Fat Economics: l’obesità, un effetto collaterale del progresso?

Nei prossimi mesi nella Facoltà di Medicina in cui lavoro verrà organizzato un convegno sull’obesità. Sono stata incaricata di fare una relazione sulla ricerca scientifica e i vari meccanismi molecolari alla base dell’insorgenza del sovrappeso e obesità in particolare in età pediatrica. Avete letto l’ipotesi che mette in relazione diete ricche di zuccheri e grassi, modificazioni della composizione della flora batterica e insorgenza dell’obesità? Quando si parla di sovrappeso e obesità, si ricordano i dati USA dove il fenomeno è arrivato a interessare quasi il 35 per cento della popolazione adulta, in Gran Bretagna il 24 per cento ed anche in Italia si è avuto un aumento come dimostrano le cifre del progetto OKKio alla salute riferite all’obesità infantile. In Italia le percentuali maggiori di sovrappeso e obesità infantile si hanno nelle regioni meridionali, ho cercato di rappresentare questi dati nel video. Come si spiegano? Quali fattori socio-economici sono coinvolti?


Sovrappeso e obesità infantile in Italia

Anche per l’obesità e sovrappeso nell’adulto si ha un andamento simile. A Sud le percentuali maggiori.

Prevalenza di persone in sovrappeso di 18 anni ed oltre (per 100) per regione. Anno 2006

Ho suggerito agli organizzatori del convegno di includere un intervento in cui si affrontino anche aspetti socio-economici. In più occasioni ne abbiamo già parlato, per esempio nel post Fit or Fat? o negli ultimi dedicati all’educazione alimentare. Se l’obesità ha origini multifattoriali non possiamo tralasciare questi aspetti. Dell’ipotesi economica si parla nel libro “Fat economics“, pubblicato dalla Oxford University Press. Gli autori sono tre economisti W. Bruce Traill, Jason F. Shogren e Mario Mazzocchi. . Attraverso i numerosi grafici, analisi statistiche ed equazioni contenute nel libro, gli autori parlano del rapporto tra andamento dell’economia e modifica dei comportamenti alimentari e dell’emergenza obesità da una prospettiva economica.

Le statistiche dimostrano che contemporaneamente all’ aumento dell’obesità in molti stati, si è verificato un altro fenomeno: la caduta del prezzo di alcuni generi alimentari e che ha visto dimezzarsi, ad esempio il prezzo dello zucchero, in meno di tre decenni e aumentare quello di altri alimenti a minor apporto calorico come la frutta. E quando il prezzo scende sono le classi più povere dei Paesi industrializzati ad aumentare di peso, sulla base dei dati pubblicati nel libro. Questo concetto è chiamato dagli economisti “elasticità“: quando le derrate diventano a buon mercato i ricchi non aumentano i consumi (elasticità pari a zero) invece le fasce più povere a fronte di una diminuzione dei costi del 20% possono far salire i consumi del 10%.

La recessione, che aumenta le disparità sociali, dunque, ci fa ingrassare o diminuire di peso? Mi piacerebbe lavorare e capirne di più di questo tema, per me tutto da esplorare.

E’ tutta colpa del PIL ?

PIL in varie regioni italiane
Lombardia 141,5%
Bolzano 140,2%
Lazio 131,8%
E-Romagna 130,4%
Valle Aosta 128,2%
Basilicata 75,4%.
Puglia 69,8%
Calabria 68,5%
Sicilia 67,3%

Fonti:

– Presentazione (pdf) del Prof. Mazzocchi “Prezzi ed inflazione. Progresso tecnologico, prezzi alimentari e obesità”

OKKio alla salute

Pensare alimentare

Saluteinternazionale.wordpress.com

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26 commenti on “Fat Economics: l’obesità, un effetto collaterale del progresso?”

