che se vedono una minima variazione cromatica, pensano che il prodotto sia guasto, o “non rispondente” all’idea di “mozzarella” che la pubblicità visiva ha loro inculcato. Questo perché oramai, le campagne sono semideserte e la maggior parte della gente non è stata mai a vedere nemmeno come è fatto un campo di grano, o una vacca. Ci sono ragazzi che pensano che il pollo sia fatto come i McNuggets di McDonald’s,per esempio, o che l’insalata cresca “nel supermercato”. E’ americanizzazione, secondo me.

  14. bacillus ha detto:

    Wyk72, capisco la tua reazione. In fondo sei anche tu vittima di questo “sistema” 🙂 . Infatti, quando io ho parlato di “tuning” tra la realtà produttiva in campo alimentare e la percezione che il consumatore ha di quella realtà, mi riferivo proprio al fatto che mi sembra sia ora di instaurare uno scambio di conoscenze diverso, più trasparente, meno passionale, più realistico.
    Perché qui, ormai, stiamo andando incontro ad uno scollamento totale tra un’industria alimentare che per sua natura deve evolversi ed un prototipo di consumatore sempre più esigente (giustamente), ma che non è adeguatamente informato, o meglio, è proprio disinformato.
    Di chi è la colpa? Innanzitutto dell’industria stessa che non è mai stata capace di trasmettere informazione; e poi di quei “gruppi di potere culturali” che io ho spesso attaccato, i quali, come mero atto di lobbysmo economico, hanno diffuso ed imposto in modo banale e semplicistico l’idea del “naturale”, del “genuino”, del “come si faceva una volta”. Non colpevolizzo affatto il consumatore.

    A questo punto arriviamo alla confusione più totale. L’utilizzo dell’additivo alimentare, che pur ha un sua giustificazione, diventa un atto criminoso, un attentato alla salute delle persone. Quando, poi, tale pratica diventa fraudolenta (perché non prevista dalle normative), apriti cielo, anche se non ci sono di fatto pericoli per la salute. Non si distingue più tra sofisticazione (che è un atto di inadempienza contrattuale) ed adulterazione (che finisce per essere veramente dannosa). L’attenzione (sempre giusta e doverosa) diventa fobia.

    E’ così che il povero (si fa per dire) Adrià viene criminalizzato e sbertucciato perché usa dell’innocua lecitina o del misero agar. E’ così che si tirano fuori Chernobyl e l’Eternit, in un minestrone (è proprio il caso di dirlo) senza senso, senza logica, senza, soprattutto, una visione scientifica coerente.

    Ma tornando al caso specifico. La frode e la sofisticazione sono sempre da condannare. Teniamo conto, però, che si tratta di pratiche vecchie come il mondo. Io all’etica ci credo, ma quasi quasi mi fido di più della scienza, della tecnologia e della politica. Sì, la politica, quella che impone sistemi di controllo, analisi, verifiche, saggi.
    E qui siamo al paradosso. Ci si fida di più della piccola realtà locale, che non solo può sfuggire più facilmente alle norme ed ai controlli, ma soprattutto non deve rendere conto al grande pubblico della qualità dei suoi prodotti, mentre si guarda regolarmente con enorme sospetto l’industria, dove i controlli sono più facili, dove c’è la possibilità di fare investimenti in termini di sicurezza, dove gli errori costano molto in termini di sanzioni ed immagine.
    Ora, sempre per restare al caso specifico. Lasciamo stare il caso della mozzarella fatta con il latte in polvere e che quindi ha in qualche modo bisogno del colorante. Supponiamo che io sia un’azienda che produce un milione di tonnellate di mozzarella al giorno: non grandi cose, una roba onesta, tecnologicamente ineccepibile. Ritiro latte da milioni di stalle, non tutte mi assicurano gli stessi standard qualitativi. Inoltre, a seconda del periodo dell’anno, al cambio dell’alimentazione delle vacche, la mozzarella può prendermi una vena giallina. Voglio ricordare che il mio punto di forza è non solo il rapporto qualità/prezzo, ma anche la “standardizzazione”. Sì, la gente si aspetta di trovare sempre una qualità costante nei miei prodotti. Non è una sciocchezza, è un fattore di qualità, è un modo per instaurare un rapporto fiduciario con il consumatore. E’ il motivo per cui prodotti come la Nutella, la Coca Cola, o il frizzantino Zonin sono dei successi commerciali da anni ed anni.
    Non vedo cosa ci sia di disprezzabile nel cercare di raggiungere questi obiettivi, anche se questo richiede l’utilizzo di additivi. Che ripeto, quando non fanno male, devono essere considerati come “naturale” componente dei prodotti “industriali” che ci assicurano la possibilità di sfamarci in sicurezza e soprattutto a costi contenuti.

    Poi, è chiaro, se uno vuole mangiare la mozzarella di Biolà perché è in effetti più buona e perché sappiamo tutti che lui è un produttore onesto, da Palazzo Grazioli, piglia la macchina, si imbuca nel traffico di Roma, fa la coda sul Raccordo Anulare e se la va a comprare fresca-fresca, genuina e sicuramente priva di additivi. Ha consumato venti litri di benzina, ma vuoi mettere? 😉

  15. Biola' ha detto:

    @Bac , hai svampato dotto’ !
    E’ Biola che va dal Consumatore , si chiama vendita diretta in forma itinerante di prodotti agricoli, la relazione e’ un furgone che va a molti Consumatori principalmente GAS ( Gruppi di acquisto ) su appuntamenti ricorrenti e continuativi e non molti Consumatori che si sciroppano 40 Km di auto fuori raccordo per un po’ di ovoline seppur biologiche e scevre da industriali additivi 🙂

    Per cui non mi appartiene la situazione che hai cosi’ superficialmente descritto ignorandone la modalita’ di vendita , e cmq la mia mozzarella viaggia infinitamente meno di una cagliata rumena o caseine e caseinati della Moldavia tanto care alla industria che standardizza e ci da del cibo sicuro , sicuro che non sa piu’ di cibo e sicuro che hanno additivato tutto e di piu’ ….
    Chissa’ da dove viene il biossido di titanio ?
    forse dalla Cina ?