  1. Alberto ha detto:

    Getto due spunti di riflessione. Mi sembra che cercare la causa nei batteri intestinali o in una certa predisposizione genetica porti a perdere di vista il vero problema che riguarda la stragrande maggioranza delle persone con problemi di peso e che è sotto gli occhi di tutti: si mangia male e non ci si muove. Cercare poi di dare una “colpa” a qualcosa credo crei un clima di biasimo (che poi genera discriminazione) verso coloro che hanno problemi di peso; mi piacerebbe che i medici parlassero piuttosto di “responsabilità individuale”. Il “sistema” ha sicuramente un’influenza negativa e gli amministratori locali credo abbiano l’obbligo morale di creare delle strutture / condizioni di efficienza per cui tutti possano fare movimento ma il responsabile alla fine dei conti è sempre l’individuo perché la salute è la sua (anche se poi le cure vengono pagate dal SSN, se vogliamo fare una considerazione cinica ma oggettiva). Infine credo che spostarsii in ambito socio-economico porti a perdere scientificità, nonostante il metodo di raccolta dei dati sia rigoroso e scientifico, per via dei troppi fattori da prendere in considerazione e la difficile applicazione in contesti diversi da quello in cui si è svolto un determinato studio.

  2. […] This post was mentioned on Twitter by giannaBio, Gionatan Lassandro. Gionatan Lassandro said: Fat Economics: l’obesità, un effetto collaterale del progresso? – http://tinyurl.com/yzzf78p […]

  3. Meristemi ha detto:

    L’era delle spiegazioni semplici, se mai è esistita, è finita da un pezzo. Un approccio multifattoriale e che mescoli competenze socioeconomiche a quelle nutrizionali e mediche è probabilmente la cosa più scientifica che esista per avere risposte attendibili a problemi complessi come quello dell’obesità.

  4. Mauro R. ha detto:

    Da economista ragiono così: se il prezzo di una materia prima scende ci possiamo dare due motivazioni a livello macroeconomico:
    – domanda al ribasso;
    – sovrapproduzione della materia prima in questione.
    Coltiviamo canna da zucchero, immettiamola in ingenti quantità sul mercato (ovviamente cala lo zucchero, calano i biscotti, le torte…ecc). Ovviamente i prezzi calano. Le fasce deboli possono così acquistare zucchero (biscotti ecc.) a volontà (“ehi i biscottini pieni di zucchero, 500gr., a 0,99!! Evviva!!”). Credo nella correlazione che hai spiegato. Il problema è…
    …chi decide di immettere sul mercato più zucchero? Con tutta l’obesità che c’è, è chiaro che non ne abbiamo bisogno. Oppure abbiamo davvero bisogno che molte persone si ammalino di obesità in modo che tutto il business che ci gira intorno lavori per bene?
    Finisco col dire: in mia opinione non è tanto la recessione che ci rende obesi. E’ la disinformazione e la mancanza di educazione alimentare che ci rende obesi.

  5. Wyk72 ha detto:

    Concordo con Meristemi:

    L’era delle spiegazioni semplici, se mai è esistita, è finita da un pezzo.

    Ed anche Mauro dà una spiegazione parzialmente esauriente.

    Se posso buttare i miei due spiccioli (“two cents”, alla anglosassone), parlando si Italia, direi che anche la persistenza di fattori socioculturali è preponderante, soprattutto nelle regioni del Sud, dove certe “forme mentis” si mettono molto poco in discussione.

    Siete mai stati in un ristorante Napoletano? Io varie volte: si tratta di pasta, pizza, ancora pizza, dolci con quantità di zucchero da carie fulminante immediata. Siccome, checché se ne dica, viviamo in tempi di abbondanza rispetto al passato, e al ristorante ci si va sicuramente molto più che una volta, sai com’é… tutti stì carboidrati da qualche parte vanno a finire.

    E’ anche una questione di stutture sociali: io ero quasi obeso a 30 anni, a forza di pranzi e cene in famiglia dalla mia fidanzata – che era di famiglia molto ma molto “agricolo-tradizionale”. Non potevi rifiutare perché “stava brutto” (ci separammo infatti, per mia fortuna, altrimenti potrei già essere annoverato tra gli infartuati).