    >E qui siamo al paradosso. Ci si fida di più della piccola >realtà locale, che non solo può sfuggire più facilmente >alle norme ed ai controlli, ma soprattutto non deve rendere >conto al grande pubblico della qualità dei suoi prodotti

    Hai dati ? statistiche ? rilievi dei NAS o dell’ ICQ o di qualche Ass. Consumatori ? altrimenti e’ solo una chiacchera per sentito dire al bar sottocasa , in altre parole e’ una PALLA colossale ! 🙂

  16. Wyk72 ha detto:

    @bacillus

    senti, puoi risparmiarti le stronzate sulle “visioni scientifiche coerenti”, così come tutto questa assurda tirata sul cibo che ci viene REGALATO dalle industrie, a costi bassissimi. Queste favolette positiviste da fine ‘700 valle a raccontare agli americani, che ancora ci credono (fessi DOC).

    La vernice, nella mozzarella, non ci va. E’ tanto semplice. E’ uno schifo che ce la si metta per farla più bianca. Almeno lo si ponga in ETICHETTA – CONTIENE E171 – , se proprio vuoi fare il “legalista” e ti fidi più della “politica” invece che dell’etica.

    Ma chi ti ha detto che io mi “fido più della piccola realtà locale” ?

    Io provo e testo TUTTO quello che mi capita, in Italia ed all’estero e faccio le mie dovute considerazioni. Non mi fido di nessuno “a priori”.

    Tu vuoi per forza dividere in modo manicheo la “santa e superscientifica” industria alimentare e in “contadinotti ignorantoni fregasoldi” che producono cibo chiamato (infelicemente a mio parere) “bio” o che parlano di filiera corta.

    Che se uno ci mette il biossido di titanio nella mozzarella è peccato veniale, e biola’ che se la produce da solo “magari non è controllato”. Ma che farabutto.

    Che orribili forme mentis ha generato il nostro secolo.

    Io per quanto riguarda l’industria la penso come Leopardi, che scriveva:

    Al qual proposito diceva un filosofo francese del secolo passato: i politici antichi parlavano sempre di costumi e di virtù; i moderni non parlano d’altro che di commercio e di moneta. Ed è gran ragione, soggiunge qualche studente di economia politica, o allievo delle gazzette in filosofia: perché le virtù e i buoni costumi non possono stare in piedi senza il fondamento dell’industria; la quale provvedendo alle necessità giornaliere e rendendo agiato e sicuro il vivere a tutti gli ordini di persone renderà stabili le virtù, e proprie dell’universale. Molto bene. Intanto, in compagnia dell’industria, la bassezza dell’animo, la freddezza, l’egoismo, l’avarizia, la falsità e la perfidia mercantile, tutte le qualità e le passioni più depravatrici e più indegne dell’uomo incivilito, sono in vigore, e moltiplicano senza fine; ma le virtù si aspettano.

  17. bacillus ha detto:

    @Biola
    Ho fatto il tuo nome, ma non volevo polemizzare con te, assolutamente. Sono assolutamente certo che i tuoi prodotti sono eccellenti, lo dico con sincerità, senza alcuna ironia. La mia voleva essere un’occasione per evidenziare i paradossi nascosti dietro a concetti troppo semplicistici come quello dei km0.
    Buon Natale, Biola, ma soprattutto un augurio di trovare prospettive sempre migliori con il tuo lavoro.

    @Wyk72
    La contrapposizione manichea tra industria e piccola produzione locale non la faccio io, non l’ho mai fatta, tutt’altro. Io ho sempre sostenuto che si tratta di due realtà che possono e devono convivere perché si rivolgono a target di consumo diversi. Sul tema ho lasciato migliaia di righe sui blog, non temo di risultare contradditorio.
    Questa contrapposizione è piuttosto il cavallo di battaglia di altri, di quelli che usano in modo disinvolto l’aggettivo “industriale” per disprezzare metodi di produzione a cui invece dobbiamo molto e che dovrebbero essere oggetto di più informazione ed attenzione. E’ una contrapposizione che ti caratterizza: lo evidenzi chiaramente citando quel Leopardi. Ma non importa.
    Da parte mia ti posso ricordare che io stesso rappresento la piccola produzione locale. Conduco quattro ettari di vigna, produco e vendo uva da vino, produco e vendo vino. Conosco, perché ci vivo in mezzo, la piccola realtà contadina, le sue problematiche, i suoi limiti ed i suoi punti di forza. Ma a differenza di molti (e questo lo dico anche all’amico Biola) io ho avuto nel passato un’intensa esperienza di una decina d’anni nell’industria. Il mio, se permetti, è un punto di vista privilegiato: che è tutto merito del sottoscritto.

    Ribadisco con forza il concetto per cui il faro principale della produzione alimentare (nonché dell’agricoltura) deve essere la scienza e la tecnologia. Lo dico con cognizione di causa perché da tecnico alimentare (sono enotecnico) conosco le problematiche della produzione, le ho vissute. Sono sempre stato attento al ruolo della scienza e della tecnologia nella filiera produttiva: anche quando si parla di “naturale”, “biologico”, “tradizionale”, vado a cercare nel dettaglio le più piccole sfumature della concezione produttiva e del relativo processo, (fa parte della mia perenne curiosità), ed ogni volta ho la conferma del ruolo fondamentale della conoscenza scientifica in merito.

    Quanto alla mozzarella sbiancata, la mia voleva essere una riflessione articolata su un possibile scenario. Ho tentato di calarmi nella realtà, mi sono sforzato di provare a toccare le cose con mano. Con l’intento di liberarmi da pregiudizi e dogmatismi etici, che diciamo la verità, non aiutano a capire come stanno veramente le cose.
    Vedo che il mio sforzo non è stato apprezzato. 🙂

  18. Wyk72 ha detto:

    Bacillus: sai qual è il problema? Tu ti credi “liberato” e invece sei solamente e falsamente “disumanizzato”, un po’ come tutti gli scientisti, che stanno tornando prepotentemente di moda. Persone che invece che guardare avanti, ossia verso quale direzione stiano andando, si guardano la punta dei piedi, dicendosi “ma come sono belle e lucide le mie scarpine nuove! Come cammino bene!”. Poi pigliano un bel palo in mezzo alla faccia (leggasi crisi finanziaria, per fare un esempio) e cominciano a strillare come dei bambini piccoli.