    In certi posti un po’ conservatori, sicuramente più al centro-sud, la convivialità a tavola fa parte del tessuto sociale, e in questi contesti, sempre perché viviamo in epoca, checché se ne dica, di sovrabbondanza, le quantità di cibo ingurgitate tendono sempre ad essere mostruose: antipasto, primo (a volte due), secondo, pane sempre a tavola, contorni a iosa, vini, bevande gassate zuccherate (altro fattore preponderante l’obesità), e per finire dessert a base di saccarosio in quantità.

    Se ci mettiamo che al Sud (ma anche al centro), queste situazioni si ripetono anche due volte la settimana….sai com’é.

    Ci sono matrimoni e battesimi in continuazione in certi posti. E SE MAGNA. Eccome. E ci vogliono spesso 400 invitati, piatti pieni e 7/8 portate.

    Ossia,la “magnata” è un po’ un valore sociale.

    Nei posti ove certe “mediterraneità” non sono mai esistite, è chiaro che certi problemi hanno incidenza minore.

    Mettere in discussione certi modelli mangerecci inoltre ti porta un po’ quasi all’ ostracizzazione sociale, in certi contesti.

    Adesso, questo è solamente un fattore della questione obesità: come ho detto all’inizio, sono d’accordo con Meristemi che solo un approccio multifattoriale può sbrogliare un po’ la matassa.

    P.S.

    Sono d’accordo anche sul fatto che oggi siamo all’assurdo che mangiare “bio” sembra un po’ classista…”roba da benestanti”.

  6. Hawkwind ha detto:

    Concordo con Wyk72.
    Soprattutto è il contesto sociale ad incidere. Subito dopo viene la cultura personale. Io credo che noi siamo lo specchio della ” società ” : oggi c’è così tanta agiatezza che c’è molta più informazione su un telefono, una tv, un computer rispetto ad altre cose che, secondo me, hanno più importanza. Parafrasando un vecchio aforisma : si conosce il prezzo di tutto ed il valore di niente.

    Non c’è cultura sul cibo, inteso come fonte di nutrizione, ma c’è cultura sul cibo inteso come fonte di consumo. Molti si lamentano di scarsità economiche, ma se osserviamo (come faccio a volte) i carrelli della spesa al supermercato, vediamo tanti ” surplus ” : cibo inutile, spazzatura. E spendiamo.
    Se comprassimo maggiormente (ma non solamente) frutta e verdura, ci sarebbe un grande risparmio ed una nutrizione sicuramente migliore (certo, con prodotti controllati). Già, ma chi ha ” voglia ” di mangiare quella roba giornalmente ?

    La questione ” BIO ” mi appare nebbiosa. Credo che, purtroppo, sia diventato un marketing anche quello e perciò tutti sono pronti a sventolare ” BIO ” pur di acchiappare clienti. Inoltre c’è da dire che i prodotti hanno un prezzo più alto rispetto alla norma, ma è anche vero che se noi tutti ne facessimo accrescere la domanda, i prezzi calerebbero ma vabbè….purtroppo l’uomo non ha più voglia neanche di fare ” rivoluzioni “, dimenticando che siamo noi, il popolo, a determinare il prezzo delle cose.

    Inoltre, mi interrogo spesso sul significato ” BIO ” : se partiamo dal presupposto che i prodotti ” BIO ” sono più controllati e sicuri, allora io che vado al supermarket e compro cibo ” non BIO ” vuol dire che sto praticamente comprando merce, diciamo, più scadente ? Possibile che anche il cibo debba avere delle classi ” sociali ” ?

    Ultima domanda : possiamo veramente definire qualcosa ” BIO ” se poi ad innaffiare i campi ci pensano le piogge inquinate o falde acquifere non tenute sotto controllo ?