    Altro che punto di vista “privilegiato”. Sembri uscito paro-paro dagli USA anni ’90.

    Mettere il “bianchetto” nella mozzarella non è scienza, sono trucchetti per spintarelle commerciali, di scientifico non c’è niente (se non il procedimento chimico per estrarre un pigmento bianco minerale), inutile che ci imbastisci discorsoni sperando che qualche fesso ci caschi, cercando di darti arie vagamente professorali, o di “sapiente illuminato”.

    Goethe scriveva:
    “Nessuno è più schiavo di chi si credo libero e non lo è. Appena può dichiararsi libero l’uomo si sente condizionato. Quando ha il coraggio di dichiararsi condizionato si sente libero.”

    Non ti credere più “svelto” solo perché ti credi libero dai “dogmatismi”, visto che il tuo dogma, il tuo postulato, da quello che scrivi, si chiama “successo commerciale”.

  19. Dario Bressanini ha detto:

    Wyk: sinceramente, se provi a togliere dai tuoi messaggi le frasi ad effetto, le battutine, gli aggettivi evocativi e le citazioni, non è che rimanga molta ciccia al tuo discorso 🙂 solo affermazioni di principio. Le discussioni scientifiche dovrebbero seguire un certo “standard”, una certa metodologia, e non sembrare le discussioni politiche che si sentono in italia 🙂
    Lo so che, per chi non è abituato, discutere “con metodo scientifico” può risultare spiazzante, ma è un modo molto proficuo di discutere (IMHO) perchè ti impone di entrare nel merito delle argomentazioni altrui, e non invece rigettarle per principio.

    Detto questo, tra una mozzarella con il biossido di titanio bianca e una senza, magari giallina, prenderò quest’ultima perchè credo di avere più probabilità che sia più buona. In linea teorica è vero che, come dice bacillus, potrebbe avere qualità nutrizionali superiori, ma in pratica credo sia utilizzato solo per coprire difetti e non pregi del latte.
    E’ un po’ come il glutammato: in mano a degli chef come Blumenthal o Adrià o nella cucina cinese classica è un ingrediente stupendo, ma in pratica spesso è utilizzato per coprire difetti di materia prima (ed è per questo che è ingiustamente messo sotto accusa)

    Ultima cosa sul biossido di titanio: viene molto utilizzato nella cosmetica “naturale” (contrapposta a quella “chimica” 😀 ) perché è un ingrediente “naturale” e quindi automaticamente “buono” a differenza delle sostanze di sintesi che, per chi non conosce bene la chimica, sono automaticamente peggiori. Ironica la cosa, vero? 🙂

    ciao e buon Natale

  20. Wyk72 ha detto:

    @Dario
    non è che rimanga molta ciccia al tuo discorso

    Ottimo per i vegetariani allora. La prossima volta i discorsi li faccio Vegan.

    E’ un po’ come il glutammato: in mano a degli chef come Blumenthal o Adrià o nella cucina cinese classica è un ingrediente stupendo

    Il glutammato poi tutto stò “stupendo”..boh, vista la vasta, vastissima letteratura scientificissima in merito (pubmed), mi permangono dei forti dubbi se sia così del tutto innocuo o no: di sicuro è una sostanza biologicamente attiva, e ha a che fare con processi molto delicati (e complessi) a livello encefalico.Inoltre alcune ricerche del Sol Levante riportano che può compromettere irreversibilmente le funzioni retiniche (chiaramente c’è da considerarne la quantità). Magari per una mangiata di una sera dagli chef che hai elencato può andare pure bene (minime quantità) – per chi se lo può permettere -, ma buttarlo qua e là “a pioggia” per ridare sapore a prodotti che hanno subito trattamenti, come dire, “drastici”, non mi esalta come procedura – infatti quando lo vedo tra la lista degli ingredienti, evito accuratamente l’acquisto dei medesimi.

    Il biossido di titanio sarà pure “naturale”, ma non penso proprio che esca dalle poppe di una vacca (o preferisci un elegante “non penso sia presente nelle esecrezioni delle ghiandole mammarie vaccine?”), e io che sono all’antica, la mozzarella la vorrei fatta solo con quel liquido bianco, sai com’è – se poi non è bianco-che-più-bianco-non-si-può, scientificamente, mi accontento.

  21. Dario Bressanini ha detto:

    Wyk, se per Natale ti regalano del parmigiano stravecchio, mandalo pure a me, visto che è l’alimento più ricco al mondo di glutammato libero 🙂

    buon Natale

  22. gianna ferretti ha detto:

    @Dario,e vogliamo parlare anche del piroglutammato nella maturazione dei formaggi tra cui il parmigiano? 🙂

  23. Wyk72 ha detto:

    …per fortuna che non ne mangio. Oddio, però quando mangiavo pasta ne aggiungevo discrete quantità. Oddio, diventerò cieco? Ho 10/10 per adesso…

  24. gianna ferretti ha detto:

    @Wyk, come mai questa avversità per i formaggi stagionati? non dimentichiamo comunque che l’acido glutammico non è un aminoacido essenziale e viene sintetizzato tranquillamente dal fegato.

  25. Wyk72 ha detto:

    come mai questa avversità per i formaggi stagionati?

    Non sono “di principio” avverso a nessun cibo, ma non sono un gran consumatore di pasta (forse una volta la settimana, ma anche meno), consumo più che altro legumi e riso, e il parmigiano lo comperavo più che altro per grattarlo sugli spaghetti. In generale, per questioni di gusto più che altro, preferisco i latticini freschi, dei quali sono gran consumatore, preferendo quelli relativamente magri (ricotta in primis ). Adoro i formaggi erborinati francesi, soprattutto quelli puzzolentissimi (tipo Roquefort per intenderci), ma ne consumo occasionalmente.

    non dimentichiamo comunque che l’acido glutammico non è un aminoacido essenziale e viene sintetizzato tranquillamente dal fegato.

    Ah, quanto mi sarebbe piaciuto fare il biochimico, invece ho fatto l’informatico.

  26. alexthebig ha detto:

    ma guardate un pò che articolo interessante e, soprattutto, “originale”: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/Benessere/grubrica.asp?ID_blog=26&ID_articolo=1472&ID_sezione=34&sezione=
    e notate anche il “tempismo”!!

  27. Stefania ha detto:

    volevo fare un intervento per chiarire il concetto di ‘industria’ – se utilizziamo la rappresentazione del modello triangolare degli stakeholders, per industria intendiamo tutto il settore, dal piccolo produttore come Bacillus o Biola al grande, dalla distribuzione alla trasformazione. Magari pubblico il grafico in un nuovo post per capirci meglio. Il settore pubblico, che sia lo stato o l’autorita’ locale, ha il dovere di mediare, di sostenere l’industria (spesso in nome di quei posti di lavoro) cosi’ come la societa’ civile (i cittadini); le scelte politiche come ben sappiamo variano, non solo perche’ alla fine sono scelte individuali, ma anche perche’ dipendono dall’urgenza del momento, dall’accordo politico del momento etc etc.

    Un’altra cosa che volevo aggiungere e’ che – come si diceva sopra – siamo d’accordo che l’apporto tecnologico ha aiutato a rendere il pane piu’ digeribile e certi prodotti piu’ appetibili, quello che non dobbiamo scordarci e’ pero’ che questi stessi ‘miglioramenti’ sono ora utilizzati come delle scorciatoie per ottenere quell’effetto visivo o quel gusto, che le applicazioni di una qualsiasi sostanza sono oserei dire infinite, e che queste sostanze finiscono per essere in qualsiasi filiera (per questo ora si parla tanto di un aumento delle intolleranze alimentari). Alla fine, se ne ingerisce molto di piu’ di quanto non sembri. Insomma, la sensazione e’ che questi ‘accorgimenti’ siano un po’ come la chirurgia plastica tanto utilizzata di questi tempi, sia da uomini che donne: si ottiene un effetto che e’ simile a quell’idea di bellezza e gradevolezza e poi ci si abitua a quell’immagine, a quello sguardo, a quell’effetto. Ma l’utilizzo regolare di queste tecniche di ‘miglioramento’ sappiamo bene a cosa porta.

    Ritornando al settore agroalimentare, non e’ esattamente vero che sia sempre il mercato (i consumatori) a chiederlo – e qui vorrei rimandare al Kotler per una lettura piu’ approfondita dell’argomento. Chiudo proponendo come esempio il famoso caso di Sunny Delight per opera del marketing team della Procter & Gamble. Ne trovate un riassunto qui

    http://news.bbc.co.uk/1/hi/business/3257820.stm

    non so se si riesca a trovare l’intero documentario con tanto di intervista che spiega proprio i meccanismi utilizzati dalla grande industria (quella che si puo’ permettere un marketing team
    😀 ) L’articolo non parla del ricovero di una bambina dopo che aveva assunto un colorito giallognolo dovuto al beta carotene della bevanda…

  28. bacillus ha detto:

    Stefania, mai banali i tuoi post, davvero. “Tengo” una certa ammirazione nei tuoi confronti, anche se magari alla fine, nella sostanza, finiamo per trovarci su posizioni opposte. Ma non importa.

    La tua riflessione sul termine “industria” mi trova d’accordo. Non a caso, personalmente, fin dai primi anni in cui mi sono trovato a lavorare nel settore enologico, sostenevo che l’enologia è “industria alimentare”. Non c’è dubbio. Potremmo riflettere sull’opportunità, in base al livello di scala, di adottare termini come “artigianato” (a me piace moltissimo, uno dei miei maestri l’aveva fatto suo), ma sempre di industria, si tratta.
    Colgo l’occasione, però, per precisare un particolare che forse si collega con la sostanza di questo discorso, e che mi sta particolarmente a cuore. Da parte di molti è ormai invalso l’uso dell’aggettivo “industriale” applicato al concetto di “agricoltura” per indicare un tipo di attività agricola in cui sono spiccati i più moderni contributi tecnologici. Dal mio punto di vista, dal punto di vista semantico, la trovo un’idiozia; penso si tratti di un ossimoro mal riuscito, strumentalmente usato per assegnare una patente di sofisticazione ed artificiosità a quella che è l’agricoltura dei nostri tempi, l’agricoltura con la A maiuscola, quella che produce, quella che assicura da tempo cibo in abbondanza a noi ricchi occidentali, quella che consente l’esistenza di paturnie allucinanti come il biologico ed il biodinamico (oops, l’ho detta fuori dai denti, pazienza). Fino a prova contraria agricoltura ed industria si possono benissimo distinguere per quelle che sono le loro particolari specificità. Quando si arriva a parlare di “agricoltura industriale” non si è capita bene né l’industria, né l’agricoltura. Non solo. Non vedo, a quel punto, cosa impedirebbe di parlare di “industria agricola”, facendo dunque passare la distinzione tra settore primario e quello secondario come una clamorosa sciocchezza.

    Quanto al fatto che “non e’ esattamente vero che sia sempre il mercato (i consumatori) a chiederlo”, ohi, ohi, non sai quanto sia vero!
    Ormai è chiaro che esiste un apparato ben consolidato tra industria alimentare (compresi dunque i piccoli produttori), operatori della comunicazione ed anche (mi duole dirlo) mondo scientifico.
    Sai perfettamente, Stefania, che le abitudini alimentari in larghi strati delle società moderne nascono negli uffici commerciali degli stakeholders più potenti; per fortuna nella gente qualche tradizione resiste, ma tutto è condizionato dagli operatori commerciali, quelli che governano l’offerta. Quasi sempre, ormai, le mode, le abitudini, le esigenze nascono in quelle realtà, non certo tra i consumatori. Bisogna rendersi conto di questo. La cosa vale in ogni contesto e non esistono buoni e cattivi. Slow Food influisce sul mercato esattamente come Barilla e McDonalds; ognuno con i suoi target, ognuno con le sue peculiarità, ma esattamente con gli stessi obiettivi.

    Ho sempre sostenuto che per me, come produttore, l’interlocutore ideale è quello informato, quello aperto al confronto, quello curioso. Per me la trasparenza nel produrre cibo rappresenta il futuro più nobile. Forse è per questo che mi trovo spesso a litigare… 🙂

  29. bacillus ha detto:

    @alexthebig
    Hai ragione. Quell’articolo è la penosa rielaborazione del post di Gianna.
    Quei giornalisti hanno sfruttato palesemente le sue riflessioni, non l’hanno minimamente citata, hanno senz’altro fatto colpo su un quotidiano a diffusione nazionale e a fine mese incasseranno l’immeritato compenso. Odio, davvero, queste cose.
    Viva Gianna!