  7. Stefania ha detto:

    Sono d’accordo con Meristemi. @Gianna – ho tanto da passarti. Iniziamo per gradi? Vuoi partire dal discorso recessione? La recessione puo’ diventare una concausa del fenomeno obesita’ e sovrappeso. In che modo? Durante la recessione il mercato agroalimentare cambia e i consumatori hanno una scelta inferiore rispetto a prima. Diciamo che, grossolanamente, il mercato si divide in mercato ‘premium’ – fatto di consumatori che sono disposti a spendere un po’ di piu’ e ogni tanto per un prodotto che pensano sia sano o fatto artigianalmente. Dall’altra pero’ c’e’ il mercato piu’ economico, quello fatto di promozioni – quello della grossa distribuzione, dove le promozioni spesso sono quelle di prodotti ‘sbagliati’: e’ famosa qui in UK quello della Pepsi o di altre bibite gasate, paghi 2 e prendi 3. Quindi la persona che non capisce che bere Coca Cola significa ‘bere’ calorie vuote (e ce n’e’, credetemi), approfittera’ di questa promozione anziche’ tornare a casa con le bottiglie di acqua minerale. Quindi in questo senso la recessione aumenta, come dicevi, Gianna, le disparita’ sociali.

  8. Laura ha detto:

    Si, Gianna, ma l’educazione alimentare la farà coldiretti, che punta più che altro al tipico e al chilometro zero…. e per di più in scuole già seguite da tempo, dove i ragazzi sono già molto sensibilizzati.

    Comunque il tuo post è bellissimo, complimenti.

  9. gianna ferretti ha detto:

    @Stefania. Iniziamo. Ho trovato questo in linea con quello a cui accennavi anche tu.
    http://www.retailforum.it/?p=2899

    @Laura.grazie.La Coldiretti è da tanti anni che partecipa con Campagna Amica. Nelle Marche ho collaborato anch’io con loro per attività nelle scuole. Ho letto che il coordinatore sarà Giorgio Calabrese.

    Un limite di queste iniziative è che raggiungono solo una piccolissima percentuale degli alunni, con disparità da comune a comune, da una provincia all’altra… Al contrario sono argomenti che dovrebbero far parte del programma scolastico.

  10. Stefania ha detto:

    Alcuni dati tanto per iniziare: il problema dell’obesita’ e sovrappeso sta diventando un’emergenza, nonostante le campagne globali aventi come obiettivo la promozione della dieta ipocalorica e povera di grassi, e con il conseguente calo del consumo di prodotti come il latte intero. I dati confermano che in UK, ad esempio, proprio il consumo del latte intero e’ meno di un quinto rispetto agli anni 70 mentre il consumo di margarine e prodotti da spalmare commercializzati come senza o con poco grasso sono aumentati (DEFRA: 2004; NHS: 2006. Mintel: 2007).

    Una stima del costo (in rapporto alle calorie prodotte) degli oli vegetali e’ assai basso, di circa $0.50/10MJ

    Patate fritte $2.00/10 MJ
    Bibite gasate $2.20-$3.70/10 MJ

    mentre gli alimenti freschi costano di piu’

    Carote fresche ~$9.50/10 MJ
    Spremuta di arancia congelata ~$14.00/10 MJ

    (Drewnowski: 2000)

  11. Stefania ha detto:

    numeri, numeri… eccone altri: la WHO stima che i costi prodotti dalle malattie cardiovascolari in EU saranno di E168 miliardi all’anno; le spese per la salute saranno di circa il 62% (Leal et al: 2006). In UK – cito questo paese solo perche’ attualmente e’ uno dei due con maggiori problemi di obesita’ -le malattie cardiovascolari causano oltre 208.000 morti all’anno mentre gli infarti sono circa 91.000 ogni anno, sopratutto fra gli uomini sotto i 75 anni di eta’; 31.000 fra le donne (British Heart Foundation). Le malattie cardiovascolari sono ancora (nonostante le campagne) la prima causa di morte globalmente (WHO: 2007 e 2008). Globalmente, l’80% di queste morti si verifica fra gruppi di popolazione economicamente piu’ svantaggiati (con un basso e medio reddito). Queste morti hanno naturalmente un forte impatto non solo sociale (la famiglia in difficolta’ economiche che perde padre o madre diventera’ piu’ povera e avra’ maggiori necessita’ di tipo finanziario e di sostegno morale) ma anche economico a livello nazionale (un paese con molte morti fra adulti e’ un paese meno produttivo , costi sanitari di vario tipo etc).