  30. Stefania ha detto:

    @Bacillus – Sono lieta che i miei interventi non ti annoiano come succede con altri bloggers 😀

    Inizio col dire che non avevo notato l’uso di questa espressione, agricoltura industriale, in italiano. In inglese c’e’ un’altra bella espressione: ‘agro-business’ soprattutto quando si parla di grosse realta’. E mi trovi d’accordo sul fatto che anche il termine ‘artigianato’ debba considerarsi incluso nel settore industria, per lo meno nel contesto di un dibattito politico. Mi rifaccio a termini certamente non inventati da me 😉 e se andiamo a cercare con esattezza il significato di ‘industry’ lo troviamo definito come ‘economic activity concerned with the processing of raw materials and manufacture of goods in factories’ – peccato abbiano tolto il De Mauro online per fare un confronto con il significato della parola italiana ‘industria’ … ma ho la sensazione che in Italia questa parola (cosi’ come la parola ‘cultura’ di cui si parlava in un altro post) sia usata alle volte senza comprenderne il suo significato sino in fondo. Continuiamo con i termini? mai sentita la parola ‘appropriationism’? e ‘substitutionism’? sono termini che spiegano quello che e’ diventata l’agricoltura oggi come accennavi tu. Ho un po’ di letteratura che approfondisce questi due fenomeni se puo’ interessare.

    Sono d’accordo su tutto il resto, tranne forse sul fatto che Slow Food influisca sul mercato 🙂 ho la sensazione (teoria tutta mia personale di cui mi prendo piena responsabilita’) che la Slow Food abbia fallito miseramente – almeno in Italia – la sua missione. Le ragioni sono sotto gli occhi di tutti: anziche’ informare tutti privilegiando certi gruppi di popolazione (studenti, ad es.) ha creato una specie di carrozzone dove sono saliti un po’ tutti come quando da bambini si voleva fare il giro in giostra gratis. Anziche’ re-investire in ricerca (come gli altri movimenti e NGO di tutto il mondo), ricerca vera fatta da PhD, ha organizzato l’informazione usando i soliti canali che sappiamo, e forse banalizzando un po’ temi importanti. Aver scelto di andare a braccetto con la grande industria per quanto riguarda la sponsorizzazione degli eventi ha poi dato il colpo finale, come certamente sai molto meglio di me… Hai saputo che la Slow Food in US ha contribuito alla ricostruzione di una parte dell’area distrutta dall’uragano Katrina? Non ho seguito il caso e non so che abbiano fatto di concreto e quali i risultati raggiunti…

  31. Wyk72 ha detto:

    Secondo me si sta facendo solo una leziosa e discutibilissima pseudo-diatriba a suon di “paroloni” su una banalissima questione di cosa voglia dire e cosa implichi fare le cose su “larga scala”.

    E’ incredibile quali scuse e quali termini ci si vada inventando o prendendo a prestito per trovare una banale pezza giustificativa all’avidità umana.

    Coprirsi dietro a termini anglosassoni, imprecisi, poco comprensibili, e spesso “forgiati” dal marketing, è tipico delle fregature mascherate, un po’ come le tariffe telefoniche dei cellulari.

    Fa decisamente sorridere il fatto che se una cosa la si pronunci in inglese faccia immediatamente “fico” e moderno, è roba più da anni ’80 direi. Lo trovo decisamente retrogrado.

    Includere l’artigianato nell’industria è un non-senso tipicamente anglosassone, dove prevale la standardizzazione ed il marketing dei “grandi numeri” a scapito della qualità e dell’etica del lavoro. Il successo, che ci crediate o meno, per molti non si misura col denaro, ma col fare le cose come si deve.

    I Depeche Mode cantavano “Everything Counts (in large amounts)” nel 1983, ed è una canzonetta che da sola basta a spiegare esattamente cosa c’è dietro ai paroloni farlocchi del marketing:

    « It’s a competitive World / Everything counts in large amounts/ The grabbing hands / Grab all they can […] »

    trad:

    « È un mondo competitivo / Tutto conta nelle grandi quantità / Le mani arraffano / Arraffano tutto quanto possono […] »

  32. Wyk72 ha detto:

    @bacillus

    “l’agricoltura con la A maiuscola, quella che produce, quella che assicura da tempo cibo in abbondanza a noi ricchi occidentali,”

    La “meravigliosa” agricoltura industriale con la “A” maiuscola di cui parli tu per la maggior parte produce alimenti “di prezzo” destinati abbondantemente ai poveracci.

    I ricchi occidentali, se possono, vengono a mangiare in Italia (o in Francia) al ristorante tipico/tradizionale, dove servono cibo strettamente ARTIGIANALE, ossia di alta qualità, con basse rese, alti costi e manodopera specializzata.

    I poveracci-ma-non-troppo comprano bio, sperando che qualcuno non abbia la mentalità troppo “industriale”, ossia non li freghi col nome.

    P.S.

    i tuoi interventi sulla “santa industria” a volte mi ricordano Tafazzi

    http://it.wikipedia.org/wiki/Tafazzi

  33. Stefania ha detto:

    il discorso e’ molto semplice, invece Wyk72 – e’ che la letteratura accademica riguardante il settore agroalimentare tipicamente viene da paesi diversi dall’Italia, perche’ in Italia si scrive poco o niente che venga pubblicato nelle riviste scientifiche. Puo’ capitare che qualcosa poi venga trasmessa sui giornali ma spesso non e’ riportata bene. Tutto qui. Inoltre vorrei far notare che una delle prime cose che viene analizzata – per lo meno in certi ambienti – e’ la definizione di un concetto. Che significa locale, ad esempio (vedi agricoltura o economia locale)? della propria area di residenza? della propria regione? nazione? continente? perche’ quando poi c’e’ da parlare di certi problemi queste difficolta’ nella definizione dei concetti emergono.

  34. bacillus ha detto:

    Stavolta hai esagerato Wyk. Si stava cercando, per quanto possibile, di inquadrare in una certa logica concetti che troppo spesso nel dibattito pubblico sono lasciati alla libera interpretazione delle parti.
    Ma voglio dire. Non ci si può confrontare in modo proficuo se non c’è una coincidenza nei linguaggi che ognuno adotta. Il “meta-confronto” sui termini, sugli aspetti semantici, dunque, è tutt’altro che di lana caprina. Anzi, direi proprio che si tratta di una premessa fondamentale, che troppo spesso (quasi sempre) passa in secondo piano.
    Tra l’altro, se c’è qualcuno che nella mia esperienza di blogger, non lascia trasparire minimamente un’arroganza culturale, quella è proprio Stefania. Si capisce, si tratta (per me) di un osso duro. Ma non si può annoverare tra i suoi interventi nemmeno un caso che fosse finalizzato all’autocelebrazione, alla manifestazione di una “cultura superiore”: davvero NO. Prendendo di mira il suo pensiero, veramente, l’hai fatta fuori dal vasetto.

    C’è una distanza abissale tra le sue riflessioni e le tue sgangherate considerazioni. Te ne rendi conto? E poi… finché mi citi il Leopardi (un genio) va bene; ma lascia perdere i Depeche Mode… finisci per diventare ridicolo.

  35. Wyk72 ha detto:

    Stavolta hai esagerato Wyk.

    Dici? Ma manco tanto, dai.

    Non ci si può confrontare in modo proficuo se non c’è una coincidenza nei linguaggi che ognuno adotta. Il “meta-confronto” sui termini, sugli aspetti semantici, dunque, è tutt’altro che di lana caprina.

    Non vedo perché è così necessario tanto rigore scientifico per le anglo definizioni, quando il problema è a monte di esse. Preferirei un vero rigore scientifico sulle etichette dei cibi, tipo la provenienza e precisa composizione di grassi e oli. Spessissimo mi devo accontentare di un generico “oli e grassi vegetali”.

    E poi… finché mi citi il Leopardi (un genio) va bene;

    Vero che era un genio? Io ne sono convinto.

    ma lascia perdere i Depeche Mode… finisci per diventare ridicolo.

    Sfegatato fan dal 1984. Che Martin Lee Gore ti strafulmini.

  36. Wyk72 ha detto:

    @bacillus
    E poi pensa che c’ho un altro commento per te in moderazione che ci avevo messo il link del video di youtube di Tafazzi…

  37. bacillus ha detto:

    Comunque, Stefania, lasciando perdere il rumore di fondo, a me interesserebbe approfondire un po’ la questione. Perché, come già accennato, la chiarezza sui termini è una premessa importante per un confronto corretto (tra l’altro, ostrega, anche a me dispiace molto che abbiano chiuso il De Mauro online); non a caso il problema non se lo pone chi non ha intenzione di fare veramente chiarezza sui rapporti tra agricoltura, produzione alimentare, ambiente, economia…
    Puoi dire qualcosa in più su quei due termini inglesi che hai accennato?

    Quanto a Slow Food. Sì, anche secondo me ha fallito. Ma forse non siamo d’accordo sul senso di tale fallimento. Non mi è chiara quale avrebbe dovuto essere secondo te la “mission” di quell’organizzazione, quale avrebbe dovuto essere l’opera di informazione che avrebbe dovuto portare avanti, quale avrebbe dovuto essere il suo ruolo nel mondo dell’agroalimentare italiano. Ma forse il discorso in merito è troppo ampio ed un thread sulla mozzarella un luogo troppo stretto. Avremo modo di parlarne…

  38. gianna ferretti ha detto:

    Ciao a tutti! torno on line dopo vari giorni e trovo questo vivace scambio di commenti. Tra l’altro sono stata a Torino nel tempio della Slow Food: Eataly 🙂

    Adesso mi leggo tutto per bene: Naturale, industriale, artigianale,locale, tipico, aggiungerei “tradizionale” ai termini su cui occorre fare ordine.

  39. Stefania ha detto:

    Ciao Gianna, bentornata – attendiamo con ansia il tuo resoconto da Torino 😉

    Bacillus – avrei pensato, essendo Slow Food un movimento, che la sua missione fosse quella di informare sul perche’ e come fare scelte alimentari corrette (corrette per la dieta, l’ambiente, le economie locali). Invece mi pare che certe tematiche siano ancora affrontate in modo un po’ approssimativo. Inoltre avrei pensato che avrebbe re-investito qualcosa per creare dei titoli di studio validi in tutto il mondo. Perdonatemi ma il loro ‘master’ non e’ un MSci e – ma questo mi e’ stato riferito, non ho conoscenza diretta quindi va preso per quello che e’ – non e’ manco intellettualmente vicino ai masters che si fanno in altri paesi nelle universita’ vere e proprie. Peccato, un’occasione persa, almeno per il momento.

    Per quanto riguarda i termini – si parla di ‘appropriationism’ come l’introduzione della macchina in alcune fasi della produzione agricola in sostituzione del lavoro umano. Ad un livello successivo, l’ ‘appropriazione’ di queste attivita’ da parte dell’industria ha riguardato le proprieta’ chimiche del terreno e si e’ quindi focalizzata su cosa fare per ‘vincere’ i cicli naturali legati all’attivita’ agricola. Perche’ appropriationism ? i teorici (cito qui Goodman:1989) citano come obiettivo l’accumulo di risorse agricole. Abbiamo gia’ parlato in passato di paradigma produttivistico.

    Subsitutionism: mentre l’appropriationism ha trasformato il mondo rurale in attivita’ industriale, il secondo fenomeno riguarda la sostituzione di un prodotto o materia prima nella filiera (per gli stessi obiettivi, l’accumulo di attivita’ e capitali). Faccio un esempio: la farina. In UK, l’adozione di metodi di macinazione ‘roller-milling’ in sostituzione dello ‘stone-milling’ portarono le aziende a preferire qualita’ di grano diverse da quelle prodotte in UK (tipicamente venivano dagli US), perche’ queste ultime non si conservavano bene come le altre e non davano quei risultati cercati dall’industria. Poiche’ poi la concentrazione delle attivita’ gia’ iniziava in quel periodo (siamo in piena rivoluzione industriale), il mercato UK sin da allora e’ stato caratterizzato da prodotti da forno fatti solo ed unicamente con quei metodi di produzione – i panifici artigianali qui sono tuttora una vera rarita’ (mi pare di aver inserito dati quando ho parlato del pane su questo blog). Quindi… da qui a dire che gli ‘inglesi mangiano porcherie’ …. beh c’e’ anche da capire com’e’ che si e’ verificato questo disastro…