  12. Stefania ha detto:

    @Gianna – come stai strutturando la tua ricerca? vuoi parlare di fattori socioculturali? Vorrei fra l’altro far riflettere sul significato della parola ‘cultura’ perche’ noto che si presta a confusioni… La cultura non e’ solo e necessariamente sinonimo di ‘istruzione’ o di ‘tradizione’. Prendiamo un dizionario monolingua, l’Oxford :

    culture- 1) the arts and other manifestations of human intellectual achievement regarded collectively. 2) a refined understanding or appreciation of this. 3) the customs, institutions, and achievements of a particular nation, people, or group.

  13. Wyk72 ha detto:

    @Stefania:

    Visto che in questo post si parla di Italia, non vedo cosa c’entri tirare fuori l'”Oxford”.

    —-

    cultùra [kul’tura]
    s.f.

    1 sf
    qualità di chi è colto

    2 sf
    l’insieme della tradizione e del sapere scientifico, letterario e artistico di un popolo o dell’umanità intera

    3 sf
    Vedi coltivazione

    —-

    vedere anche:

    http://it.wikipedia.org/wiki/Cultura

    E’ una lingua così piatta e povera di colore questo “inglese imperiale”. Non vedo perché prenderlo “ad esempio” quando c’è una lingua così fiorita e strutturata (e con natali decisamente più nobili) come l’italiano.

  14. Stefania ha detto:

    @Wyk72 – la stragrande maggioranza del materiale che verra’ citato e’ di lingua inglese e ‘cultural’ viene tradotto come ‘culturale’ in italiano. Visto che hai citato wikipedia, peraltro una fonte che non puo’ essere considerata completamente affidabile per ragioni diverse da questo post e che non interessa discutere ora, anche wikipedia, dicevo, indica due diverse interpretazioni del significato; uno di questi e’ di di tipo antropologico
    ——
    Una concezione antropologica o moderna presenta la cultura come il variegato insieme dei costumi, delle credenze, degli atteggiamenti, dei valori, degli ideali e delle abitudini delle diverse popolazioni o società del mondo. Concerne sia l’individuo sia le collettività di cui egli fa parte.
    —-

    ecco di cosa si intende quando si parla di ‘cultura’ alimentare in questo post. Atteggiamenti, valori, ideali e abitudini dei gruppi di popolazione con problemi di obesita’ e sovrappeso.

  15. gianna ferretti ha detto:

    E’ passata la mia proposta e il Prof.Mazzocchi,invitato ha accettato di partecipare. Il 26 febbraio 2010 sarà dei nostri al convegno. Aggiornamenti sul programma nelle prossime settimane.

  16. bacillus ha detto:

    Non vorrei sembrare bastian contrario, disfattista, rompiballe. Ma se questa è l’immagine che traspare dai miei interventi, pazienza… 🙂
    Tale premessa per osservare che se Coldiretti partecipa ad iniziative del genere, non oso immaginare le conseguenze. 😯
    Coldiretti è da sempre l’organizzazione di categoria più forte, più potente, più influente del mondo agricolo. Purtroppo, storicamente, non riusciamo a dimenticarne le reponsabilità nei disastri che negli ultimi anni i nostri contadini hanno dovuto subire: dal crack Federconsorzi, allo scandalo delle quote latte, al generale disastro che la nostra intera agricoltura sta vivendo (e che pochi conoscono).
    Assistere all’attivismo della formidabile organizzazione non fa ben sperare per i bambini obesi, purtroppo.
    E poi, come non riflettere sul conflitto di interessi? Un’organizzazione come Coldiretti deve difendere i diritti degli agricoltori, non deve fare altro. Sarebbe come se Eni sponsorizzasse campagne per il risparmio energetico.
    Invito di cuore alla riflessione. Giuste le iniziative; occhio agli interlocutori.

  17. Stefania ha detto:

    L’intervento di Bacillus illustra la scelta dell’attuale governo, ovvero quella di sostenere quel ramo dell’industria piu’ influente (piu’ grossa nei volumi e quindi piu’ forte politicamente) piuttosto che la media e piccola impresa. E’ una strategia che da sempre il governo americano segue e che l’attuale presidente Obama intende modificare. Pero’ non mi pare che il settore agricolo italiano sia peggio di quello di altri paesi europei 😉

    Le iniziative promosse dalle istituzioni spesso vedono coinvolta l’industria perche’ il mondo politico pensa che sia giusto che certi cambiamenti possano avvenire mantenendo il dialogo anche con l’industria (che sia piccola o grande distribuzione, produzione o trasformazione etc.) cosi’ come con la societa’ civile. Sono i 3 vertici a cui spesso ho fatto cenno. Quindi in questo senso anche se puo’ sembrare strano, si ritiene necessario coinvolgere in iniziative che riguardino l’ambiente anche societa’ come l’ENI citata come esempio da Bacillus… perche’ e’ un modo di riconoscere pubblicamente le proprie responsabilita’ e il proprio impegno, la propria ‘corporate responsibility’ insomma.

  18. bacillus ha detto:

    Scusa, Stefania, ma in che mondo vivi? ‘Corporate responsibility’ 😯 Stiamo assistendo proprio in questi mesi alla feroce lotta tra la presidenza Obama e le lobby delle assicurazioni per la riforma (tra l’altro all’acqua di rose secondo i nostri canoni) della Sanità negli Stati Uniti. Si tratta di una lotta dura, durissima, altro che reciproco riconoscimento di responsabilità.
    Senza offesa, Stefania, ma la speranza di infondere etica dall’alto all’iniziativa privata è una pura illusione.
    L’impegno di Coldiretti in iniziative di questo genere non corrisponde ad un fattivo impegno nei confronti dei propri associati. Non è un caso.
    P.S.: sono titolare e conduttore di una piccola azienda vitivinicola e pago la tessera Coldiretti.

  19. Gianna Ferretti ha detto:

    Bacillus nella tua regione la Coldiretti non è attiva con l’iniziativa “Campagna Amica” rivolta alle scuole?

  20. Stefania ha detto:

    @Bacillus – si lo so … tra il dire e il fare etc etc ma io parlo di teoria, cerco di spiegare certi meccanismi, poi i risultati di ogni singolo paese sono un’altra cosa… l’esito di certi obiettivi passa per tanti ‘filtri’, le idee buone non e’ detto che siano applicate poi efficacemente (infatti dicevo ‘Obama intende modificare’ – intende!) …. comunque poi per quanto riguarda gli USA e’ ancora un po’ presto per capire, non si fa altro che celebrare la fine della crisi ma in verita’ il cammino e’ ancora lungo e incerto! Anche io la penso come te, avendo poi vissuto in US e tornandoci regolarmente mi pare moooolto difficile vedere realizzati certi obiettivi. E tornando al discorso obesita’, francamente non vedo un alleggerimento del peso degli americani a breve termine… ci vorrebbe un miracolo o una bacchetta magica prima ancora delle riforme alla politica agricola.

  21. bacillus ha detto:

    Gianna, voglio essere sincero. Dall’organizzazione di categoria vorrei sapere di iniziative rivolte alla tutela economica delle produzioni locali, a contrattazioni/contrapposizioni con la GDO per reagire alla speculazione di chi domina il mercato, ad iniziative per la promozione della nostra agricoltura (non solo dei prodotti) verso l’estero; vorrei fossero organizzati un giorno si ed un giorno no corsi di aggiornamento tecnologico, informatico, economico. Non esiste niente di tutto questo.