  40. Wyk72 ha detto:

    Quindi… da qui a dire che gli ‘inglesi mangiano porcherie’ …. beh c’e’ anche da capire com’e’ che si e’ verificato questo disastro…

    Nel paese dove è nata la “rivoluzione industriale” è abbastanza ovvio che si è sacrificato in toto il gusto (e la salubrità, guarda gli USA) del cibo in favore del cosiddetto “sviluppo industriale”, creando, appunto quelle due mostruosità di cui parli nel tuo post (appropriationism – substitutionism). Il tutto è ovviamente legato allo sviluppo di macchine (termodinamiche) sempre più sofisticate – ed in definitiva al petrolio e suoi derivati, che servono appunto a far funzionare le medesime.

    Il “substitutionism” più radicale si avrà quando si otterrà (sintetizzerà) il cibo non più da fonti agricole, ma direttamente da elementi chimici tramite tecnologie industriali, senza terreni agricoli né piante né altro.

    Questo ovviamente necessiterà della completa distruzione dei localismi, dei tradizionalismi e della “cultura” del cibo, qui la parola “cultura” intesa come “amore per il gusto che si tramanda da generazioni”, scopo dichiarato, più o meno chiaramente, della produzione agricola industriale, o agro-business che dir si voglia.

    In sostanza, queste due pratiche (appropriationism – substitutionism) sono un po’ le due teste della Chimera chiamata “globalizzazione”. Una mostruosità assoluta, a mio parere. La fine del petrolio, che rimane una risorsa non rinnovabile, farà terminare questi (e molti altri) deliri di onnipotenza, penso.

  41. Wyk72 ha detto:

    gli ‘inglesi mangiano porcherie’

    P.S.

    E’ perché sono barbari. A loro gli basta la cervogia, in fondo in fondo, il sapore del cibo è una cosa parecchio secondaria. E’ il posto perfetto per il substitutionism e mentalità affini. Se in Scozia mangiano il Mars fritto, una ragione ci dovrà pur essere, no?

  42. bacillus ha detto:

    “E’ perché sono barbari”. E’ possibile restare indifferenti a queste sconcertanti espressioni di intolleranza? Può essere che solo io mi metto qui ad esprimere un’indignazione che dovrebbe essere spontanea, dato che si rivolge a tematiche fondamentali già ampiamente discusse, verificate, analizzate? Non sarà mica che proprio qui daremo inizio (od ulteriore credito) ad una deriva culturale idiota che discrimina in base alle abitudini alimentari?
    Vogliamo proprio in questo modesto dibattito battezzare una nuova frontiera della mediocrità umana, creando il concetto di “razzismo alimentare”?
    Oddio…

  43. Wyk72 ha detto:

    Vogliamo proprio in questo modesto dibattito battezzare una nuova frontiera della mediocrità umana, creando il concetto di “razzismo alimentare”?

    Senti, vacci a stare qualche annetto, poi mi dici. Io esprimo il mio pensiero, non ho bisogno del “politically correct” a tutti i costi, perché penso con la mia testa, faccio le mie esperienze e formo le mie opinioni in base al vissuto personale, come tutti.

    Non c’è bisogno che ti stracci le sacre vesti, basta che dici “non sono d’accordo, secondo me sei un cialtrone” e sta bene.

    A proposito di “derive culturali idiote”, hai letto la storia del “Sunny Delight” proposta da Stefania? Lì di idiozia ce n’è così tanta…ma così tanta….

  44. Stefania ha detto:

    Trovo ingiusto dare la totale responsabilita’ della deriva ‘alimentare’ dei paesi industrializzati alla popolazione. Penso che lo stato sia responsabile in prima linea perche’ non ha dato il supporto giusto affinche’ si creasse una filiera degna di essere chiamata come tale. Se uno stato (torniamo all’esempio UK di cui avrei dati, non ho invece numeri sugli USA) riesce a NON essere autosufficiente e a dipendere dai prodotti di altri paesi… e quindi al petrolio che serve per trasportare questi beni e per produrli (in loco) nelle serre, si mette in una situazione un po’ difficile. Perche’, nel caso particolare dell’UK, e’ alla fine il distributore (hyper o supermercati) che decide cosa imprtare, ed e’ quindi in grado di definire la dieta della popolazione limitandola a quei prodotti che sono economicamente convenienti (che ‘vendono’). Questo mentre lo stato predica la dieta sana per contrastare obesita’ e malattie cardiovascolari. Avete letto Shopped di Blythman?
    vero che e’ assurda la storia di Sunny Delight? a me aveva colpito molto – pensare che il produttore aveva deciso di collocarla nel frigo del supermercato solo per farla sembrare ‘fresca’ (in realta’ poteva sopravvivere fuori dal frigo).

  45. gianna ferretti ha detto:

    @Stefania,la storia di Sunny Delight è un caso da manuale di “beverage design”,contiene anche NEOTAME,un dolcificante che non aavevo mai incontrato prima.

  46. gianna ferretti ha detto:

    @alexthebig, @ bacillus, Io avrò impiegato almeno tre gioni a leggere,ragionare, tradurre,confrontare fonti diverse su questo tema. Il copia-incolla dai blog è uno sport praticato da diversi colaboratori di giornali on line. Sembra che gli stessi siano allergici alla parola “link”.

  47. Stefania ha detto:

    @Gianna – purtroppo il documentario (con tanto di interviste ai ‘designers’ non l’ho trovato online, ma ora cerco presso il mio videonoleggio e vediamo se riesco a passartelo…

  48. chiara ha detto:

    forse questa domanda non centra molto con la mozzarella…:) vorrei sapere il nome comune del biossido di titanio.
    grazie in anticipo!

  49. biola ha detto:

    Notizia recente da :

    http://www.apcom.net/newscronaca/20100212_201044_3995bc6_82642.html

    hanno trovato del perossido di benzoile in un caseificio , sembrerebbe per sbiancare .
    Che accidenti e’ ?

  50. Wyk72 ha detto:

    Il perossido di benzoile, da quel che leggo, si produce trattando il cloruro di benzoile con acqua ossigenata.