    Non so rispondere alla tua domanda. In ogni caso, “Campagna Amica” nei confronti dei nostri ragazzi è uno slogan persino irritante. Mai la campagna ha negato l’accesso a chi voleva conoscerla: in un capannone industriale ti sarà vietato l’accesso, ma se vuoi “visitare” un campo di mais, beh, ne trovi quanti ne vuoi, lì all’aria aperta. Basterebbe che le scuole organizzassero passeggiate in campagna: cose di imparare ce ne sarebbero a montagne, credetemi, solo con una passeggiata, senza la presenza del contadino.
    E l’amore per il cibo sano potrebbe venire anche solo da questo: capire l’ecosistema, rendersi consapevoli delle prerogative dell’ecologia agricola, analizzare vantaggi e svantaggi. Per me, da sempre, questo è compito della scuola, degli insegnanti. Affiderei a loro la responsabilità, pretenderei da loro un riscontro.

  22. Gianna Ferretti ha detto:

    @Bacillus, mi riferivo a questo progetto che dalle scuole è passato nel tempo ad una iniziativa finalizzata a far conoscere le aziende e i loro prodotti..

    Probabilmente la sua realizzazione dipende molto da chi organizza a livello locale.

    http://www.campagnamica.it/campagnamica/jsp/index.jsp

  23. Stefania ha detto:

    Si infatti, Gianna – Bacillus ha ragione quando dice che la conoscenza dell’ecosistema e il coinvolgimento dei bambini nella ‘scoperta’ degli alimenti (ad es, andare a prendere fragole o raccogliere altri frutti, vedendo l’orto e comprendendo come e’ fatto) e’ fondamentale per educare alla buona alimentazione. E in questo senso le istituzioni danno linee guida e promuovono eventi di un certo tipo, cosi’ come delegano alle autorita’ sub-regionali. E’ facile quindi che un progetto davvero ben pensato e importante si possa poi ‘perdere’ a livello locale proprio perche’ le persone competenti non lo fanno (per tante ragioni, non necessariamente budget limitato).

  24. bacillus ha detto:

    Grazie per il link, Gianna. Era chiaro che non sapevo bene di cosa si trattasse… 😎 Ma la mia preoccupazione resta.
    Al di là delle polemiche, sia chiaro, ogni iniziativa rivolta all’educazione alimentare è benvenuta. Tuttavia credo anche che ognuno dovrebbe innanzitutto far bene il proprio mestiere e solo dopo dedicarsi ad attività collaterali.
    Educazione alimentare… Davvero un bel problema. Io ho buttato lì un’idea, non so quanto realizzabile, non so quanto efficace. Non nascondo, però, la mia diffidenza nei confronti di modelli di insegnamento che si rifanno ai soliti luoghi comuni. Non vorrei, infatti, che passassero messaggi del tipo “biologico=buono, industriale=cattivo”, a scapito di un percorso formativo che stimoli piuttosto il senso critico attraverso la trasmissione di strumenti intellettuali basati sull’oggetività e scientificamente corretti. Si tratterebbe, secondo me, di fornire a bambini e ragazzi un metodo (come al solito). Metodo inteso non solo come modo di ragionare, ma anche come acquisizione di abitudini: giusta distribuzione dei pasti durante la giornata, valutazione del peso dei cibi e del loro apporto calorico (perché no?), come variare la dieta…
    Va bene, pensieri in libertà che lasciano il tempo che trovano… Resta fondamentale la tua osservazione per cui “sono argomenti che dovrebbero far parte del programma scolastico”. D’accordissimo.
    Ciao.

  25. Wyk72 ha detto:

    E tornando al discorso obesita’, francamente non vedo un alleggerimento del peso degli americani a breve termine…

    Nel midwest, dove ho vissuto io, le persone mi davano l’impressione di una massa amorfa di polli in batteria. Biancastri, sguardo spento, unico obbiettivo, arrivare a fine giornata per premiarsi con 6/7 shots di superalcolici (nei casi migliori), e ingozzarsi tutto il giorno di tutto lo schifo possibile.

    Finché la gente viene allevata a suon di consumo smodato – di cibo in primis – c’è poco da fare.


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