    E’ normalmente usato per il trattamento dell’acne, visto che ha proprietà antimicrobiche, antimicotiche e sbiancanti (e il brufolo sparisce).

    Ottimo per sbiancare e “spuzzare” del latte scaduto, o in precarie condizioni igeniche, direi.

    Inoltre, in USA è utilizzato per dare una bella “ossigenata” (sbiancare) le farine. Forse anche alle splendide farine OGM made in USA viene l’acne juvenilis, oppure non è così “splendida e splendente” come dovrebbe essere un prodotto geneticamente modificato.Perché allora non dargli una ripulitina ? Se lo usano loro, è chiaro che è un ottimo prodotto e noi siamo davvero passatisti a vietarne l’uso. Vogliamo fermare il progresso?

    Fortuna che ci sono dei personaggi in Italia che sono più avanti e lo buttano direttamente nel latte putrefatto, altro che farine.

  51. Wyk72 ha detto:

    Qui info (in inglese) sul composto e sul perché del suo uso nelle farine:

    http://www.haivli.net/article/?type=detail&id=1

    Anche i cinesi lo usano nella loro farina (e ci mancherebbe), mentre in Italia è vietato (tutti questi odiosi freni ideologici! Diverremo mai un paese moderno??)

  52. Gianna Ferretti ha detto:

    @Biola, nel nostro laboartorio dosiamo i perossidi,non il perossido di benzoile 🙂

    in qualche stato è permesso l’impiego, oltre ai links segnalati da Wyk, aggiungo questo:

    As regard to the current regulatory approvals for benzoyl peroxide in some countries, BP is currently approved by the U.S. FDA as a Generally-Recognized-As-Safe (GRAS) substance in USA.ftp://ftp.fao.org/es/esn/jecfa/cta/CTA_63_Benzoylperoxide.pdf

  53. Biola ha detto:

    Hai capito ! a Roma si dice … no meglio di no !
    e a noi novelli mozzarellari a km 0 ci fanno il pelo e contropelo ! 🙂

  54. Gianna Ferretti ha detto:

    @Biola. devo studiarmi meglio la molecola, poi potremmo scrivere un nuovo post: Mozzarella al perossido di benzoile, le filiere casearie creative al tempo del Codex alimentarius.

  55. Biola' ha detto:

    @Gianna
    e gia’, la filiera e’ proprio creativa , alle volte un po’ troppo per i miei gusti !

  56. frodialimentari ha detto:

    vi prego di cliccare sul link e fare il questionario che uscirà
    serve per sapere cosa ne sanno gli italiani sulle frodi
    grazie
    http://nextsud.net/frodialimentari/index.php?sid=81323&lang=it

  57. Gianna Ferretti ha detto:

    @frodi alimentari, perchè non ci spieghi qualcosa in piu’ sull’indagine?

  58. Biola' ha detto:

    Un interessante metodo per rilevare come e’ stata fatta una mozzarella , se da cagliata congelata o da latte fresco messa a punto dalla Universita’ di Bari in collaborazione con AIA .

    Fai clic per accedere a 1002%20Mozz%20AIA.pdf

    I risultati non sono confortanti e mettono in luce come l’ approvvigionamento di cagliate congelate a basso costo sia all’ ordine del giorno.

    La tracciabilita’ seria dei prodotti alimentari e’ sempre piu’ indispensabile per dare al Consumatore la possibilita’ di scelta conspevole e responsabile .

    Ma a quando ?

  59. gianna ferretti ha detto:

    Grazie Biolà, l’elettroforesi in laboratorio è molto utile nello studio delle proteine, non so quanti laboratori siano in grado di eseguire questa determinazione. Comunque complimenti ai due docenti che hanno messo a punto il saggio per evidenziare cagliate estranee. mi leggo meglio come vengono evidenziate e cosa scopre il “marcatore molecolare”.

  60. meristemi ha detto:

    Immagino che il marcatore sia costituito da una parte di proteine che subisce denaturazione a causa del congelamento. Giusto?

  61. Dario Bressanini ha detto:

    Wyk72: a quali farine ogm ti riferisci? Il frumento ogm non e’ ancora in commercio.

  62. Fabrizio ha detto:

    Roba da far impallidire!

  63. […] Mozzarella al biossido di titanio, frodi alimentari al tempo del Codex alimentarius […]

  64. frodi ha detto:

    si terrà domani 8 giugno alle ore 10.30 alla presenza del Ministro Galan la presentazione del rapporto sulle frodi alinentari ed agrolaimentari in Italia 2010, redatto dal Movimento fare Ambiente, presso presso la sala del rimaticcio di Palazzo Firenze,piazza Firenze, 27 ROMA.Di seguito il programma
    inizio lavori ore 10,30

    Prof. Vincenzo Pepe

    Presidente Nazionale FareAmbiente

    Dott. Alessandro Masi

    Segretario Generale “Dante Alighieri”

    Prof.ssa Eugenia Aloj- Zollo Anna

    Università degli Studi del Sannio

    Dr. Maurizio De Lucia

    Sostituto Procuratore Direzione Nazionale Antimafia

    Sen. Paolo Scarpa Bonazza Buora

    Presidente Commissione Agricoltura del Senato

    On.le Paolo Russo

    Presidente on. FareAmbiente

    Dott. Giancarlo Galan

    Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali

    Saluti

    On. Fabio De Lillo

    Assessore all’Ambiente Comune di Roma

    Moderatore

    David Parenzo

    Giornalista e presentatore tv

    FareAmbiente-

  65. […] il Titanio risultava 1,25 ug/mg. Sono stati anche analizzati dei prodotti caseari, ricordate la mozzarella al biossido di titanio? Alcuni drinks a base di latte scremato possono contenere il biossido aggiunto per rafforzare il […]

  66. Mario ha detto:

    Ma la vera domanda è:
    perchè la mozzarella deve essere “sbiancata” ?
    Cos´aveva il colore naturale da non andar più bene ?
    Perchè dev´essere sempre tutto stravolto/artefatto ?

    Comunque il biossido di titanio si usa anche nelle tempere per imbiancare le pareti,
    il loro “bianco” dipende molto dal contenuto di BdT, e anche il prezzo varia in proporzione.


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